L’OCSE ha confermato il buon status della congiuntura internazionale, sostenendo che «l’economia globale sta ora crescendo al ritmo più sostenuto dal 2010, con un rialzo che sta diventando sempre più sincronizzato tra i diversi Paesi». L’OCSE prevede una crescita del PIL globale del 3,6% nel 2017, dopo il +3,1% del 2016, e del 3,7% per il 2018, definito come «modesto recupero ciclico» non privo di persistenti diverse zone d’ombra, tra cui un prolungato contesto di bassa inflazione e l’emergere di una potenziale vulnerabilità del sistema finanziario globale, a causa degli elevati rapporti prezzi/utili, in particolare, sui mercati azionari statunitensi ed europei.
Anche per l’Italia, l’OCSE prevede un ulteriore miglioramento della crescita dal +1,5% del 2017 al +1,6% del 2018, meglio delle previsioni dell’attuale Governo Gentiloni a +1,5% e, soprattutto, delle previsioni di settembre del Fondo Monetario Internazionale e della Commissione Europea a +1,1%.
Negli Stati Uniti sono usciti dati economici ancora positivi: la crescita del Pil del III trimestre, alla sua seconda rilevazione, è stata rivista al rialzo al 3,2% annuo dal +3,0% della precedente stima preliminare; l’indice di fiducia dei consumatori di fine novembre ha registrato un forte incremento, toccando i massimi dal 2001, ed anche l’indicatore anticipatore ISM manifatturiero di novembre, seppur in fisiologico rallentamento, ha continuato a stazionare su livelli storicamente molto elevati (effettivo a 58,2 vs. 58,3 previsto e 58,7 di ottobre); infine, il consueto rapporto mensile della Fed sull’andamento dell’attività economica nei principali distretti economici federali (“Beige Book”) ha rilevato, tra ottobre e metà novembre, un ritmo di espansione “tra modesto e moderato”, con una crescita dell’occupazione che, rispetto al periodo precedente, ha visto “rafforzarsi” alcune pressioni su prezzi e salari.
In Eurozona gli ultimi indicatori economici hanno continuato a segnalare un momentum di crescita piuttosto sostenuto, vista la crescita dell’offerta di moneta (M3 effettivo +5% annuo da +5,2% precedente) ed il miglioramento dell’indice di fiducia economica di consumatori ed imprese (effettivo 114,6 vs. precedente 114,1); ciò nonostante, anche a novembre, le pressioni sui prezzi al consumo sono risultate molto contenute (CPI “headline” stimato +1,5% annuo vs. +1,4% precedente, ma inflazione di fondo o “core” sempre ferma su un modesto+0,9% annuo).
In Cina sono risultati in accelerazione a novembre sia il PMI manifatturiero (effettivo a 51,8 vs. 51,4 previsto e 51,6 precedente) che quello servizi (effettivo a 54,8 vs. 51,6 precedente), a conferma della crescita ancora volitiva dell’economia cinese, nonostante i timori, più vlte espressi dalle autorità economiche e monetarie del Paese, di possibili bolle speculative sui mercati del credito e non solo.
Sui mercati obbligazionari globale, si registra un leggero rialzo dei tassi d’interesse statunitensi a lungo termine, con il governativo decennale che lo scorso venerdì ha chiuso al 2,39%, risentendo anche dell’imminente e poi avvenuta approvazione (con 51 voti favorevoli e 49 contrari) lo scorso week end da parte del Congresso statunitense del progetto di riforma fiscale da tempo voluto dal Presidente Donald Trump: mentre gli analisti si immergevano nella lettura delle centinaia di pagine di testo (con un segnale di fondo un po’ meno confortante sul futuro deficit federale …), alcuni media non hanno risparmiato le critiche, considerando la riforma vantaggiosa solamente per le imprese e per i ceti più ricchi e assai meno per il ceto medio. Sui fronti politico e geo-politico, le nuove clamorose rivelazioni giornalistiche su The Donald (e suo genero Jared Kushner) dal caso “Russia-gate”, potrebbero indurre il Presidente con il più basso indice di gradimento a un anno dalle sue elezioni nella storia degli Stati Uniti (secondo il New York Times) a “distrazioni della pubblica opinione” con possibili ulteriori escalation militari e minacce contro la Corea del Nord, anche se, per il momento, non sembrano tenere in conto alcuna ipotesi di possibili ulteriori escalation militari, come si può anche rilevare dai livelli sempre non distanti dai minimi storici della volatilità implicita sullo S&P 500, di poco sopra l’11%), nonostante i toni più chiari e severi del solito da parte dell’Ambasciatrice statunitense all’Onu.
Sui mercati valutari, dopo avere testato l’area di resistenza a 1,193-5, il cambio dell’euro contro il dollaro statunitense ha dovuto prendere atto dell’approvazione della riforma fiscale statunitense e rientrare in area 1,184-5 (i dati sempre modesti dell’inflazione “core” di novembre ed il conseguente rendimento del decennale governativo tedesco fermo in area 0,33-0,34% non sono stati certamente di aiuto).Che cosa guardiamo questa settimana
Negli Stati Uniti, attenzione alla scadenza dell’8 dicembre: se il Congresso non raggiungesse un accordo sulla gestione del budget federale, gli Stati Uniti incorrerebbero in uno shut-down parziale, vale a dire un congelamento automatico della capacità di spesa del governo. Sempre negli Stati Uniti, come ogni primo venerdì del mese, il Dipartimento del Lavoro rilascerà il numero delle nuove buste paga del comparto non agricolo per il mese di novembre (previste ancora sostenute a 199.000 nuove unità contro le precedenti 261.000) ed il tasso di disoccupazione (previsto invariato al 4,1%); molto seguito l’indicatore anticipatore ISM del comparto servizi (atteso un fisiologico rallentamento dal livello redi ottobre di 60,1 dello scorso ottobre).
In calendario anche gli importanti dati cinesi sulle riserve valutarie (attese in ulteriore stabilizzazione) e quelli relativi all’interscambio con l’estero (anche in questo caso, è ragionevole attendersi un leggero rallentamento nel tasso di crescita sia delle esportazioni che delle importazioni, rispetto al +6,9% e +17,2%, rispettivamente, dello scorso ottobre).
Di rilievo, infine, anche l’incontro previsto in settimana tra la Premier inglese Theresa May e il Presidente della Commissione Europea Jean-Claude Junker, nell’ambito dei difficili negoziati tra Regno Unito ed UE relativi al tema della Brexit.