La settimana scorsa abbiamo trattato della “Russia di Putin” (ed. Il Mulino), scritto dalla genovese Mara Morini, docente di Politics of Eastern Europe e Scienza Politica all’Università di Genova. Morini descrive, in base a dati di fatto, quello della Russia attuale come un «regime non democratico», «sia per il fallimento del suo processo di democratizzazione sia per la mancanza di condizioni minime dei regimi democratici, pluralismo d’informazione, pluralismo partitico, elezioni libere e segrete, rule of law, diritti civili e politici».
Luca Gori, diplomatico italiano che ha prestato servizio, tra l’altro, nelle Ambasciate d’Italia a Mosca e a Washington, nel suo “La Russia eterna” (Ed. Luiss), di cui trattiamo oggi, analizza la Russia sotto i profili sistemico, etico, culturale e geopolitico, presentandola come la patria del “pensiero conservatore”. Dopo l’esperienza di El’cin che ha aperto all’Occidente, Putin ha imposto alla Russia una svolta conservatrice. Svolta che, secondo Gori, «in Russia va letta come un riflesso ricorrente e difensivo, naturale istintivo», perché «il conservatorismo ha sempre accompagnato il percorso di sviluppo della Russia, offrendole un “rifugio” ogni qual volta si è sentita minacciata dall’esterno o messa sotto pressione da spinte riformiste interne di segno “eccessivamente” liberale». Fu così, ricorda lo studioso-diplomatico, dopo le iniziative di carattere riformistico di Alessandro I, Alessandro II, Stolypin, e le confuse aperture di Nicola II. E fu così dopo El’cin. «La scelta conservatrice in Russia va letta come un riflesso ricorrente e difensivo, naturale istintivo».
«Putin – osserva l’autore – ha corretto alcune evidenti storture del sistema emerso nel 1991, riducendo il potere degli oligarchi o fidelizzandone le attività, restituendo un ruolo più profilato allo Stato nei settori strategici e affidando al governo un’ampia funzione regolatrice. Al contempo, ha mantenuto dritta la rotta sull’economia di mercato, sul libero commercio e sulla piena integrazione della Russia nell’economia mondiale. (…) Putin ha sempre rigettato l’idea di una Russia economicamente isolata».
Secondo Gori, «la Russia sembrerebbe confermare l’idea occidentale di un paese radicalmente revisionista del sistema liberale … Ma – a ben guardare – la realtà si rivela più articolata». Il Cremlino rifiuta il ruolo di un Occidente unico dispensatore di patenti di moralità e la pretesa universalista della liberal-democrazia ma accoglie il principio di convivenza tra civiltà diverse, inclusa quella occidentale. Ed è consapevole di essere un paese culturalmente europeo e di avere bisogno di un rapporto con l’Occidente di fronte all’incognita della Cina.
«Nell’accettare le implicazioni di una coesistenza di civiltà – conclude Gori – si rischia di essere accusati di arrendevolezza rispetto ai propri principi e ideali. Senza rinunciare a promuovere i valori occidentali o a criticare quelli del conservatorismo russo o cinese, è giunto il tempo di di prendere coscienza, come atto di realismo non come resa ideologica al sovranismo o all’approccio di civiltà, che il progetto di convergenza universale verso la democrazia liberale, per quanto auspicabile, non è più alla portata … e che quindi dovremmo provare a immaginare un nuovo sistema internazionale, con un perimetro globale ampio, pluralista e inclusivo. Un “ordine di ordini”, che respinga tanto il nazionalismo sciovinista quanto il cosmopolitismo asettico».
L’analisi di Gori ci sembra un utile complemento di quella di Morini. E la sua proposta di un “ordine di ordini” appare realistica. In primo luogo nei confronti della Russia. Teniamo conto del fatto che, con tutti i limiti del regime di Putin denunciati dai due studiosi, i russi non hanno mai conosciuto tanta agiatezza e un grado sia pur minimo di libertà (un paragone con la Cina sarebbe illuminante) come ai nostri giorni: tali fattori potrebbero svilupparsi in collaborazione con l’Occidente. Ma soprattutto, pur con le loro differenze, Europa e Russia condividono valori che li distinguono dalla Cina e dal mondo islamico. Una maggiore intesa tra Europa e Russia potrebbe quindi essere perseguibile, senza che questo comporti l’esclusione di altri “ordini”. Con realismo, cautela e senza ingenue infatuazioni da una parte e dall’altra. La prospettiva di un mondo in cui la leadership degli Usa fosse sostituita da quella della Cina, come alcuni prevedono avvenga anche a breve-medio termine, è inquietante per l’Europa. Ma neppure molto rassicurante per la Russia.