I vaccini sono efficaci contro la variante inglese, la predominante in Italia, mentre hanno qualche problema in più sulla sudafricana. Sono i primi dati emersi dalle analisi sul campo (non sugli studi clinici). Lo dimostrano le pubblicazioni scientifiche basate su dati “real world” e diffuse da Fondazione Gimbe in un seminario formativo riservato ai giornalisti.
in Istraele, dopo la seconda dose di Pfizer/Biontech l’efficacia (qui spieghiamo cosa significa) sulla malattia severa della variante inglese è dell’87% e sull’ospedalizzazione dell’87%, salendo al 92% per la semplice infezione.
Per quanto riguarda la variante sudafricana l’efficacia del vaccino Johnson & Johnson cala al 73,1% e 81,7% dopo 14 e 28 giorni dalla somministrazione. Astrazeneca invece non è effiace, anche se permane la risposta cellulare che potrebbe essere un possibile meccanismo di protezione nei confronti della malattia severa.
Il vaccino Novavax, che non è ancora disponibile in Europa, sulla variante sudafricana ha un’efficacia del 49,4% su quella sintomatica, ma per quanto riguarda la malattia severa, si è verificata solo nel gruppo placebo.
Per quanto riguarda la variante brasiliana si registra una riduzione dell’attività neutralizzante nei sieri dei vaccinati con mRna, però è sempre presente anche nei pazienti con risposta minore al vaccino.
Moderna ha annunciato il 5 maggio un potenziamento con richiamo sulla variante brasiliana.
La variante indiana è stata identificata a ottobre. Tuttavia non è l’unica a circolare in India, visto che sono presenti e varianti sudafricana, brasiliana e inglese, il cui “peso” è attualmente sconosciuto.
In ogni caso a oggi non ci sono evidenze secondo le quali i vaccini disponibili non funzionino contro le varianti attualmente presenti. Secondo Renata Gili è fondamentale ridurre le possibilità di mutazioni virali attraverso: vaccinazione, utilizzo della mascherina e distanziamento sociale.
«Ogni virus subisce mutazioni − spiega Renata Gili responsabile Ricerca sui Servizi Sanitari della Fondazione Gimbe − sia quando si ritrovano all’interno di un ospite, sia durante la fase di trasmissione, il contagio. Anche il Covid, lo sappiamo bene, esistono però solo alcune varianti che vengono considerati preoccupanti. Si tratta delle cosiddette “variants of concern” che hanno caratteristiche di: maggior trasmissibilità, aumento della gravità della malattia, riduzione della capacità di neutralizzazione del virus da parte degli anticorpi, riduzione dell’efficacia di farmaci o vaccini disponibili, impatto sulla diagnosi, ossia la capacità di sfuggire ai tamponi».
Per il Covid sono quattro le variants of concern: la variante inglese (più contagiosa e di maggior letalità, al momento dominante in Italia), la variante brasiliana, con mutazioni simili alla variante sudafricana (che riduce l’efficacia di alcuni vaccini), la variante californiana (più contagiosa, anche se meno rispetto a quella inglese). La cosiddetta variante indiana è ancora una variant of interest, nel senso che si conosce ancora troppo poco per capire se sia preoccupante.