«Il clima interno è pessimo, e sono peggiorate le relazioni tra livelli gerarchici». Così Lucio Gambetti, responsabile Fisac Cgil per il gruppo Carige, spiega come i lavoratori di Banca Carige stiano vivendo questo momento difficile per il gruppo. Siamo nella sede di Fisac Cgil a Genova, in piazzetta Jacopo da Varagine.
«Dal 2013 – precisa Roberto Caristi, responsabile Fisac per Banca Carige – abbiamo visto tre aumenti di capitale, cinque piani industriali anche molto diversi l’uno dall’altro, in uno, tanto per fare un esempio, si prevedeva di cedere la Cesare Ponti, in un altro di fonderla nel gruppo, e a ogni piano industriale ci hanno chiesto sacrifici in cambio di un risanamento che poi non c’è stato. È comprensibile che non ci si aria di ottimismo negli uffici».
Sul piano di esuberi è stato raggiunto l’accordo già in dicembre, ma la perdita di posti di lavoro, aggiunge Gambetti, non è iniziata con questo piano industriale: «nel 2013 i dipendenti del gruppo erano 5.500, ora sono meno di 4.800 e al termine di questo piano industriale saranno 3.900». E i sacrifici, in termini economici, sono stati chiesti anche a chi è rimasto: tra l’altro, nel nuovo piano industriale, spiegano i sindacalisti, sono previsti 14 giorni di solidarietà in tre anni che si aggiungono ai 10 giorni pagati al 60%.
Eppure, gli elementi positivi nella vicenda Carige non mancano: l’aumento di capitale è terminato, il piano industriale procede come lo ha progettato l’ad Paolo Fiorentino, e la banca ligure può ancora contare su quelli che sono sempre stati i suoi punti di forza: il radicamento sul territorio, la vicinanza alla clientela, una presenza capillare che la rende uno degli elementi costitutivi del paesaggio ligure. «E soprattutto i dipendenti – aggiunge Caristi – che in questi anni difficili hanno tenuto in piedi l’azienda con la loro dedizione e la loro professionalità e sono un patrimonio prezioso».
Gambetti e Carrisi temono l’eventualità che riduzione di lavoratori e di sedi e introduzione di nuove tecnologie che spersonalizzano il rapporto con il cliente possano indebolire questa forza accumulata nei secoli. Anche l’idea di non vendere prodotti finanziari propri ma di altri, accennata dall’ad, avverte Gambetti «rischia di fare di Carige una banca-rete senza creatività».
Si vedrà. Ora l’impegno comune è di risalire la china. Quanto al futuro, secondo i due sindacalisti è difficile fare previsioni, «anche perché questo è il momento ideale per gli speculatori». L’amministratore delegato ha parlato spesso della necessità che gli azionisti della banca ligure possano presentarsi a un’eventuale trattiva per l’aggregazione con un’altra banca in una posizione di forza, dopo avere risolto i propri problemi, e quindi non per chiedere aiuto ma per crescere insieme. «A un certo punto – commenta Gambetta – un’aggregazione potrebbe risultare inevitabile, ma è presto per dirlo, in ogni caso un eventuale partner, tra l’altro, dovrebbe avere caratteristiche compatibili con le nostre».