La Liguria al momento non ha un dato di sufficiente qualità per il calcolo del cosiddetto indice di contagio.
Per questo non è stata compresa nell’elenco di 13 regioni e due province autonome, presentato oggi dall’Istituto Superiore di Sanità nella conferenza stampa dedicata soprattutto all’evoluzione del contagio da coronavirus in vista della Fase 2.
I vertici dell’Iss hanno comunque spiegato che i dati sono in fase di consolidamento e che dalla prossima settimana dovrebbero essere aggiunti.
La curva mostrata durante la conferenza stampa dimostra che anche in Liguria comunque i casi si riducono confrontando aprile con il periodo precedente. A livello nazionale aumenta l’utilizzo dei tamponi, crescono gli asintomatici o coloro che hanno patologie lievi e si riducono i pazienti critici.
Sono stati applicati modelli matematici per stimare l’andamento di R0 (R con zero), che dà la misura della capacità del virus di diffondersi in assenza di misure di contenimento, e di Rt (R con t), parametro che indica l’indice di riproducibilità del virus in un dato momento in presenza di misure, in alcune regioni. In Lombardia il valore di R0 ha raggiunto il massimo di 3 (una persona ne contagiava almeno 3) tra il 17 e il 23 febbraio, per poi iniziare la discesa man mano che venivano adottate le misure di contenimento a livello locale e nazionale. L’indice di contagio in Italia è tra 0,2 e 0,7 ma ci vuole poco a tornare sopra la ‘soglia’ R0 maggiore di 1, ossia una nuova fase di crescita con una persona che ne può infettare un’altra.
La tempistica dei dati
Stefano Merler, responsabile dell’Unità di Ricerca Dynamical Processes in Complex Societies della Fondazione Bruno Kessler (che ha condotto alcune ricerche insieme all’Iss) ribadisce che i dati quotidiani sui nuovi positivi non danno il quadro della giornata o dei giorni precedenti ma rappresentano un quadro che può andare dai 5 ai 22 giorni precedenti
«I dati hanno ritardi intrinseci – spiega – per esempio tra insorgenza di sintomi e diagnosi è stato calcolato una media di 5.5 giorni, ma può andare da 0 a 16 giorni. Il ritardo medio dalla diagnosi alla notifica è di circa una settimana. Un tampone positivo inserito nei dati odierni, per esempio, si riferisce a una persona ammalata da 5 a 22 giorni prima. Il ritardo medio dalla data di inizio sintomi alla data di decesso è di circa 18 giorni, ma si va da 2 a 5 settimane».
Merler conferma che erano già molte le persone infette prima della data di notifica del primo caso del 20 febbraio. «L’insorgenza dei sintomi è partita di sicuro a gennaio e forse chissà, anche prima», afferma.
Per fare una stima del cosiddetto R0 occorre tenere conto di altri parametri dunque, visto che non si ha idea del tempo di esposizione alla malattia, ossia il momento in cui il malato si è infettato: «Il dato certo è quello dell’insorgenza dei sintomi, stimando un intervallo seriale di 6,6 giorni in media, dai dati di contatto tra un’infezione e l’altra per la Lombardia, che permette di fare la stima più coerente di R0».
La trasmissibilità, secondo questo studio, è cominciata già a calare già prima del lockdown, ma è in parte ricresciuta per esempio a Codogno, dimostrando che il margine è sottilissimo per tornare sopra soglia.
Altri indicatori utili sono le ospedalizzazioni, definito però su un campione molto più piccolo.
La letalità complessiva italiana è del 13,1% (10% nella fascia 60-69 anni, 24,9% nella fascia 70-79 anni, 30,8% in quella 80-89 e 26,1% oltre i 90 anni). Tuttavia questo censimento riguarda solo i morti con tampone positivo, non intercettandone probabilmente parecchi non testati.
Sempre a livello nazionale, l’Iss ha specificato che il luogo di esposizione tra i casi notificati dal 1 al 23 aprile è nel 44,5% in Rsa o casa di riposo o comunità di persone disabili, mentre nel 24,7% dei casi è successo in ambito famigliare. Anche questa statistica però ha un campione limitato: solo il 10% dei casi segnalati.
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