L’Ilva è un asset strategico nazionale, nessuna grande area economica nel mondo fare a meno a meno dell’acciaio, e sono possibili un rilancio dell’Ilva e la completa decarbonizzazione della produzione di acciaio. Bisogna che il Governo si concentri su questo tema ed eventualmente lo Stato intervenga in fase transitoria nel maggiore produttore di acciaio del Paese. Lo ha dichiarato Antonio Gozzi, presidente di Federacciai e presidente e a.d. di Duferco Italia Holding, questa mattina a margine dell’assemblea pubblica di Confindustria a Genova.
«La situazione dell’Ilva è difficile – ha detto Gozzi – perché ai problemi strutturali che esistono a Taranto si aggiunge la congiuntura che volge alla caduta dei prezzi, dei volumi. Nel considerare la questione bisogna sempre partire dal fatto che Taranto è un asset strategico per il Paese, da Taranto dipendono non soltanto i lavoratori diretti ma decine di migliaia di lavoratori a valle della produzione di acciaio. Bisogna che il Governo si concentri su questa crisi e che tutti insieme in una logica di sistema si provi a trovare una soluzione».
«I Riva – ha ricordato il presidente di Federacciai – investivano a Taranto e negli altri impianti 350-400 milioni di euro l’anno, la siderurgia è capital intensive, ha bisogno di investimenti continui per mantenere la qualità del prodotto e la sicurezza della produzione. Purtroppo in questi anni questi investimenti non ci sono stati, però si sono fatti importantissimi investimenti di ambientalizzazione. Oggi la situazione di Taranto è completamente diversa da quella di dieci anni fa. Oggi Taranto dal punto di vista degli investimenti ambientali fatti è uno dei primi impianti del mondo. Le premesse per costruire un piano di rilancio ambientale esistono, non esiste più il tema dell’ambientalizzazione esiste semmai il tema della decarbonizzazione ma le due cose non vanno confuse: ambientalizzare significa evitare emissioni nocive per la salute dei lavoratori e dei cittadini circostanti, decarbonizzare significa ridurre le quote di meissione di CO2 che un altoforno emette. Ma sono due cose completamente diverse. Esistono oggi le condizioni per un piano industriale di rilancio, bisogna naturalmente decidere chi lo fa, non siamo più nell’era delle partecipazioni statali, gloriose per la nostra città di Genova e per la Finsider, non è immaginabile la riedizione di una cosa che non esiste più ma potrebbe anche essere che lo Stato in fase transitoria decida di intervenire seriamente su quell’azienda e costruisca un’ipotesi di riprivatizzazione. Bisogna partire dalla considerazione che l’Italia senza Ilva è un’altra Italia dal punto di vista industriale. La situazione oggi è una situazione di blocco con un privato che ha cessato di investire a Taranto da anni, che ha tolto i finanziamenti, l’asfissia finanziaria di Taranto è spiegabile col fatto che Arcelor Mittal non sostiene finanziariamente l’Ilva, perché altrimenti l’Ilva non sarebbe strangolata mentre invece lo è. Allora bisogna prendere atto della situazione, definire bene i problemi, e definire i problemi costituisce già una mezza soluzione, ed esplorare le strade che esistono per salvare questo asset che è strategico per l’industria italiana. Noi siamo disponibili, come ha detto il presidente Bonomi, a fare la nostra, nel senso che siamo dei siderurgici, ci intendiamo del mestiere, siamo disponibili a sederci intorno a un tavolo con il governo con le organizzazioni sindacali eccetera e a ragionare su cosa è possibile fare per salvare questo asset».
Ciò che sta succedendo in Europa e nel mondo, secondo Gozzi, fa capire che «senza acciaio le grandi aree economiche non vivono, non c’è nessuna grande area economica nel mondo che faccia a meno dell’acciaio. È finita l’ubriacatura di ragionamenti ambientalistici generici, e quando si scende nel merito delle soluzioni concrete per decarbonizzare anche l’acciaio noi diciamo con orgoglio che la siderurgia italiana è campione del mondo nella decarbonizzazione, non esiste siderurgia al mondo che abbia l’80% della produzione fatta da forno elettrico e quindi sostanzialmente decarbonizzata. Ma noi vogliamo fare ancora di più, vogliamo arrivare all’orizzonte del 2030 con un acciaio totalmente verde. Cioè addirittura con emissioni negative di CO2. E stiamo lavorando per questo. C’è know how in Italia, siamo concentrati sui temi del climate change e su come fare per mantenere le produzioni dell’industria di base dell’acciaio nel nostro Paese. Dobbiamo capire i problemi, affrontarli e gestirli da quel grande Paese industriale che l’Italia è, non dobbiamo decidere di giocare in serie B, siamo un Paese dal punto di vista industriale in serie A, siamo campioni, la nostra elettrosiderurgia è campione mondiale, cerchiamo di trovare delle soluzioni».
L’acciaieria è uno dei settori energivori e il rincaro dei prezzi dell’energia è un fenomeno che oggi sta battendo ogni record. Come superare questa difficoltà?
«Quando il Paese riuscirà a non essere più dipendente dal gas russo, e io credo che questo avverrà nel giro di un anno e mezzo-due – precisa il presidente di Federacciai – il tema del prezzo del gas, e quindi del prezzo dell’energia, perché il prezzo dell’energia elettrica dipende dal prezzo del gas, secondo me sarà sostanzialmente risolto, magari non torneremo ai prezzi di due anni fa ma non ci sarà più una crisi energetica, che oggi è spinta da una ragione oggettiva, uno squilibrio tra domanda e offerta poiché è mancato il gas russo. Il gas è stato usato come strumento di ricatto nei confronti dell’Occidente, dell’Europa. Ma il Mediterraneo è un mare di gas, esistono le tecnologie che consentono di usare il gas in maniera decarbonizzata, e per troppo tempo nell’ideologismo ambientalista, solo perché si parlava di un idrocarburo, non si sono perseguite queste strade che invece ci sono e sono promettenti. Se un impianto a ciclo combinato turbogas è completamete decarbonizzato perché ci sono le tecnologie che consentono di decarbonizzare non si deve usare il gas? Io sto investendo in rinnovabili ogni volta che è possibile per alimentare il forno elettrico ma per bene che vada le rinnovabili mi coprono il 20% del mio fabbisogno. Le altre 6 mila ore con cosa le devo coprire? Ho bisogno di di energia di base decarbonizzata, e ci sono soltanto due strumenti per averla, uno sono i turbogas con i cicli combinati a energia decarbonizzata e l’altra è l’energia nucleare. Siccome abbiamo tanti impianti di turbogas moderni in Italia possibile che non possiamo applicarci la tecnologia che permette di prendere la Co2, sequestrarla, riutilizzarla in certi casi oppure metterla in pozzi esausti, non sono cose spaziali, i norvegesi lo stanno facendo da tre anni, gli inglesi lo fanno due anni, basta volerlo. Questa è una linea pragmatica, una linea che permette di andare fino in fondo sul tema della decarbonizzazione. Non ci possono accusare di essere dei negazionisti del climate change, al contrario, noi stiamo lavorando per mettere l’industria italiana nelle condizioni di essere compatibile con i processi di decarbonizzazione».