Pëtr Andreevic Vjazemskij (1792-1878) non ci ha lasciato un’opera completa pubblicata durante la sua vita ma trentasei taccuini scritti nel corso di una settantina d’anni in modo non sistematico, e poi usciti in edizioni parziali.
Membro dell’alta nobiltà russa – i principi Vjazemskij discendevano in linea diretta da Rjurik, il variago i cui successori diedero origine alla Rus’ – lo scrittore nacque a Pietroburgo. Fu educato nella scuola dei gesuiti a Pietroburgo. Nel 1812 partecipò come volontario alla guerra contro Napoleone, servì poi nel Ministero delle finanze e dal 1819 al 1858 al Ministero dell’istruzione pubblica. Passò gli ultimi anni della sua vita all’estero. Fu giornalista, collaboratore di varie testate, come Vestnik Evropy e Moskovskij Telegraf, critico, romanziere, memorialista ma il suo genere preferito era l’epistola, in cui si burlava senza acrimonia del suo mondo, la nobiltà russa e i letterati, ma anche di militari, servitori, cocchieri, donne più o meno galanti, con riflessioni, brevi ritratti, battute di spirito. Di lui l’amico Puškin, disse che era una «svista» della Natura, che lo aveva scelto per far bella mostra di tutti i suoi doni, ma eccedendo, giacché aveva combinato nel suo beniamino «ricchezza, nobiltà, mente eletta, animo gentile e caustico sorriso».
«Il destino – ha scritto Vjazemskij – ha pubblicato la mia vita su foglietti volanti. Non è un bel quaderno rilegato, e così la mia vita si può leggere solo a brani e spizzichi … Dio non mi ha regalato un en face ma solo alcuni profili» .
Adelphi in “Briciole della vita” ci propone un florilegio degli scritti di Vjazemskij. Un libretto che getta un fascio di luce sulla Russia di Puškin e di Gogol, delizioso e avvincente anche grazie alla prefazione della curatrice, Serena Vitale.