La Liguria non è ancora abbastanza attrattiva dal punto di vista sanitario: la mobilità sanitaria interregionale, cioè il fenomeno di spostamento dei cittadini italiani per l’assistenza in strutture sanitarie di regioni differenti da quella di residenza, genera nella nostra regione un saldo negativo di 51,1 milioni di euro. Ciò significa che la “mobilità passiva” (la voce di debito che rappresenta l’indice di fuga da una regione), che in Liguria pesa per 206,4 milioni di euro, supera la “mobilità attiva”, cioè la voce di credito che identifica l’indice di attrazione di una regione. Questo valore si ferma a 155,6 milioni.
I cittadini italiani hanno il diritto di essere assistiti in strutture sanitarie di regioni differenti da quella di residenza, determinando il cosiddetto fenomeno della mobilità sanitaria interregionale, distinta in mobilità attiva (voce di credito che identifica l’indice di attrazione di una regione) e mobilità passiva (voce di debito che rappresenta l’indice di fuga da una regione).
Annualmente vengono effettuate le compensazioni finanziarie tra regioni su 7 flussi finanziari: ricoveri ospedalieri e day hospital (differenziati per pubblico e privato accreditato), medicina generale, specialistica ambulatoriale, farmaceutica, cure termali, somministrazione diretta di farmaci, trasporti con ambulanza ed elisoccorso.
Secondo il report elaborato e diffuso dalla Fondazione Gimbe, nel 2018 il valore della mobilità sanitaria nazionale ammonta a 4.618,98 milioni di euro, importo approvato dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome il 31 marzo 2020, previa compensazione dei saldi.
Dal punto di vista della mobilità attiva, le sei regioni con maggiori capacità di attrazione vantano crediti superiori a 200 milioni: in testa Lombardia (26,1%) ed Emilia-Romagna (13,9%) che insieme drenano il 40% della mobilità attiva. Un ulteriore 31,9% viene attratto da Veneto (9,6%), Lazio (8,5%), Toscana (8,1%) e Piemonte (5,8%). La Liguria si piazza comunque al settimo posto, con un credito di circa 155 milioni di euro. Il rimanente 28,1% si distribuisce nelle altre Regioni e Province Autonome, oltre che all’ospedale pediatrico Bambino Gesù (244,7 milioni di euro) e all’associazione dei Cavalieri Italiani del Sovrano Militare Ordine di Malta (43 milioni di euro). In generale, emerge la forte attrazione delle grandi regioni del Nord, a cui fa da contraltare quella estremamente limitata delle regioni del Centro-Sud, con la sola eccezione del Lazio.
Guardando i dati relativi alla mobilità passiva, ciascuna delle 6 regioni con maggiore indice di fuga genera debiti per oltre 300 milioni di euro: Lazio (13%) e Campania (10,5%) costituiscono circa un quarto della mobilità passiva; un ulteriore 28,7% riguarda Lombardia (8,2%), Puglia (7,3%), Calabria (6,7%), Sicilia (6,5%); il rimanente 47,8% si distribuisce nelle altre 15 Regioni e Province Autonome. La mobilità passiva presenta differenze Nord-Sud più sfumate: gli indici di fuga sono elevati in quasi tutte le regioni del Sud, ma sono rilevanti anche in tutte le regioni del Nord con elevata mobilità attiva, documentando specifiche preferenze dei cittadini agevolate dalla facilità di spostamento: Lombardia (-379,9 milioni), Emilia-Romagna (-275,9 milioni), Veneto (-274,7 milioni), Piemonte (-263,8 milioni), Toscana (-207,6 milioni) e Liguria (-206,4 milioni).
Le regioni con saldo positivo superiore a 100 milioni di euro sono tutte del Nord, mentre quelle con saldo negativo maggiore di 100 milioni tutte del Centro-Sud.
Si distinguono per un saldo positivo rilevante Lombardia (739,6 milioni), Emilia-Romagna (324 milioni), Veneto (140,9 milioni) e Toscana (139,3 milioni). Saldo positivo moderato per il Molise (33,7 milioni). Hanno un saldo positivo minimo la Provincia Autonoma di Bolzano (2,1 milioni) e la Provincia Autonoma di Trento (0,5 milioni). Saldo negativo minimo in Valle d’Aosta (-4,7 milioni), Friuli-Venezia Giulia (-6,8 milioni), Umbria (-10,4 milioni) e Piemonte (-13,5 milioni). Le regioni con un saldo negativo moderato sono Marche (-34,4 milioni), Basilicata (-48,4 milioni), Liguria (-51,1 milioni) e Sardegna (-90,4 milioni). Saldo negativo rilevante per Abruzzo (-100,8 milioni), Puglia (-206,4 milioni), Sicilia (-228,7 milioni), Lazio (-230,7 milioni), Calabria (-287,4 milioni), Campania (-350,7 milioni).
Saldo pro-capite di mobilità sanitaria
Fondazione Gimbe ha anche elaborato l’indicatore relativo al saldo pro-capite di mobilità sanitaria, con cui «la classifica dei saldi si ricompone dimostrando che, al di là del valore economico, gli importi relativi alla mobilità sanitaria devono sempre essere interpretati in relazione alla popolazione residente», spiega il presidente della Fondazione, Nino Cartabellotta.
In particolare, il Molise conquista il podio nella classifica per saldo pro-capite, mentre le differenze tra Lombardia (74 euro) ed Emilia Romagna (73 euro) di fatto si annullano; la Calabria precipita in ultima posizione con un saldo pro-capite negativo di 148 euro, superiore addirittura alla somma del saldo pro-capite positivo di Lombardia ed Emilia-Romagna (147). Riguardo alla mobilità passiva, la Liguria registra una spesa pro capite elevata, vicina ai 150 euro, quinta in Italia dopo Molise, Basilicata, Calabria e Abruzzo.
«Tutte le nostre analisi – precisa Cartabellotta – sono state effettuate esclusivamente sui dati economici della mobilità sanitaria aggregati in crediti, debiti e relativi saldi, ma per studiare al meglio il fenomeno abbiamo inoltrato formale richiesta di accesso ai flussi integrali dei dati al ministero della Salute e alla Conferenza delle Regioni e Province autonome». Questi dati permetterebbero di analizzare, per ciascuna regione, la distribuzione delle tipologie di prestazioni erogate in mobilità, la differente capacità di attrazione tra strutture pubbliche e private accreditate, la residenza di chi sceglie di curarsi fuori Regione per distinguere le dinamiche della mobilità “fisiologiche” da quelle francamente “patologiche”.
«I dati pubblicamente disponibili – conclude Cartabellotta – se da un lato dimostrano che il denaro scorre prevalentemente da Sud a Nord, dall’altro confermano che l’impatto economico della mobilità sanitaria è molto più elevato di 4,6 miliardi: se un lato è difficile quantificare i costi sostenuti da pazienti e familiari per gli spostamenti, dall’altro è impossibile stimare sia i costi indiretti (assenze dal lavoro di familiari, permessi retribuiti), sia quelli conseguenti alla mancata esigibilità delle prestazioni territoriali e socio-sanitarie, diritti che appartengono alla vita quotidiana delle persone e non alla occasionalità di una prestazione ospedaliera».