Continuiamo, nella nostra strategia di allocazione del portafoglio, a favorire il comparto azionario, pur monitorando con attenzione la ricerca in atto di un nuovo equilibrio dei tassi d’interesse, soprattutto, statunitensi. L‘azionario, grazie alla più recente correzione dei corsi, presenta valutazioni più attraenti. Suggeriamo di costruire le posizioni con gradualità, ricorrendo ai cosiddetti “piani di accumulo” o, comunque, a “investimenti programmati/mirati” nelle fasi di maggiore volatilità/avversione al rischio, comunque, consapevoli che, a causa della fase ormai matura del ciclo economico statunitense, ci attendiamo ritorni inferiori alla media storica in un contesto di volatilità di fondo superiore a quella media degli anni passati.
Poiché il percorso di normalizzazione (aumento) dei tassi d’interesse è ormai avviato negli Usa ed è destinato a iniziare in Eurozona a partire dalla seconda metà del 2019, preferiamo un approccio difensivo per le obbligazioni governative e societarie dei Paesi sviluppati, rimanendo “sotto-pesati” e favorendo le scadenze più brevi (in deroga, continuiamo a guardare con favore il comparto delle obbligazioni bancarie “subordinate” dell’Eurozona, dati gli elevati rendimenti, seppur a fronte di un elevato rischio/volatilità dei corsi); per le obbligazioni dei paesi emergenti restiamo neutrali, ma pronti a cogliere le opportunità offerte dagli attuali elevati rendimenti, non appena stabilizzatosi il cambio del dollaro statunitense e raggiunto un nuovo accordo/equilibrio sul fronte del commercio internazionale (fine guerra dei dazi).
Pur rimanendo neutrali verso le valute, riconosciamo al dollaro statunitense (dati la forza della sua economia e gli elevati rendimenti) e allo yen giapponese la valenza di protezione nelle fasi di maggiore volatilità/avversione al rischio sui mercati e di diversificazione del portafoglio.
Che cosa abbiamo visto da inizio novembre
Proseguono anche per ottobre i dati economici positivi dagli Stati Uniti: l’indice di fiducia dei consumatori del Conference Board è salito ai massimi dalla seconda metà del 2000 (137,9 punti dai 135,3 di settembre); il sondaggio mensile che misura le aspettative di business per i prossimi 3-6 mesi tra i direttori acquisti (I.S.M.) del comparto manifatturiero è, invece, uscito in lieve calo (57,7 punti, meno dei 59 previsti dagli analisti e dei 59,8 di settembre, ma ancora superiore ai 50 punti e, quindi, in territorio espansivo); il comparto non agricolo (pubblico e privato) ha creato ben 250.000 nuovi posti di lavoro, con un tasso di disoccupazione stabile al 3,7% (minimo dal 1969) ed una crescita dei salari medi orari del 3,1% annuo, che, seppur superiore al +2,8% di settembre, non sembra ancora comprimere i margini di profitto delle aziende.
La banca centrale statunitense, la Federal Reserve, al termine della riunione del 7 e 8 novembre, ha lasciato invariati, come da attese, i tassi d’interesse ufficiali nel range 2,00%-2,50%; nel suo consueto comunicato, la Fed rileva che “le condizioni del mercato del lavoro hanno continuato a rafforzarsi, con una diminuzione ulteriore del tasso di disoccupazione ed un costante rialzo dei salari in un contesto di crescita economica sostenuta”, ma anche (novità) che “il tasso di crescita degli investimenti fissi ha rallentato nel corso delle ultime settimane”; per la prossima riunione del 18-19/12/2018, gli Operatori assegnano una probabilità dell’80% ad un ulteriore rialzo dei tassi di riferimento al range 2,25%-2,50%.
Il dollaro statunitense si è decisamente rafforzato contro le principali divise internazionali (Eur/Usd in area 1,135; USD/Yen verso quota 114) ed il rendimento dei titoli governativi statunitensi a 2 e 10 anni ha proseguito la salita al 2,97% (massimo dal 2008) e al 3,24%, rispettivamente; i tre principali indici azionari statunitensi, che, dalla fine della scorsa settimana, aiutati anche da una serie di trimestrali societarie favorevoli, hanno cercato di recuperare (circa un 3%) i forti ribassi di ottobre (tra l’8% ed il 10%, mai registrati dal 2011), non hanno saputo replicare il rialzo di mercoledì 7/11, subito dopo l’esito delle elezioni di medio termine per il rinnovo del Congresso, dove i Democratici si sono ripresi la maggioranza della Camera, mentre il Senato è rimasto saldamente nelle mani dei Repubblicani, sostenitori dil Donald Trump. Il presidente comunque, ha celebrato il risultato con toni pacati, proponendo ai Democratici la collaborazione reciproca per l’approvazione di una serie di misure gradite anche al loro elettorato (un massiccio piano di rinnovo delle infrastrutture, un programma di ulteriore riduzione delle tasse, l’abbassamento dei prezzi di alcuni farmaci ed una contenuta revisione delle norme sull’uso delle armi legali).
In Eurozona, i principali indicatori economici segnalano una continuazione della fase di crescita, seppur a ritmi inferiori rispetto al I semestre. In ottobre, cala l’indice di fiducia economica della Commissione europea (a 109,8 punti dai 110,9 di settembre), mentre sale il tasso d’inflazione al consumo (“headline” a +2,2% annuo dal +2,1% di settembre; “core” a +1,1% da +0,9%); il pil del III trimestre è risultato in crescita dell’1,7% (annuo), rispetto al +2,2% (annuo) del II trimestre.
Ancor più deludente il pil italiano che, ormai consueto fanalino di coda con un mesto +0,8% annuo (dal +1,2% del II trimestre) e una variazione trimestrale nulla (“stagnazione”), potrebbe non conseguire nel 2019 l’obiettivo di crescita dell’1,5% previsto dal Governo Conte in sede di predisposizione di una Legge di Bilancio 2019, giudicata eccessivamente generosa dai lati della sussistenza (“reddito di cittadinanza”), dell’assistenza pensionistica (“revisione della Legge Fornero con introduzione della Quota 100”) e della fiscalità (“flat tax” e “pace fiscale”) e non altrettanto dal lato dei provvedimenti di stimolo agli investimenti industriali.
La Commissione europea, unendosi al coro di giudizi negativi del Fondo Monetario Internazionale, della Banca Centrale Europea e delle principali agenzie di rating, ha ricalcolato, sulla base di una previsione di crescita del pil 2019 alzata da +1,1% a +1,2%, il rapporto deficit/pil al 2,9% (e non del 2,4% previsto dal Governo) a fine 2019 e al 3,1% a fine 2020. Bruxelles ha quindi rinnovato l’invito al Governo e al ministro dell’Economia Tria a modificare in maniera sostanziale la Legge di bilancio entro il prossimo 13 novembre, al fine di evitare l’avvio di una procedura di infrazione per “eccesso di deficit” a partire dal 21 novembre (con conseguenti multe di almeno 4 miliardi di euro per ogni anno di superamento del rapporto programmato deficit/pil). Ma il Governo non sembra voler assecondare tale richiesta, giudicando “incompleta” l’analisi della Commissione europea, mentre torna a salire sopra i 300 punti base lo spread (differenziale di rendimento) tra il titolo governativo decennale italiano (Btp) e l’omologo tedesco (bund), dai 288 punti registrati tra il 7 e l’8/11, per un rendimento del 3,45% per il Btp e dello 0,45% per il bund (il rendimento dei Btp a due anni è, però, calato all’1,00%, dai valori quasi doppi di metà ottobre); gli analisti raccomandano prudenza, poiché, anche se i rendimenti sono arrivati a livelli interessanti, il rischio di ulteriori affonditra Governo italiano e Commissione europea nei prossimi giorni può riservare ancora brutte sorprese.