Dal 2003 al 2013 in Liguria, sui 110 km spiagge, risultano in erosione 18 km (persi 100 mila metri cubi), 60 km sono stabili e 32 km sono in avanzamento (350 mila metri cubi in più).
Merito delle leggi e di una maggiore attenzione, che si sta traducendo in una migliore pianificazione regionale, ma non è tutto risolto, anzi.
Il convegno “Erosione ed inondabilità dei litorali: effetti sul paesaggio e sullo sviluppo sostenibile della fascia costiera“, organizzato dal Consiglio nazionale dei Geologi e dall’Ordine dei Geologi della Liguria, ha fatto il punto sulla situazione, rilanciando anche la necessità di una collaborazione tra enti e istituzioni, per la salvaguardia della linea di costa ligure, messa a prova duramente dalla cementificazione e da alcune opere che hanno fatto più male che bene alla protezione delle spiagge. Senza contare le problematiche alle foci dei torrenti o causate dalle difese per porti e porticcioli.
Buone le risposte arrivate dalle istituzioni, in questo caso dall’assessore regionale Giacomo Giampedrone e dall’assessore del Comune di Genova Paolo Fanghella. Il presidente dell’Ordine dei Geologi della Liguria Carlo Civelli parla di pianificazione a livello di comprensorio, aspetto condiviso dallo stesso Giampedrone, che ha parlato della necessità di fare sistema tra enti e creare tavoli di lavoro. Altrimenti il rischio è che opere puntuali per salvaguardare 100 metri di costa, non tengano conto della possibilità di danneggiare magari la spiaggia poco distante.
«Abbiamo un’eredità molto pesante – spiega Civelli – la costa ha un’importanza enorme dal punto di vista paesaggistico e della sostenibilità economica sia turistica sia portuale, questa risorsa va salvaguardata, pur sapendo che in passato sono stati fatti molti errori: abbiamo costruito sulla battigia, tagliando fuori i sedimenti dal ciclo dinamico lungo la costa, che restano fermi e non rimessi in gioco durante le mareggiate». Si è cercato, con superficialità, di fare opere di difesa, che hanno spostato il problema da un tratto di litorale a quello adiacente. Per questo la gestione comprensoriale è fondamentale. Occorre, secondo Civelli fare sistema anche fra professioni tecniche.
Dove è possibile, il ripascimento con spiaggia rappresenta la migliore difesa, come mostra Carlo Cavallo, geologo in forza alla Regione Liguria (settore costiero e acqua) mostrando l’intervento a Bordighera: «Nel 2003 avevamo scogliere parallele a difendere una parte di litorale, mentre un’altra parte era abbandonata, priva di spiaggia. Grazie ai finanziamenti ottenuti nel 2004, abbiamo potuto utilizzare 300 mila metri cubi di materiale preso dall’alveo del torrente vicino. Questo ripascimento strutturale ha in sostanza reso inutili le barriere parallele, creando una spiaggia di 60-70 metri nel 2006. Dopo 13 anni e diverse forti mareggiate, è esattamente uguale». Il mare non arriva sulle strutture riflettenti e quindi non attua l’erosione.
Altro esempio positivo: ad Ameglia, alla foce del Magra, nel 2014, grazie a interventi per la navigabilità proprio alla foce, sono stati dragati 100 mila metri cubi di materiale e spostati nella spiaggia limitrofa. Nel 2016 la zona critica della spiaggia è aumentata di 20-30 metri. Oggi ha persino saturato le secche di difesa che a questo punto sono inutili. «Questo – ammonisce Cavallo – non si può fare ovunque, occorrono particolari condizioni ambientali, per esempio l’assenza di prateria di posidonia»
La Liguria è una delle prime Regioni in Italia che ha affrontato il tema della gestione integrata delle zone costiere attraverso il piano di tutela dell’ambiente marino costiero che viene realizzato per stralci territoriali. Grazie a un finanziamento europeo (progetto Maregot), la Regione Liguria sta concludendo quello per la provincia della Spezia. La Regione conta di approvarlo nel 2020. Già realizzato quello del Golfo del Tigullio e la zona del Finalese e Alassio. Per realizzarlo occorre una collaborazione tra ingegneri, geologi e naturalisti-biologi. Comprende una parte dedicata proprio al rischio costiero, legato alla proposta di interventi compatibili con la salvaguardia naturalistica.
Il trasporto solido dei sedimenti è migliorato grazie alle leggi, come spiega Marco Ferrari, docente di geografia fisica e geomorfologia del Distav (dipartimento di Scienze della terra, dell’ambiente e della vita) dell’Università di Genova. I problemi sono sull’urbanizzazione selvaggia che ha portato strutture rigide riflettenti a interagire con il mare.
«Le strutture portuali sono uno dei principali motivi di squilibrio – dice Ferrari – ad Arenzano la diga del porticciolo ha provocato un blocco nello spostamento del sedime». Si è formata una nuova spiaggia, ma dall’altro lato (sottoflutto) ha assunto la classica forma a parabola. Non è un caso che proprio nella parte meno spessa sia soggetta a più danni durante le mareggiate.
Ferrari spiega come un’opera di difesa può cambiare in meglio o non avere effetti, o addirittura provocarne di indesiderati, se non studiata a sufficienza.
«Le strutture rigide per limitare il moto ondoso dovrebbero essere l’estrema soluzione. L’ideale sarebbe un avanzamento o un mantenimento della linea di costa contrastando il fenomeno erosivo con il riassetto costiero, l’ampliamento delle spiagge con ripascimenti e opere di difesa se necessario e la ricostruzione delle condizioni naturali come l’eliminazione delle strutture rigide e il ripristino dell’alimentazione naturale».
Per esempio le opere di difesa non devono provocare disequilibri, non devono impedire gli apporti sedimentari naturali, devono garantire la salvaguardia delle biocenosi, devono essere adeguate ai cambiamenti climatici, devono essere innovative. Ferrari fa alcuni esempi pratici.
A Bergeggi la spiaggia delle Sirene è rinata dopo l’intervento di ripascimento del 1992. A Noli addirittura, grazie al potenziamento degli appoggi naturali, la spiaggia di Punta Prodani ha superato la lunghezza misurata alla fine del XIX Secolo: 4500 metri circa contro 3000.
Un caso in cui l’opera di difesa ha creato disequilibrio è a Sanremo: i pennelli della spiaggia Tre ponti, o anche quelli a Cervo, che hanno creato flussi divergenti verso l’esterno. La pezza messa successivamente (un pennello centrale) non è stata risolutiva, anzi, ha spezzato in due la spiaggia, replicando la stessa problematica.
La struttura semisommersa ad Arma di Taggia per esempio impedisce ai sedimenti del torrente Armea di raggiungere la spiaggia, danneggiandola invece che proteggerla.
La spiaggia formatasi a Punta Pedale (Santa Margherita Ligure) invece ha provocato la formazione di una risacca che danneggia prateria di posidonia. «La spiaggia – specifica Ferrari – è anche particolarmente instabile perché riceve lateralmente moto ondoso. L’ideale sarebbe realizzarla in posizione più centrale della baia».
Occorre anche non dimenticare che con il cambiamento climatico è probabile che nel giro di 80 anni l’innalzamento del mare superi i 40 cm: «Per le spiagge in ghiaia il problema è relativo – spiega Ferrari, mentre la spiaggia di Alassio sarebbe particolarmente danneggiata, così come la piana di Albenga. «La spiaggia di Alassio – aggiunge Civelli – era sempre stata fortunata perché era in una sorta di golfo e con le correnti da Est a Ovest, più la prossimità della foce del Centa, avevano creato condizioni molto favorevoli alla sedimentazione, tanto che si camminava con l’acqua alle ginocchia sino a 100 metri dalla riva. Ora è una striscia di sabbia, non arrivano gli apporti di prima perché i Comuni vicini si sono attrezzati con barriere soffolte che col tempo hanno ampliato la profondità della spiaggia.
Le mareggiate
A preoccupare sono le frequenze di certe mareggiate. Un modello studiato dall’Università di Genova ha mostrato come nel Golfo del Tigullio, quella dello scorso ottobre sia iniziata a Scirocco e poi girata in Libeccio. «Il ritorno d’onda è stato sopra i 10 anni, non cinquantennale come si è sentito dire – dice Ferrari – l’altezza è stata di 4,5 metri da Libeccio, per esempio nel 2008 erano arrivate a 5 metri».
È probabilmente questa rotazione ad aver creato danni, su spiagge orientate in un certo modo.
Serve anche innovazione: le strutture parallele alla spiaggia hanno oltre 150 anni. Le poche innovazioni hanno riguardato per esempio le piattaforme isola di Pietra Ligure realizzate nel 1968, che consentono ai sedimenti di passare sotto, ma occorre un’attenta progettazione perché non è detto che siano sempre efficaci. A Vallecrosia si è verificato una intervento innovativo con pennelli semi-sommersi e poco radicati a terra. In questo modo i sedimenti passano da una parte all’altra.
Francesco Peduto presidente del consiglio nazionale dei geologi evidenzia: «Capire come queste criticità possono evolvere in futuro è fondamentale, al pari della sensibilizzazione delle istituzioni: noi scontiamo carenze normative e pianificatorie enormi ed è la prima cosa a cui mettere mano se vogliamo pensare di risolvere realmente le situazioni. Non servono gli interventi puntuali, perché amplificano le conseguenze in altri luoghi». Uno studio geologico accurato consente di prevenire disastri e di risparmiare sulla gestione dell’emergenza, anche in caso di mareggiate.
Tornare indietro, dal punto di vista urbanistico è più un sogno, ma alcuni segnali di cambio di mentalità ci sono: «Ho collaborato – racconta il presidente dell’Ordine ligure Civelli – alla redazione del Puc di un Comune nel Ponente ligure in cui si prevedeva un premio per chi abbattesse palazzine lungo la spiaggia, costruendole più a monte con aumento di volume».