“Sulle tracce degli indoeuropei” di Harald Haarmann (Bollati Boringhieri Editore 2022, 2016 Verlag C.H. Beck oHG, München) ci offre un quadro aggiornato sullo stato attuale delle nostre conoscenze sull’origine delle lingue e delle culture indoeuropee. Lo fa incrociando nozioni ricavate dalla linguistica, dall’archeologia e dalla genetica, arrivando a proiettare sprazzi di luce sui protoindoeuropei e sui loro rapporti con altri popoli. È azzardato considerare interpretazioni di fatti storici come verità definitive, tanto più oggi che la genetica affina le proprie tecniche di anno in anno e permette sempre nuove conoscenze ma sembra ragionevole ritenere che Haarmann abbia fissato alcuni punti fermi in una questione secolare, complessa, fino a poco tempo fa indagabile soltanto con gli strumenti dell’archeologia, della mitologia, del folclore e della linguistica, e finita spesso al centro di strumentalizzazioni ideologiche
L’ipotesi che tra le lingue europee e tra queste e alcune parlate in Iran, Pakistan e India settentrionale vi fosse una parentela cominciò a circolare nel XVII secolo e si diffuse con l’intensificarsi dei rapporti dell’Europa con l’India, soprattutto con la dominazione britannica del subcontinente indiano. Tanto che, dopo alcune intuizioni di qualche erudito, un decisivo livello di consapevolezza si dovette al chief magistrate del Tribunale supremo di Calcutta, William Jones, che nel 1786 in una conferenza affermò che latino, greco e sanscrito, e forse anche gotico, celtico e persiano, mostravano tante affinità sia nelle radici dei verbi sia nella grammatica che dovevano avere un’origine comune. Era l’inizio di una ricerca che dura ancora oggi. E che si intrecciò presto a interpretazioni di carattere biologico e politico e a torsioni ideologiche. Dalla individuazione di un complesso di lingue riconducibili a un’origine comune si arrivò a postulare l’esistenza di una razza che quella lingua avrebbe parlato. La “razza” degli indoeuropei, guerriera e dominatrice per natura. Una concezione che giustificava la dominazione europea negli altri continenti, in primis quella britannica in India, e la riduzione in schiavitù degli africani. Gli indoeuropei secondo alcuni accademici e altre personalità erano una “razza” superiore alle altre. Queste idee, diffuse e considerate scientificamente attendibili in Occidente nell’Ottocento, come è noto furono raccolte da Adolf Hitler e dal nazismo che considerava il popolo tedesco come membro, puro, non contaminato da commistioni, della razza ariana, superiore alle altre razze, neri, ebrei, zingari, ecc…(I popoli di lingua indoiranica usavano chiamarsi Ari, gli studiosi europei del 19° secolo usavano il termine ariano per identificare gli indoeuropei, poi l’uso del termine ariano fu impiegato da parte dei teorici del nazismo a indicare il tipo etnico biondo nordeuropeo, l’ariano “puro”).
L’ipotesi di una razza di guerrieri destinati a dominare il mondo fu sostenuta da alcuni utilizzando arbitrariamente la teoria di Marija Gimbutas, archeologa e linguista lituana naturalizzata statunitense, (1921 – 1994) secondo la quale gli indoeuropei originari erano popolazioni guerriere, nomadi, che vivevano di pastorizia, partite intorno al 4.000 avanti Cristo dalle steppe dell’ Ucraina, arrivate in Grecia intorno al 3.500 avanti Cristo e in vari periodi nel resto d’ Europa, spinte dalle necessità di trovare nuovi pascoli, forti delle loro armi, dell’uso del cavallo e del carro da guerra, contraddistinti anche dai kurgan, un tipo di tumulo costruito sopra una tomba.
Più rassicurante è sembrata ad altri la teoria dell’archeologo britannico Andrew Colin Renfrew (1937), per cui la patria originaria degli indoeuropei sarebbe stata l’Anatolia, dalla quale si sarebbero progressivamente irraggiati, non con conquiste militari ma per trasmissione culturale e progressive infiltrazioni verso l’Europa balcanica, portando con sé le tecniche della rivoluzione agricola del Neolitico.
Secondo Haarmann, alla luce delle acquisizioni permesse dalla genetica negli anni Novanta le teorie di migrazioni dall’Anatolia all’Europa sono superate – possiamo notare un’espansione del pool genico di popolazioni preistoriche dalla steppa eurasiatica all’Europa centrale, e “il pacchetto agrario non fu diffuso in Europa da migranti anatolici” ma da “gruppi locali di cacciatori europei che, spostandosi verso ovest, impararono a conoscere i prodotti agricoli nei loro scambi con i coltivatori e, nel corso del tempo, iniziarono a produrre loro stessi i propri mezzi di sussistenza”. Furono migrazioni interne e contatti in Europa che diffusero l’agricoltura nel nostro continente.
L’Europa orientale è la ”Urheimat”, la patria originaria degli indoeuropei che poi si spinsero a ovest in Europa e a est in Asia ma non furono affatto una “razza pura”. Dagli altri popoli con cui entrarono in contatto acquisirono non solo le tecniche dell’agricoltura ma importanti elementi di carattere culturale e religioso che li trasformarono. E con questi popoli si mescolarono. “La genetica umana – si legge nel libro di Haarmann a pag 124 – ha fornito anche informazioni su ‘commistioni’ del genoma indoeuropeo, le cui origini risalgono a gruppi non indoeuropei. Si tratta di relitti nel profilo genico che sono stati trasmessi da gruppi situati ai margini periferici dell’Urheimat protoindoeuropea ma anche da gruppi autoctoni nelle mete d’arrivo dei migranti steppici come conseguenza del contatto sociale”.
“Sulle tracce degli indoeuropei”, pur scritto in un linguaggio chiarissimo, accessibile anche a chi non è specialista nelle discipline impiegate dallo studioso (la traduzione è di Claudia Acher Marinelli) è il risultato di ricerche complesse e approfondite. Non gli si renderebbe giustizia cercando di riassumerlo ulteriormente. Possiamo qui riportare alcune osservazioni che riguardano argomenti oggetto di intensa divulgazione. Uno è quello della svastica, assunto dai nazisti come simbolo della razza ariana. In realtà, ci spiega l’autore, la troviamo nella civiltà preindoeuropea dravidica antica a partire dal III millennio a. C., in Cina dal II millennio, nella cultura uralica dove ha tuttora un ruolo importante. “La storia della svastica mostra la grande importanza delle culture preindoeuropee per la lingua e la cultura europea” (pag 21-22).
Anche due elementi centrali della cultura e della storia europea, il teatro e la democrazia in Grecia, si devono al sostrato preindoeuropeo. “I greci acquisirono il genere teatrale dai loro predecessori (…) la ricerca etimologica ci offre l’informazione decisiva che gli spettacoli teatrali esistessero già prima dei greci”. Anche per le istituzioni democratiche, “che in epoca moderna celebriamo come un’invenzione del genio greco” (pag 189), i greci adoperavano un lessico pregreco. Perché avrebbero dovuto farlo? Perché, secondo l’autore, queste istituzioni erano la continuazione di tradizioni esistenti prima dell’arrivo dei migranti elladici in Grecia.
In conclusione il libro di Haarmann ci mostra un ricco caleidoscopio di forme linguistiche, tecniche, credenze religiose, costumi, istituzioni al quale hanno contributo popoli confinanti o fusi con questi nomadi provenienti dalle steppe orientali. Un raggio di luce sul passato e una prefigurazione del nostro futuro.
(Le foto sono trattate dall’edizione di Bollati Boringhieri)