Il conflitto tra Russia e Ucraina ci porta a verificare la validità del modello interpretativo proposto da Samuel Huntington – professore alla Harvard University, già direttore del John T. Olin Institute for Strategic Studies e presidente della Harvard Academy for International and Area Studies – nel suo saggio, pubblicato la prima volta nel 1996, “The Clash of Civilization and the Remaking of World Order, Simon & Schuster, New York 1996, trad. it. “Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale”, Garzanti.
All’indomani del crollo dell’Unione Sovietica e della fine della guerra fredda si era diffusa la convinzione, espressa, con effetto mediatico clamoroso, nel 1992 da Francis Fukuyama, nel volume “The End of History and the Last Man” (pubblicato in Italia da Utet, “La fine della storia e l’ultimo uomo”). Fukuyama, oggi senior fellow dell’Università di Stanford, in precedenza docente alla Johns Hopkins University e alla George Mason University, ipotizzava una vera e propria “fine della storia” con l’avvento della globalizzazione guidata dalle liberaldemocrazie occidentali. Secondo Huntington, al contrario, la fine della guerra fredda non solo non avrebbe portato all’affermarsi di un modello unico, ma avrebbe liberato le diverse civiltà dal bipolarismo politico e ideologico Usa-Urss, lasciandole libere di svilupparsi e distinguersi dalle altre autonomamente.
Huntington ritiene che, sotto la spinta della modernizzazione, la politica planetaria si stia ristrutturando secondo linee culturali differenti in differenti aree del mondo. Modernizzazione non equivale a occidentalizzazione. La prima è perseguita dalle classi dirigenti di quasi tutto il mondo, la seconda incontra crescente ostilità. Se un tempo si poteva parlare (in Occidente) della civiltà (un complesso ideologico-culturale-morale in base al quale giudicare il grado di civilizzazione, e il diritto all’autonomia di un popolo) oggi bisogna constatare che esistono le civiltà. I popoli e i paesi con culture simili si avvicinano. Le alleanze determinate da motivi ideologici o dai rapporti tra le superpotenze lasciano il campo ad alleanze definite dalle culture e dalle civiltà. I confini politici tendono ad avvicinarsi a quelli culturali. Huntington individua nove civiltà, Occidentale, Latinoamericana, Africana, Islamica, Sinica, Indù, Ortodossa, Buddista e Giapponese. E ritiene sbagliata l’idea di una civiltà che si afferma sulle altre come universale, con l’affermazione del modello liberaldemocratico occidentale. L’Occidente, anzi, è in declino, vede ridursi la propria potenza economica e militare e quindi anche il proprio prestigio culturale. I rischi maggiori di conflitto sono tra gruppi di differenti civiltà. In particolare il maggior pericolo è rappresentato dai “conflitti di faglia”, quei conflitti, cioè, che si sviluppano tra Stati limitrofi, appartenenti a civiltà diverse e dalla pretesa di un Paese leader di una civiltà di intromettersi in un conflitto tra Paesi di un’altra civiltà.
Il modello proposto da Huntington si è dimostrato, a nostro parere, il più valido per interpretare la realtà degli ultimi trent’anni. In occasione della guerra russo-ucraina lo studioso americano è stato accusato di avere sbagliato là dove affermava che «se l’elemento cardine del mondo odierno sono le civiltà, allora la possibilità di uno scontro violento tra russi e ucraini appare remota. Si tratta infatti di due popoli slavi, prevalentemente ortodossi che per secoli hanno mantenuto stretti rapporti e tra i quali i matrimoni misti sono oltre modo frequenti». Ma Huntington osservava anche che «l’Ucraina è un Paese diviso, patria di due diverse culture. La linea di faglia tra civiltà occidentale e ortodossa attraversa il cuore del Paese, e così è stato per secoli» e ipotizzava che si spaccasse in due distinte entità e che la parte orientale venisse annessa alla Russia oppure che l’Ucraina restasse unita e indipendente e sviluppasse poi legami di cooperazione con la Russia. Un ventaglio di ipotesi che, formulato una trentina d’anni fa, non sembra inficiare la funzionalità del modello interpretativo. Il modello di Huntington ha avuto anzi clamorose conferme con l’attentato delle Torri Gemelle del 2001 e l’espandersi del fondamentalismo islamico, il progressivo allontanamento della Russia di Putin dall’Occidente e l’ascesa della Cina come superpotenza.
Anche su piano economico il mondo sembra articolarsi in blocchi che frantumano la globalizzazione. L’articolo di Davide Siviero pubblicato da Liguria Business Journal il 2 maggio scorso (vedi qui ) analizza il processo politico ed economico che sta portando a un mondo chiuso, diffidente, diviso in blocchi, in cui le crisi politiche più facilmente si tramutano in crisi militari. Questi blocchi tendono a coincidere con le civiltà definite da Huntington.
Lo studioso americano vede come maggior pericolo di una guerra mondiale l’eventualità di un conflitto tra Cina e Vietnam in cui gli Usa intervengano dalla parte dei vietnamiti. Lo schema resta verosimile anche se il Vietnam, molto probabilmente, va sostituito con Taiwan. Gli abitanti dell’isola non hanno alcuna intenzione di essere governati da Pechino e di rinunciare alle loro libertà, d’altra parte la Cina, nazionalista e indifferente ai diritti individuali, è decisa a riannettersi prima o poi quella che considera parte inalienabile del proprio territorio. Gli Usa, che hanno sempre difeso Taiwan, non potrebbero ignorare la sua invasione o – come tutto l’Occidente ha fatto di fronte alla vergognosa repressione dell’autonomia di Hong Kong – limitarsi a deplorarla.
Il lavoro di Huntington, nelle sue quasi 500 pagine (dell’edizione italiana), resta un ottimo strumento interpretativo nella sua concezione di fondo ed è ricco di analisi illuminanti – va considerato un vero e proprio classico – ma nessun modello può restare interamente valido ed esauriente dopo trent’anni. Rispetto ai fatti di oggi bisogna sviluppare un’analisi, pur abbozzata nello “Scontro delle Civiltà”, delle cause del declino morale dell’Occidente, della dinamica della “cancel culture”. E anche delle contraddizioni insite nelle civiltà distinte dall’Occidente. Perché se è vero, come afferma lo studioso americano, che questo non costituisce “la” civiltà” e che le altre civiltà hanno pari diritti di affermare le proprie visioni del mondo, è anche vero che certi principi della civiltà occidentale – principi essenzialmente relativi alla libertà individuale – appartengono a tutta l’umanità e non solo a una parte di essa. Un cinese o un iraniano potrà non sapere cosa sia l’habeas corpus ma, quali che siano le leggi e gli usi del suo paese, ha a cuore la propria inviolabilità personale e, come noi, non gradisce di essere arrestato arbitrariamente, così come le donne di qualsiasi paese amano scegliere da sé i propri vestiti e il modo di comparire in pubblico. Del resto, basti pensare a Taiwan o alla Corea del Sud, dove i principi liberaldemocratici sono ben radicati. Anche le civiltà distinte dall’Occidente hanno il loro tarlo. Oppure non di tarli si tratta ma di lieviti, capaci di farle evolvere in una misura e in una direzione che né un grande studioso come Huntington né tutti noi, trent’anni dopo le sue analisi, possiamo prevedere.
(Foto di apertura dal film Alexander Nevsky di Sergey Eisenstein, 1938)