Peste suina, il Parco del Beigua: un terzo lockdown, ma gli animali non rispettano ordinanze

Il parco evidenzia come gli animali selvatici si muovano e quindi possano diffondere il morbo e l'assenza dell'uomo aggraverebbe solo le cose

Peste suina, il Parco del Beigua: un terzo lockdown, ma gli animali non rispettano ordinanze

L’ordinanza sulla peste suina rischia di essere per le attività legate al turismo outdoor del comprensorio e del Parco del Beigua il terzo lockdown in tre anni. Il rischio è veramente il collasso. Il virus ormai è presente, applicheremo e rispetteremo l’ordinanza, ma è un “pannicello caldo”.

Questa la posizione del Parco del Beigua, che ricorda come gli animali selvatici (volpi, tassi, lupi, corvi) si spostino, soprattutto i lupi che possono percorrere centinaia di chilometri dopo aver mangiato una carcassa. Molti altri animali selvatici entrano a contatto con il virus e anche loro possono trasportarlo.

“Quindi – si legge in una nota – anche senza la presenza dell’uomo nei boschi, il virus è destinato ad espandersi. Anzi forse lo farà in maniera ancor più incontrollata, venendo a mancare quel controllo che i fruitori dei boschi fanno, a integrazione di quello istituzionale, poiché carabinieri Forestali e Servizi veterinari sono altamente sotto organico e non riescono a trovare tempestivamente le carcasse”.

L’azione più efficace da mettere in campo, propone il parco, è aumentare il livello di sicurezza negli allevamenti. Ci sono trentamila persone che lavorano nel comparto suinicolo in Lombardia ed Emilia e vanno tutelate perché rappresentano un’importante fetta di Pil in Italia. Di questa tutela però non devono pagarne il prezzo le professioni, le attività e le aziende legate al turismo di questo territorio, perché la Liguria non è solo mare e c’è, grazie a Dio, chi vive di turismo anche nell’entroterra.

“Come detto, rispettiamo l’ordinanza, ma riteniamo che non sortirà gli effetti sperati, perché volpi e lupi non rispettano le ordinanze e i boschi abbandonati dal monitoraggio dell’uomo rischiano di prolungare e allargare l’emergenza”.

Inoltre si profila una questione legata agli indennizzi: “Non servono elemosine ma grandi indennizzi per tutte le professioni e le attività dell’entroterra che vivono direttamente o indirettamente di turismo, servono investimenti su questo territorio, perché un anno (difficilmente l’emergenza si esaurirà in sei mesi) senza poter fare manutenzione sui sentieri rischia di farceli perdere tutti. Servono veterinari e carabinieri forestali, di cui c’è carenza, per monitorare con competenza il territorio. Serve tutto il volontariato, adeguatamente formato, per collaborare con carabinieri e Servizi veterinari nelle attività di monitoraggio, tanto più ora che il sistema sanitario è sotto pressione per il Covid-19”.

L’auspicio è che si possa arrivare alla definizione di un’autorizzazione in deroga per la pratica delle attività legate al turismo outdoor e per la manutenzione del territorio, concordando le modalità necessarie per minimizzare il rischi di diffusione del virus e al contempo beneficiando di un monitoraggio accurato del territorio, al momento assente.

 

 

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