Negli Stati Uniti, il rapporto mensile “Fed Beige Book” evidenzia un miglioramento da “modesto” a “moderato” del ritmo di crescita economica dei 12 distretti federali dal 15/10 al 26/11; i sondaggi Ism di novembre sulle aspettative di business a 3-6 mesi dei direttori acquisti dei comparti manifatturiero e servizi battono le attese degli analisti, rispettivamente, a 59,3 punti (dai 57,7 di ottobre) e a 60,7 (da 60,3); in attesa della riunione Fed del 18-19 dicembre (ultima dell’anno), gli operatori valutano sotto le attese, ma sempre coerenti con una crescita economica più che soddisfacente, i dati del mercato del lavoro di novembre, con 155.000 nuove buste paga dal comparto non agricolo contro le 200.000 previste, tasso di disoccupazione invariato al 3,7% (minimo da quasi 50 anni) e crescita mensile dei salari orari del 3,1% annuo (come in ottobre); i prezzi al consumo di novembre crescono in linea con le attese (+0,2% mensile e +2,2% annuo vs. +2,5% di ottobre), con il dato “core” (depurato delle più volatili componenti stagionali di alimentari, energia e trasporti) a +2,2% (dal +2,1% di ottobre). Peggiora a novembre la bilancia commerciale a -55,5 miliardi, a causa dell’aumento dell’esposizione verso la Cina, nonostante i dazi introdotti dalla Casa Bianca.
In Eurozona, il sondaggio Pmi Markit di novembre sulle aspettative di business a 3-6 mesi dei direttori acquisti dei comparti manifatturiero e servizi insieme (composito), seppur rivisto leggermente al rialzo a 52,7 punti (dai 52,4 della stima flash), conferma la perdita di tono della crescita (manifatturiero a 51,8 punti e servizi a 53,4 – deboli i dati italiani, dove i cali della produzione, dei nuovi ordini e delle esportazioni spingono il Pmi manifatturiero a 48,6 punti ovvero sotto la soglia dei 50, che demarca una di espansione da una di contrazione, mentre il Pmi servizi resiste con fatica sopra, a quota 50,3); deludono anche le vendite al dettaglio di ottobre (+0,3% mensile, mentre in Italia ci si accontenta di un +0,1%) e la seconda stima della crescita del pil del III trimestre a +1,65% annuo (dal +1,7% della stima flash), a causa del calo dell’export. C’è grande attesa per l’ultima riunione dell’anno, oggi giovedì 13, della Banca Centrale Europea e della conferenza stampa del presidente Mario Draghi (in carica fino a ottobre 2019), da cui gli operatori attendono la decisione di un’eventuale proroga dopo l’1/1/2019 oppure della fine entro il 31/12/2018 del Quantitative Easing.
In Cina, a novembre, i sondaggi Pmi Caixin sulle aspettative di business a 3-6 mesi dei direttori acquisti accelerano a 51,9 punti (dai 50,5 di ottobre) per il dato composito (manifatturiero e servizi), a 50,2 per il manifatturiero e a 53,8 (da 50,8) per i servizi; meno vigoroso l’interscambio estero, con le esportazioni a +5,4% contro il +15,5% di ottobre e le importazioni a +3% dal +20,8% di ottobre.
L’annuncio tra mercoledì 5 e giovedì 6 del clamoroso arresto (richiesto dalle autorità federali Usa per violazione dell’embargo all’Iran) a Vancouver (Canada) di Meng Wanzhou, chief financial officer e figlia del proprietario di Huawei, azienda cinese leader globale nelle reti, infrastrutture e sistemi per le telecomunicazioni, provoca un violento ribasso sui mercati azionari globali. La volatilità implicita, misura dell’avversione al rischio, Vix sull’S&P500 vola al 24% “a pronti” e al 23% “a termine”), nel timore di una rottura delle trattative così faticosamente riavviate: al calo di giovedì 6 tra il 3% e il 4% dei principali indici azionari statunitensi (con i titoli auto, ciclici, industriali, petroliferi, lusso ed esportatori bersagliati dalle vendite) è seguito un recupero venerdì 7 e lunedì 10, in cui il più seguito e diversificato indice statunitense S&P500, dopo avere sfondato al ribasso per un paio d’ore l’importante supporto tecnico dei 2.600 punti (minimo dell’anno a 2.581), ha recuperato subito dopo, grazie alle voci di un’imminente ripresa dei colloqui tra Usa e Cina (significativa, mercoledì 12, la decisione delle autorità cinesi di ridurre dal 40% al 15% i dazi sulle auto importate dagli Usa).
A Vienna, il cartello Opec dei Paesi produttori ed esportatori di petrolio (senza il Qatar, defilatosi alla vigilia) ha deliberato un taglio di un 1.200.000 barili (quasi al top delle attese degli analisti) della produzione giornaliera di greggio, ma i dubbi degli operatori su tempi e modalità e i persistenti timori di rallentamento della domanda globale (con rischi di una possibile recessione, almeno fino a quando non sarà raggiunto un accordo sul commercio estero tra Usa e Cina) non hanno, per ora, consentito ai future WTI di New York e Brent di Londra di avviare il recupero delle forti perdite dai massimi di inizio ottobre, con le soglie dei 50 e 60 dollari al barile, rispettivamente, sempre a rischio.
Sui mercati obbligazionari, persiste il fenomeno – che molti operatori interpretano, forse un po’ frettolosamente, come un segnale affidabile di imminente recessione – del cosiddetto “appiattimento” (“flattening”) della curva statunitense dei rendimenti, con i rendimenti del titolo governativo (“Treasury”) a 2, 5 e 10 anni in calo rispettivamente al 2,77%, 2,76% e 2,91%. In scia, il rendimento del bund decennale cala allo 0,25%-0,28%, mentre quello del BtP si appoggia al 2,90% (dal 3,70% del 19/10), con lo spread che, finalmente, si allontana dai 300 punti base (260 in avvio di negoziazioni giovedì 13), al termine dell’incontro di mercoledì 12 tra il premier del Governo italiano Giuseppe Conte e il presidente del Consiglio europeo Jean-Claude Junker. Per l’occasione viene dato l’annuncio della riduzione del rapporto deficit/pil previsto dalla Legge di bilancio 2019 dall’originario 2,4% al 2,04%, finalizzata a ottenere il via libera della Commissione europea ed evitare l’avvio della procedura sanzionatoria per “eccesso di debito” (il giorno successivo, però, il commissario europeo agli Affari Economici e Finanziari, Pierre Moscovici, ha dichiarato che i passi compiuti non sono ancora sufficienti). E se, al momento, non si sa ancora come e su quali misure di bilancio – reddito/pensione di cittadinanza, quota 100, flat tax, Iva (!) – andrà a incidere il ridimensionamento della manovra stimato in circa 7 miliardi (sui 37 iniziali), il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia e le associazioni d’impresa chiedono che il Governo recepisca le indicazioni emerse durante i precedenti incontri coi due vicepremier Salvini e Di Maio.
La nostra strategia di allocazione del portafoglio
Pur monitorando attentamente l’andamento della curva dei rendimenti e la ricerca in atto di un nuovo equilibrio dei tassi d’interesse statunitensi, continuiamo a favorire il comparto azionario, che, grazie alla recente correzione, presenta valutazioni attraenti (in un orizzonte temporale di medio termine); suggeriamo di costruire le posizioni gradualmente, con “piani di accumulo” e “investimenti programmati” nelle fasi di maggiore volatilità/avversione al rischio.
Poiché il percorso di normalizzazione (aumento) dei tassi d’interesse, ormai avviato negli Usa è destinato a iniziare in Eurozona dalla seconda metà del 2019, preferiamo un approccio difensivo per le obbligazioni governative e societarie dei Paesi sviluppati, rimanendo “sotto-pesati” e favorendo le scadenze più brevi (in deroga, guardiamo con favore al comparto delle obbligazioni bancarie “subordinate” dell’Eurozona, dati gli elevati rendimenti, pur a fronte di un elevato rischio/volatilità dei corsi); per le obbligazioni dei paesi emergenti restiamo “neutrali”, ma pronti a cogliere le opportunità offerte dagli attuali elevati rendimenti, non appena stabilizzatosi il cambio del dollaro statunitense e raggiunto un nuovo accordo tra Usa e Cina e un conseguente nuovo equilibrio nel commercio internazionale (fine guerra dei dazi).
Pur rimanendo “neutrali” verso le valute, riconosciamo al dollaro statunitense (dati gli elevati rendimenti e la forza della sua economia) e allo yen giapponese la valenza di diversificazione del portafoglio e protezione nelle fasi di maggiore volatilità/avversione al rischio sui mercati.