Attenzione, questa settimana, negli Stati Uniti al pil annualizzato t/t, agli ordini di beni durevoli (dato mensile), al sentiment dell’Università del Michigan (dato mensile), agli annunci dei risultati societari di Google, Chevron, Exxon Mobile, Twitter, Phillips. Per quanto riguarda l’Europa, attesa la riunione Bce di giovedì 29.
Che cosa abbiamo visto negli ultimi giorni
Negli Stati Uniti 207.000 nuove richieste di disoccupazione sono risultate pari a 207.000 (minimo storico dal 1960) contro le 200.000 previste; vendite al dettaglio di giugno cresciute il linea con le attese a +0,5% mensile; produzione industriale di giugno aumentata dello 0,6% (mensile) contro lo +0,5% previsto; indice di fiducia Fed di Philadelphia (distretto manifatturiero) di luglio cresciuto a 25,7 punti dai 19,9 di maggio.
In Eurozona i prezzi al consumo headline di giugno sono saliti del 2% annuo, in linea con le attese e il dato precedente (numeri, però, disomogenei da Paese a Paese membro, dal modesto 1,4% italiano al più vigoroso 3% tedesco); quelli consumo core (depurati delle componenti volatili e stagionali, come alimentari ed energia, alcool e tabacchi) hanno, però, segnato il passo a +0,9% dal precedente +1,0%.
I segnali di tenuta della congiuntura internazionale e la buona partenza della stagione degli utili statunitensi hanno contribuito a mantenere buona la propensione globale al rischio: l’indice di volatilità VIX sul principale indice azionario statunitense “a pronti” è tornato sui minimi di inizio febbraio in area 12-12,20%, ma la sua quotazione a termine è rimasta ancorata a poco sotto area 14%, segno che gli operatori restano prudenti e vigili, non escludendo nuovi episodi di volatilità nel corso dell’estate/inizio autunno. Non sono mancate nuove esuberanti dichiarazioni del presidente degli Stati Uniti Donald Trump sia sui temi dazi (tra Usa e Cina e tra Usa e Ue) e Iran, anche nei confronti di quei Paesi che decidessero di non rispettare l’embargo che entrerà in vigore, a cominciare dal comparto petrolifero, dal 1° novembre.
I principali listini azionari internazionali hanno chiuso la scorsa settimana, in prevalenza, invariati: gli statunitensi S&P500 e Nasdaq hanno rivisto, rispettivamente, area 2.800 e un nuovo massimo storico a 7.867; tra gli indici europei, l’Eurostoxx chiude a +0,16%, il tedesco Dax pressoché immobile, mentre il nostro Ftse Mib ha lasciato lo 0,45%.
Sui mercati obbligazionari, da monitorare il rialzo del rendimento del governativo decennale statunitense (Treasury), avvenuto tra venerdì 20 e lunedì 23 verso area 3% (chiusura lunedì 23 a 2,95%, dal 2,80%-2,83% di poche sedute prima), che, in parte, ha avuto effetto sui rendimenti del governativo decennale tedesco (Bund), risalito sopra area 0,40% (da 0,34%-0,35% della scorsa settimana), e italiano (Btp), velocemente risalito al 2,70% (dal 2,50% della scorsa settimana), con conseguente risalita dello spread sopra i 230 punti base (dai 210-215 della scorsa precedente). Si consideri che l’approssimarsi del dibattito politico in Italia e in Europa per la messa a punto entro settembre della Legge di Stabilità 2019 – con il probabile tentativo del governo italiano di raggiungere un compromesso tra gli ambiziosi obiettivi di politica economica e gli equilibri di finanza pubblica, per altro recentemente ribaditi dal ministro dell’Economia Giovanni Tria – potrebbe innescare nuove fasi di volatilità dei corsi e dei rendimenti dei nostri titoli governativi.
Sui mercati valutari, si è, in parte, arrestato il tentativo di rafforzamento del dollaro statunitense intravisto nelle ultime sedute: Eur/Usd di nuovo verso area 1,17 all’Inizio della settimana del 23-27 luglio, dopo avere rivisto quota 1,16 tra giovedì e venerdì scorsi; ancor più volatile, Usd/Yen è ridisceso a 111 dopo avere (di poco) superato area 113 a fine scorsa settimana.
Sui mercati delle materie prime, pressoché invariate le quotazioni del greggio (WTI statunitense in area 67-68 dollari/ barile e nord-europeo Brent in area 72-73), mentre prosegue da settimane la fase apatica/debole dell’oro in area 1.220-1.230 dollari/oncia.
Strategia di allocazione del portafoglio
L’economia globale, nonostante alcuni indicatori meno sincronizzati nei Paesi emergenti e, in parte, deludenti rispetto alle attese in Eurozona, continua a evidenziare prospettive di crescita, in un contesto di graduale rimozione delle politiche monetarie espansive da parte delle banche centrali: quella statunitense, la Fed, prosegue, per ora, il programma di 4 rialzi (da 25 punti base ciascuno) dei tassi ufficiali previsto per il 2018 (due già attuati il 20-21 marzo e il 12-13 giugno scorsi e due da attuare, presumibilmente, nelle riunioni del 25-26 settembre e 18-19 dicembre); quella europea, la Bce, intende mantenere una politica monetaria ancora prudentemente accomodante sui tassi ufficiali almeno fino all’estate 2019 ovvero anche dopo la fine del Quantitative Easing annunciata per il 31 dicembre.
Ci troviamo, tuttavia, in una stagione dell’anno tipicamente contraddistinta da mercati, sia azionari che obbligazionari, con più bassi volumi negoziati e con il conseguente rischio di aumento della volatilità dei corsi. Pertanto, pur continuando a prevedere uno scenario positivo per l’azionario nell’ultima parte dell’anno, preferiamo, per il momento, un atteggiamento di maggiori prudenza e selettività, privilegiando gli ingressi graduali (per esempio, adottando la formula dei “piani d’accumulo” o “PAC”).
Il focus dei mercati e delle banche centrali nelle prossime settimane sarà sulle possibili interazioni tra prezzi del petrolio e conseguenti livelli dell’inflazione attesa e dei tassi d’interesse a medio-lungo termine, nonché sugli ulteriori sviluppi delle alterne tensioni commerciali tra Usa e Cina (causa del -10,5% della borsa cinese a giugno, peggior performance mensile da gennaio 2016) e tra Usa e Ue, geopolitiche (Medio Oriente/Iran) e politiche interne dell’Unione Europea (Germania, Italia, Spagna, Uk).
Pur considerata una volatilità mediamente più elevata rispetto agli anni scorsi, rimaniamo costruttivi sul comparto azionario, che, in ottica di medio periodo e in termini relativi, continuiamo a preferire a quello obbligazionario, dove, in generale, suggeriamo scadenze brevi, dato l’aumento, ancorché previsto graduale, dei tassi d’interesse, a seguito dell’ormai avviata fase di normalizzazione di politica monetaria delle banche centrali. La velocità dei rialzi determinerà il livello di volatilità dei mercati azionari, obbligazionari, delle materie prime e valutari.