Le conseguenze del conflitto tra Russia e Ucraina e gli obiettivi della transizione energetica rendono indispensabile per il nostro paese la diversificazione delle fonti di approvvigionamento energetico. L’industria siderurgica, che è alla base della manifattura italiana, lavora 8000-8200 h/anno e le rinnovabili coprono 2000-2200 h/anno, tra l’eolico e il fotovoltaico, Resta quindi il problema di come alimentare le altre 6000 ore. È la questione affrontata da Antonio Gozzi, presidente di Duferco Italia Holding e di Federacciai, al convegno organizzato da Siderweb che si è svolto nella sede centrale di Bper-Carige a Genova.
Gozzi ha ricordato che l’Italia è l’hub più importante del gas del Mediterraneo, «Siamo collocati in un mare di gas e abbiamo rapporti eccellenti con Paesi del Nord Africa come Algeria ed Egitto, e altri Paesi come Israele e Cipro che possono essere grandi fornitori di gas per il futuro. E non esiste un paese così infrastrutturato come il nostro, oggi abbiamo 5 gasdotti che portano gas in Italia, Presto, con Piombino e Ravenna, avremo in totale 5 gassificatori. Possiamo quindi dire che siamo una piattaforma straordinariamente attrezzata per l’importazione di gas. I Paesi del Nord Africa possono inoltre produrre una grande quantità di energia dal fotovoltaico. Dobbiamo però aiutarli nella formazione di una classe dirigente con cui collaborare. Possiamo farlo, in particolare a Genova. Secondo il presidente di Federacciai «possiamo essere protagonisti nel processo di sviluppo del Nord Africa. Genova ha tutte le caratteristiche necessarie. Qui c’è l’accumulo di conoscenze sulla decarbonizzazione e sulle tecnologie rinnovabili. Genova può essere capitale del trasferimento tecnologico in questi paesi e da questi paesi può importare energie rinnovabili. Inoltre il porto di Genova riceverà il più grande investimento del Pnrr, un miliardo di euro necessario per costruire la nuova la diga. Potrà quindi allargare la propria visione guardando all’Africa».
Per quanto riguarda il gas bisogna fare in modo di utilizzare gas decarbonizzato «ma l’Italia è leader nelle tecnologie mondiali per la decarbonizzazione del gas, in particolare. Gli industriali che ho coordinato per la road map per decarbonizzazione al 2030 – ha ricordato Gozzi – hanno già realizzato un consorzio con l’Eni che funziona, a Ferrara e a Ravenna, per la decarbonizzazione e la cattura, il trasporto, l’utilizzo e stoccaggio della CO2.
«Oltre a questo ci resta di fare contratti con produttori nucleari esteri perché anche il nucleare è un’energia di base decarbonizzata. Noi stiamo lavorando con gli sloveni per verificare se è possibile una collaborazione con la centrale nucleare slovena».
Altro problema per la siderurgia che è un settore energivoro sono l’inflazione e il prezzo dell’energia. «L’inflazione è stata causata prima dall’effetto post Covid quando si è avuto un improvviso aumento della domanda di materie prime, poi l’offerta si è adeguata alla domanda, ma scoppiata la guerra come le conseguenze del prezzo del gas. Supereremo anche queste conseguenze con la diversificazione delle fonti di approvigionamento e l’utilizzo del gas, che deve essere decarbonizzato».
Nella siderurgia italiana resta però un problema gigantesco: la crisi dell’ex Ilva.
«Qui – spiega Gozzi – c’è un socio di maggioranza che non investe più e un socio di minoranza, lo Stato, che non se la sente di capitalizzare, di mettere soldi non essendo nella governance dell’azienda. C’è questo impasse che speriamo venga risolto nei prossimi giorni, vedremo cosa succede, la situazione rimarrà comunque difficile. L’Ilva di oggi dal punto di vista ambientale è la più avanzata d’Europa, il risanamento è stato completato, quindi dal punto di vista delle emissioni nocive direi che l’impianto è il migliore in Europa. Il tema è che per dieci anni non sono stati fatti investimenti sulle macchine, e quindi c’è una gigantesca opera di recupero da fare , di capex che non sono state realizzate in questi anni, e che sono indispensabili in siderurgia. La siderurgia è un settore capital intensive, tutti gli anni è necessario investire molto sulle macchine, per otttenere due risultati: innanzi tutto la sicurezza dei lavoratori e in secondo luogo la qualità dei prodotti. Senza capex entrambi gli obiettivi sono difficili da raggiungere, e quindi ci sarà un grandissimo lavoro da fare per riportare il sito di Taranto dal punto di vista operativo e tecnologico ai livelli che merita perché comunque resta uno dei più grandi impianti del mondo, il più grande impianto d’Europa, una siderurgia formidabile dal punto di vista delle potenzialità e delle capacità».
Secondo Gozzi «Quello del rapporto da risolvere tra i due soci è solo il primo dei problemi. C’è un problema di magnitudo finanziaria di Acciaierie d’Italia che va affrontato e risolto, perché Acciaierie d’Italia pare abbia accumulato un debito di un miliardo e 400 milioni, qualcuno ce li deve mettere, altrimenti fallliscono decine e decine di imprese dell’indotto, sarebbe una catastrofe produttiva non solo a Taranto. Poi c’è un problema di management, perché Mittal aveva mandato una cinquantina di ingegneri quattro anni fa, dopo li ha tolti, gli abbiamo dato anche un bell’alibi con la revoca del provvedimento sulla protezione per i reati ambientali pregressi, fatti prima della gestione Mittal, però di fatto Mittal ha sguarnito il management l’azienda. E ci sono gli investimenti da fare. Soltanto il rifacimento dell’altoforno 5 che è il cuore del sistema produttivo di Taranto, il vantaggio competitivo di Taranto, costa 350-400 milioni. Sono numeri molto grossi, molto importanti».
Credo – ha aggiunto Gozzi – che nel momento in cui lo Stato metterà i soldi che servono per non fare fallire Acciaierie d’Italia di fatto ne prenderà il controllo, lo Stato non può mettere soldi così importanti in un assetto in cui è in minoranza. Sarà un intervento transitorio, provvisorio, non esiste più la Finsider, non esistono più le Partecipazioni statali, e del resto l’Europa non consente operazioni di nazionalizzazioni, soprattutto di imprese in stato di insolvenza come nel caso di Acciaierie d’Italia».
Nel corso del convegno è stata presentata l’analisi incentrata sul comparto del Nord-Ovest, con l’evento dal titolo “Acciaio & logistica: un binomio indissolubile”, organizzato da Siderweb e sponsorizzato da Bper Banca, Coface e Regesta. Lo studio ha analizzato i bilanci 2021 di oltre 5mila imprese dell’acciaio, dalla produzione all’utilizzo, per fotografare lo situazione economico-finanziaria e patrimoniale della filiera.
Riportiamo qui sotto la nota diffusa al convegno.
La filiera dell’acciaio della Liguria e del Piemonte (successivamente indicati come Nord-Ovest) nel 2021 ha visto una crescita di fatturato, valore aggiunto ed Ebitda inferiore alla popolazione nazionale di imprese siderurgiche. In particolare, se giro d’affari e valore aggiunto nel 2019 erano in una situazione migliore rispetto all’ Italia, a fine 2021 erano su livelli leggermente inferiori. L’indebitamento è maggiore, ma si sta avvicinando a l contesto nazionale. Dal punto di vista della redditività ci sono spazi di miglioramento.
Le 202 imprese del Nord-Ovest, pari 011’1 1 % del totale della popolazione nazionale esaminata, nel 2021 hanno prodotto un fatturato di 5,82 1 miliardi di euro. Giro d’affari che rappresenta però solo il 7% del totale; le aziende hanno quindi dimensioni più piccole della media italiana (fatturato medio di 28,5 contro 44 milioni di euro). La variazione rispetto al 2020 è stata del +55%, contro il +62% dell’Italia. La produzione e il rottame sono in linea con lo popolazione nazionale; lo differenza in negativo è fatta da distribuzione e centri servizio, cresciuti di 20-25 punti in meno della media italiana.
L’ Ebitda dell’area ammonta a 510 milioni di euro. È salito dal 6,7% del fatturato del 2019 011’8,8% nel 2021; una crescita inferiore rispetto alla popolazione nazionale (dal 5A al 9 ,O%). I risultati migliori in termini relativi sono quelli di produzione e lavorazione delle lamiere. Il reddito netto è di 229 milioni di euro. È salito al 3,9% del fatturato (contro il 4,5% dell’intera popolazione nazionale di imprese).
Il valore aggiunto del Nord-Ovest (890 milioni di euro) è cresciuto del 61 % rispetto al 2020, contro il 70% dell’Italia, con quindi una dinamica peggiore. In dettaglio, nei cluster di produzione, rottame e lavorazione lamiere è aumentato meno rispetto al fatturato. Un elemento negativo dal punto della redditività industriale.
La redditività operativa complessiva (Roa) è del 7,7% (a livello nazionale è il 7,0%J, con risultati di molto migliori anche rispetto al 2019.+
Il rapporto di indebitamento complessivo del Nord-Ovest è passato da 2,0 nel 2019 a 1,8 nel 2021, avvicinandosi a quello medio nazionale (l ,5). «Anche se c’è stato un discreto calo – ha sottolineato Stefano Ferrari, responsabile dell’UffiCio Studi siderweb – , i centri servizio sono fortemente indebitati rispetto alla media italiana. Il cluster del rottame è l’unico ad aver fatto registrare un incremento del debito. È migliorata nel triennio lo sostenibilità economica del debito grazie alle marginalità. In prospettiva, però, potrebbero esserci problemi, a causa dell’aumento del costo del denaro».
La congiuntura siderurgica rimane difficile. I prezzi dell’acciaio sono in calo, i settori utilizzatori sono in rallentamento, ad eccezione di automotive e costruzioni. La produzione italiana di acciaio grezzo, secondo Federacciai, è scesa del 10,8% tra gennaio e ottobre 2022; gli ultimi dodici mesi hanno visto undici segni meno. Inoltre, da giugno a oggi,il calo è stato per quattro volte superiore al 10%.
Tra gennaio e agosto 2022 l’export ita liano di acciaio (ultimi dati Istat disponibili, materie prime e tubi compresi) è calato del 4,2% tendenzia le (12 milioni di tonnellate, circa 522 mila tonnellate in meno).
Quanto all’ import (20,5 milioni di tonnellate), nello stesso periodo è aumentato di circa 757milatonnellate rispetto al corrispondente intervallo del 2021 (+3,8%). Il deficit commerciale è salito a 8,6 milioni di tonnellate.