Ha chiuso con 246 mila biglietti venduti l’edizione 2018 di Euroflora. Oggi inizieranno i lavori di disallestimento, i Parchi di Nervi saranno riaperti dopo il 25 maggio.
Il punto di pareggio, calcolato intorno ai 200 mila biglietti venduti, è stato raggiunto verso la metà della manifestazione. Nella conferenza stampa in calendario per questo pomeriggio verranno diffusi ulteriori dati ma quello che sappiamo al momento è sufficiente per dire: Euroflora 2018 è stata un successo. E il sindaco di Genova, Marco Bucci, ha vinto la sua scommessa.
Non era scontato. Per settimane si sono sentite critiche da parte dell’opposizione in consiglio comunale e di floricoltori: non si può allestire in poco tempo e all’aperto, si diceva, una manifestazione complessa e delicata come Euroflora, si rischia di offrire al mondo un’esposizione di serie B, compromettendo il prestigio del marchio.
Polemiche in alcuni casi nate da sincera preoccupazione, in altri pretestuose, e frutto di una piaga genovese che non cessa di emettere pus: l’avversione nei confronti delle novità e di chi osa proporle. L’entourage del sindaco rispondeva che il vero pericolo era quello di tenere il marchio inutilizzato per anni, facendone perdere anche il ricordo, ma i margini di rischio esistevano obiettivamente. C’era il fattore tempo, e il problema di allestire la manifestazione all’aperto, con il rischio meteo e la difficoltà di esporre piante e fiori in un contenitore già ricco di piante e fiori. Il fattore tempo è stato neutralizzato con il lavoro. Probabilmente non saranno mancate disfunzioni organizzative, qualcosa in proposito ci è giunto all’orecchio, ma nel complesso la manifestazione ha funzionato. I visitatori sono rimasti soddisfatti. I Parchi di Nervi hanno conquistato nuovi ammiratori, e si può sperare che alcuni tornino a rivederli e a visitare Genova. Nei giorni della manifestazione Nervi e i suoi locali davano l’impressione di essere molto più animati rispetto alla routine. Vedremo se i numeri confermeranno queste impressioni. Inoltre, Euroflora lascerà ai Parchi i lavori finanziati con i fondi strutturali della Regione e molte piante portate per la manifestazione andranno ad arricchire il verde cittadino. Il meteo ha dato fastidio, non soltanto perché avrà tenuto a casa dei potenziali visitatori ma perché ci ha tolto l’azzurro del cielo e del mare, una meraviglia già per chi arriva sulle pensiline della stazione di Nervi, ma quasi 250 mila visitatori sono venuti ugualmente.
Bene, in sostanza. Critici e dubbiosi, però, avevano messo a fuoco un aspetto della vicenda che poi è risultato evidente. Perché non c’è dubbio che Euroflora 2018 sia stata differente dalle edizioni precedenti, molto più spettacolari. Differente, però, non vuol dire necessariamente inferiore. Non soltanto perché quello che si è perso in spettacolarità si è guadagnato con la bellezza del contenitore ma anche perché la nuova edizione non va giudicata in base al modello del passato. Ne segue un altro. Un modello probabilmente imposto dalle circostanze ma non meno apprezzabile di quello del passato. Lo spiega, in un articolo pubblicato sulla Repubblica del 21 aprile scorso, Paolo Pejrone, l’architetto e paesaggista italiano che ha progettato alcuni dei giardini più belli del mondo, come l’orto monastico della Basilica di Santa Croce in Gerusalemme a Roma.
«Da un lato – si legge nell’articolo – c’è un piccolo velo di tristezza nel ricordo delle vecchie edizioni, iper-visistate e che si tenevano nei poco armoniosi e sconclusionati padiglioni della Fiera alla Foce, dall’altro c’è la gioia della nascita di una forma moderna, globalizzata e prêt-à-porter. Penso che non ci sarà più spazio per le vecchie scenografie, fiere delle loro cascate scroscianti, dei massi arroccati a mo’ di presepio e sbordanti di fiori, di colori e di profumi…»
«D’altronde – precisa l’architetto paesaggista – tre sono i tipi di mostra botanica possibili, tutti interessanti, utili e figli di tradizioni e sensibilità diverse. C’è il modello di Euroflora, che era poi quello di Gand in Belgio, fatto di grandi masse, di tripudi floreali, di allestimenti ricercati e, in origine, soltanto mostra e non mercato…. C’è poi l’esempio inglese, quello del Chelsea Flower Show, mostra all’inizio ben più discreta e meno barocca di oggi, con i suoi pochi e piccoli giardini allestiti e le tantissime piante esposte… E infine c’è il modello francese, quello che era di Courson e ora di Chatilly: una mostra sì ma manche un mercato, un ritrovo per vivaisti e giardinieri, professionisti e non, dove il rapporto tra visitatore e piante era più diretto e il consenso non passava per le vie della grandiosità. Ad ognuno il suo – concludeva Peyrone – ma che nel nostro Paese tornino a confrontarsi con entusiasmo e rispetto reciproco queste tre differenti proposte è certamente un bene».