Pressione ancora alta sia sulle terapie intensive, sia sui posti letto area medica per quanto riguarda l’occupazione da parte dei pazienti Covid rispetto alle soglie, ma percentuali entrambe in calo. La Liguria però peggiora sui casi testati ogni 100 mila abitanti, una sorta di allentamento dell’attenzione sulla reale diffusione del virus.
Il nuovo monitoraggio della Fondazione Gimbe sulla diffusione dell’epidemia da Covid per la settimana 2-8 dicembre vede per la Liguria un lieve miglioramento: i posti letto di terapia intensiva occupati sono il 41% contro il 47% della settimana scorsa (soglia 30%), comunque l’ottavo posto in Italia, mentre i posti di area medica occupati da pazienti Covid sono il 47% contro il 54% della settimana scorsa (soglia 40%).
La Liguria migliora, rispetto al monitoraggio della settimana precedente, anche sul numero di casi attualmente positivi per 100 mila abitanti (628), l’incremento percentuale dei casi (4,1%) e il rapporto positivi casi testati: 28,5%, peggiora invece sui casi testati per 100 mila abitanti (486), un dato per nulla rassicurante, visto che è ciò che consente di monitorare realmente l’andamento dell’epidemia.
«La riduzione del bacino degli attualmente positivi – dice il presidente di Gimbe Nino Cartabellotta – è lenta, modesta, oltre che sovrastimata dalla notevole riduzione di tamponi e casi testati delle ultime settimane». A livello nazionale si è passati dal record di 124.575 casi testati in media al giorno della settimana 4-11 novembre, a un decremento del 36,8% in quella dal 2-8 dicembre (-45.851 casi testati/die). Meno evidente la riduzione dei tamponi totali, passati da una media di 214.187/die della settimana 12-18 novembre ai 179.845 della settimana 2-8 dicembre, con un calo giornaliero medio di 27.907 tamponi (-13,4%).
A livello nazionale il monitoraggio indipendente della Fondazione Gimbe conferma nella settimana 2-8 dicembre, rispetto alla precedente, una flessione dei nuovi casi (136.493 vs 165.879), a fronte di una riduzione di oltre 121 mila casi testati (551.068 vs 672.794) e di una sostanziale stabilità del rapporto positivi/casi testati (24,8% vs 24,7%). Calano del 5,4% i casi attualmente positivi (737.525 vs 779.945) e, sul fronte degli ospedali, diminuiscono sia i ricoveri con sintomi (30.081 vs 32.811) che le terapie intensive (3.345 vs 3.663); in lieve riduzione anche i decessi (4.879 vs 5.055).
«Anche questa settimana – dichiara Cartabellotta – si confermano evidenti segnali di rallentamento del contagio quali la riduzione dell’incremento percentuale dei casi totali e del numero dei nuovi casi settimanali, ma l’effetto non è dovuto solo alle misure introdotte. Da questi numeri emergono tre ragionevoli certezze: innanzitutto che le misure introdotte hanno frenato il contagio; in secondo luogo che l’effetto delle misure sull’incremento dei nuovi casi è sovrastimato da una consistente riduzione dell’attività di testing; infine che, a invarianza di misure restrittive, la discesa della curva sarà molto lenta, certo non paragonabile a quella della prima ondata».
Se le misure di mitigazione hanno allentato la pressione su ricoveri e terapie intensive che hanno superato il picco e iniziato una lenta fase discendente, la soglia di occupazione per pazienti Covid continua a rimanere oltre il 40% nei reparti di area medica e del 30% nelle terapie intensive in 15 Regioni. La curva dei decessi comincia a salire in maniera meno ripida.
«Con questi numeri – spiega Cartabellotta – il Paese si presenta come un paziente con “quadro clinico” ancora molto grave e instabile che, superata la fase acuta, formata dal picco di contagi e dei pazienti ospedalizzati, inizia a mostrare i primi segni di miglioramento grazie alle terapie somministrate. La prognosi rimane riservata e, per essere sciolta, richiede una rigorosa e prolungata “compliance” a tutte le misure individuali, al distanziamento sociale e alle restrizioni imposte da governo e Regioni».
«Siamo in una fase estremamente delicata dell’epidemia – ribadisce Renata Gili, responsabile Ricerca sui Servizi Sanitari della Fondazione Gimbe – per almeno tre ragioni: innanzitutto con oltre 700 mila attualmente positivi è impossibile riprendere il tracciamento dei contatti; in secondo luogo, ci attendono lunghi mesi invernali che favoriscono la diffusione di tutti i virus respiratori; infine, sino a metà gennaio non sapremo se l’impatto dell’influenza sarà, come auspicato, più contenuto rispetto alle stagioni precedenti. In tal senso, arrivare a quel momento con gli ospedali saturi potrebbe avere conseguenze disastrose per la salute e la vita delle persone».
«Altri due elementi – evidenzia Cartabellotta – completano la tempesta perfetta che rischia di innescare la terza ondata. Alla vigilia delle festività natalizie, tutte le Regioni si avviano a diventare gialle, un colore che non deve essere letto come un via libera, ma impone il rispetto di regole severe per impedire assembramenti e ridurre al minimo i contatti sociali tra persone non conviventi. Infine, l’auspicato e imminente arrivo del vaccino non deve costituire un alibi per abbassare la guardia: nella più ottimistica delle previsioni un’adeguata protezione a livello di popolazione potrà essere raggiunta solo nell’autunno 2021 con una massiccia adesione delle persone alla campagna di vaccinazione».