Un anno dopo la scoperta di nuove regioni del genoma legate al rischio di melanoma, un team di ricercatori internazionali identifica un nuovo gene di suscettibilità al melanoma: Atm. Lo studio, guidato da Paola Ghiorzo, docente di Biologia applicata al Dimi – Dipartimento di medicina interna dell’Università di Genova e responsabile della Genetica dei tumori rari presso l’Ospedale Policlinico San Martino, è stato appena pubblicato su Genetics in Medicine, il giornale ufficiale dell’American College of Medical Genetics and Genomics (Acmg).
«Le regioni che avevamo individuato attraverso i recenti studi di associazione ci hanno permesso di restringere il campo per arrivare a identificare nuovi geni – spiega Paola Ghiorzo – ma era necessario individuare i meccanismi, le relazioni causali tra i geni localizzati in queste regioni e il melanoma. A seguito di un riscontro di mutazioni a carico del gene Atm (serine/threonine kinase) in famiglie italiane, abbiamo promosso una collaborazione internazionale tra 22 centri dei consorzi GenoMel e Melanostrum che, con più di 2000 pazienti arruolati, ci ha permesso di evidenziare come particolari alterazioni in Atm predispongano a un rischio intermedio di sviluppare il melanoma».
Bruna Dalmasso, primo autore dello studio, aggiunge: «Atm è un gene di grandi dimensioni ed è soggetto a frequenti alterazioni anche benigne, per cui è stato particolarmente difficile interpretare correttamente il significato delle varianti trovate. Abbiamo confrontato i nostri dati con quelli di estese casistiche di controllo e identificato un aumentato rischio di sviluppare il melanoma sia per le varianti che portano a una perdita di funzione del gene ATM sia per le varianti a incerto significato funzionale».
Atm è un gene coinvolto nei meccanismi di riparazione del danno al Dna che, recentemente, sono diventati oggetto di terapie mirate per altri tipi di neoplasie. È stato associato a un aumentato rischio di altre neoplasie, ma mai al melanoma. Il coinvolgimento di Atm nel rischio di sviluppare melanoma, oltre a una migliore comprensione delle vie che portano a tale sviluppo, potrebbe aprire la strada all’esplorazione di nuove opportunità terapeutiche anche per questa neoplasia che è la più frequentemente letale tra le neoplasie cutanee.