Filoni, animelle, mammelle, cervella! Queste frattaglie che un tempo anche nella cucina ligure erano di uso comune, specialmente nei ripieni, ai quali conferivano sapore e morbidezza, oggi sono quasi sconosciuti, gravati da pregiudizi e cambiamenti del costume che qui non è il caso di approfondire. Ed è per reagire a questa ingiustizia che oggi abbiamo scelto come ricetta le lattughe ripiene. Un piatto ancora ai nostri giorni abbastanza diffuso, nelle case e nei ristoranti, ma nella sua versione impoverita (o alleggerita: siamo obiettivi, dipende dai punti di vista). Qui lo riproponiamo nel suo antico splendore.
Intanto, che cosa sono i filoni (detti anche schienali)? Si tratta del midollo spinale del bovino che si estrae dalla colonna vertebrale dell’animale. Da non confondere con il midollo osseo, che si trova all’interno degli ossobuchi, per intendersi, e nelle ossa in generale, viene usato anche per fare il risotto alla milanese e un tempo era largamente impiegato, anche in Liguria, nei sughi di carne. Cervella e poppa, o mammelle, sappiamo tutti che cosa sono. L’animella è quella parte bianca e spugnosa che si trova nei giovani bovini, posta sotto il collo, corrispondente al timo. Spesso il termine viene esteso alle ghiandole salivari, situate all’interno della cavità orale.
Le mammelle, oggi, non si trovano facilmente. Provate a prenotarle dal macellaio, altrimenti dovrete farne meno. Filoni e cervella producono un effetto molto simile, in caso di necessità si può usare uno solo dei due ingredienti, comunque sarebbe meglio non partire con un atteggiamento minimalista: per adeguarsi alla realtà, che a volte impone rinunzie dolorose, si è sempre in tempo.
Quindi, cerchiamo di impiegare tutte le frattaglie. In quale misura? La proporzione ottimale è un terzo rispetto al resto della carne. Se vogliamo mettere insieme filoni, animelle, cervella e poppa, dobbiamo calcolare almeno tre etti. Vi occorreranno, quindi, nove etti di carne. Quale carne? Oggi si usa magro di vitella, una volta si faceva brasare un pezzo di reale, a Genova detto matamà, taglio dell’anteriore bovino che fa parte del collo dell’animale, poi lo si tritava. Si usava anche la carne del tuccu, perché qualche cucchiaiata di questo sugo si metteva nel ripieno delle lattughe.
Ora vediamo gli ingredienti della nostra ricetta base:
filoni, poppa, animelle, cervella: tre etti complessivamente;
sedano, carota, cipolla, aglio;
funghi secchi;
maggiorana, alloro, rosmarino;
vino rosso (un bicchiere);
burro;
midollo di bovino;
concentrato di pomodoro;
carne (tritata da sugo, oppure matamà brasato e poi tritato o carne del tuccu tritata): nove etti;
mollica di un panino bagnata nel latte o nel brodo di carne e strizzata;
un uovo o due:
parmigiano grattugiato: un etto;
noce moscata;
sale e pepe;
brodo di carne;
lattughe.
Preparazione
Mettete le cervella sotto acqua corrente, togliete i grumi di sangue e la membrana, con le dita, delicatamente, tenendo le cervella sotto il getto dell’ acqua. Controllate se le animelle hanno ancora la pellicina, in caso l’abbiano tuffatele per qualche minuto in acqua bollente e togliete la pellicina. Lo stesso procedimento potete usare anche per le cervella. Quindi fate soffriggere tutte le frattaglie nel burro, tenendo presente che hanno tempi di cottura diversi.
Fate cuocere la carne, con burro, trito di sedano, carota, cipolla e i funghi secchi fatti rinvenire. Ovviamente, la cottura del trito di carne sarà più breve di quella del matamà. Nel caso del matamà potreste usare del burro chiarificato, che è più adatto alle cotture prolungate. Ormai si trova anche nei supermercati. Non adoperate il mixer, la carne deve essere tritata, non ridotta in poltiglia. Tritate anche le frattaglie, aggiungete le uova, il tuccu (calcolate un cucchiaio scarso per ogni porzione), abbondante maggiorana, la mollica del panino, il parmigiano, una bella grattata di noce moscata, sale e pepe. Attenzione alle uova, perché rassodano il ripieno, e nel nostro caso questo deve rimanere, dopo la cottura, molto morbido. Due uova dovrebbero bastare, e alcuni, con questa quantità di ripieno, ne usano soltanto una.
Per ottenere il tuccu si fanno soffriggere cipolla, sedano e carote, midollo di bovino, funghi secchi fatti rinvenire nell’acqua, una punta d’aglio, alloro o rosmarino o entrambi, si aggiunge un pezzo di carne da sugo (i tagli da sugo sono diversi, chiedete consiglio al macellaio), si sfuma con un po’ di vino rosso e si aggiunge brodo con del concentrato di pomodoro. Usare un recipiente pesante, adatto alle lunghe cotture, coperto, lasciare cuocere a fuoco molto basso per tre ore.
Scottate in acqua bollente le lattughe, pochi minuti, il tempo indispensabile per ammorbidirle.
A questo punto bisogna scegliere. Una volta si toglievano al cespo di lattuga le foglie esterne più dure e il “garzuolo”, cioè la parte centrale più chiara, e poi si riempiva il cespo con il ripieno, lo si richiudeva premendolo con le mani e lo si metteva a cuocere per una quindicina di minuti. Oggi si tende a scegliere le foglie più adatte, scottarle nell’acqua bollente separate, riempirle e fare degli involtini, a forma di palla, o di libretto, o di scaloppine ripiene. Alcuni per sicurezza legano gli involtini con dello spago da cucina, che poi tolgono prima di servire il piatto in tavola. L’involtino garantisce dalla perdita del ripieno che, specialmente nel caso la cottura avvenga nel brodo, è possibile. Non per nulla questa soluzione è oggi la più diffusa. Comunque, cespi o involtini che siano si tuffano nel brodo bollente e si lasciano cuocere una quindicina di minuti. Le lattughe possono poi essere servite con il loro brodo, come zuppa, oppure senza, come secondo.
Possiamo anche fare brasare per qualche minuto le lattughe ripiene nel tegame con burro e poco brodo concentrato e poi finire la cottura con del brodo. L’importante è che il brodo sia buono, fatto in casa, con la carne e gli odori necessari.
Che cosa bere con le lattughe ripiene? Provate un rosato fermo, leggero, per esempio un Valpolcevera rosato.
Placet experiri!