Sono centinaia le telefonate arrivate in quest’autunno all’assessorato alle Manutenzioni del Comune di Genova per chiedere la “pulizia di rivi e torrenti”. Sia Gianni Crivello, sia il suo successore Paolo Fanghella ne sanno qualcosa: per il cittadino anche un piccolo arbusto è visto come un rischio, ma la realtà è un’altra, rasare completamente la vegetazione non è la soluzione. Tuttavia occorre una maggiore consapevolezza, a partire dal fatto che a Genova edifici come Albergo dei Poveri, Commenda di Prè e Palazzo San Giorgio, sono costruiti sopra dei rii ignorati dalla stragrande maggioranza delle persone e che in Liguria il reticolo idrografico è formato da 135.746 (!) geometrie; sommate raggiungono la lunghezza di 26.147 km. Altro fattore spesso ignorato: sistemare a monte aiuta a prevenire danni a valle.
Progetti Comuni, l’associazione politico-culturale nata dall’esperienza politica della lista Crivello, ha inaugurato la propria attività con la tematica che forse tocca più da vicino i genovesi, quella del dissesto idrogeologico e l’ha fatto portando a discutere, senza l’ossessione del confronto elettorale, Paolo Fanghella e Gianni Crivello, mostrando che in fondo l’esperienza diretta, accomuna i sentimenti di due parti politiche diverse.
La politica può fare qualcosa, ma non tutto: spesso si addita l’inefficienza dell’ente pubblico nella manutenzione dei rivi, ma sia Crivello sia Fanghella hanno sottolineato un grosso problema, quello dei privati che non svolgono alcuna attività di manutenzione e prevenzione del dissesto sul loro terreno, vanificando anche quello che magari si fa a valle. «Ogni giorno ricevo segnalazioni su territori che richiederebbero i cosiddetti interventi in danno – dice Fanghella – cioè quelli in cui il Comune anticipa i soldi, ma il problema è che nel 90% dei casi questi soldi non saranno rimborsati e in una situazione di bilancio così difficile com’è il Comune di Genova, non è concepibile pensare a soluzioni di questo tipo».
Il rischio zero non esiste, soprattutto in una città come Genova, ma la mitigazione di questo rischio (espressione più adatta di “messa in sicurezza”) deve per forza avere molti padri. L’evento organizzato da Progetti Comuni ha provato a fare un po’ di chiarezza intanto sul quadro della situazione e su come occorrerebbe muoversi, perché la pulizia dei rivi non basta (e occorre anche farla in un certo modo).
Una programmazione della mitigazione del rischio dovrebbe prevedere interventi strutturali (scolmatori in primis), manutenzione ordinaria e continua degli alvei e dei versanti (l’intervento singolo non serve a nulla), interventi non strutturali (tra cui il monitoraggio di frane e torrenti) e delocalizzazione degli elementi a rischio.
Per manutenzione del territorio, spiega Francesco Faccini, del Dipartimento di Scienze della terra, dell’ambiente e della vita dell’Università di Genova, si intende non solo l’intervento sugli alvei, ma anche sulle opere di difesa idraulica e sui versanti.
«Paradossalmente tra i più grandi nemici oggi ci sono i terrazzamenti abbandonati – sottolinea Faccini – perché l’antica pratica idraulico-agraria funziona finché è manutenuta, quando crolla un muretto a secco è facile che le pietre finiscano negli alvei».
Faccini comunque fa capire che gli eventi alluvionali non sono solo recenti: citando una ricerca del Cnr, mostra che il primo a essere censito risale addirittura al 1646 a Campo Ligure. Da allora e sino al 30 settembre 2014 i morti sono stati 284, 10 i dispersi, 100 i feriti, 245 località coinvolte distribuite in 96 Comuni. Tuttavia dal 1950 in poi, l’incremento di questi eventi è visibile nel grafico qui accanto.
Dal 1970 in poi i numeri parlano di 100 tra morti e dispersi, 49 feriti e oltre 10.000 tra sfollati e senzatetto. Nel genovesato si sono registrate almeno 38 esondazioni dal 1822, con una ricorrenza media degli straripamenti è dell’ordine di 7-8 anni, mentre se si valutano quelle più gravi, si arriva a 20 anni.
«Le caratteristiche dei corsi d’acqua liguri – spiega Faccini – non aiutano: gli oltre 250 rivi che hanno un bacino inferiore ai 15 km quadrati, hanno tempi di risposta praticamente immediati anche con una pioggia non eccezionale e tutti scorrono nelle principali città costiere».
Spesso si sottovaluta che una delle concause dei problemi che si verificano a valle, in realtà è a monte: «Il Bisagno – aggiunge Faccini – passa anche a 1000 metri di altitudine, considerando che il collo di bottiglia è nella zona di maggiore urbanizzazione, ecco che il rischio di esondazione è altissimo, perché il materiale portato da monte, vista l’assenza di manutenzione, è moltissimo e viene bloccato da ponti e restringimenti».
Per essere consapevoli del quadro della situazione non bisogna dimenticare il fattore climatico, con i mesi di ottobre e novembre che rappresentano il picco delle piogge per la Liguria: il clima mediterraneo sta registrando qualche scossone dal punto di vista dei dati registrati dall’Università, dice Faccini: «La temperatura media dell’aria registrata dalla stazione climatica di via Balbi, attiva dal 1833, è aumentata da 15.5 a quasi 16°, la pioggia annuale diminuisce, ma aumenta l’intensità, visto che stanno crollando i giorni piovosi da 120 a meno di 100». La posizione della Liguria è tragicamente “perfetta” per le perturbazioni anche temporalesche nate dal contrasto tra le correnti fredde dalla Francia e il mare ancora caldo, la depressione si insacca nel golfo ligure e viene bloccata dai monti alle spalle della costa, provocando i famosi temporali autorigeneranti così pericolosi.
L’urbanizzazione, non è un mistero, è l’altro grande problema: solo per far capire le dimensioni di ieri e di oggi, il ponte di Sant’Agata sul Bisagno era lungo 280 metri nel 1823, 71 metri nel 2014, quello di Santa Zita era 114 metri, oggi 47, la Foce misurava 200 metri, oggi 51. Per quanto riguarda il Polcevera, il ponte di Cornigliano misurava 150 metri, oggi 75. Addirittura il quartiere di Bolzaneto è stato costruito sul vecchio letto del torrente, a sua volta spostato di 350 metri verso Ovest. Nel corso degli anni si sono anche moltiplicate le tombinature e le costruzioni alla foce dei torrenti, facendo diventare Genova e la Liguria un caso-studio internazionale per l’interazione tra pericolosità geo-idrologica e sviluppo urbanistico.
La conoscenza e la tecnologia possono essere utili strumenti di prevenzione e dall’evento di Progetto Comune arriva un appello di buon senso: riunire sotto un unico “ombrello” le reti di monitoraggio già diffuse e presenti sul territorio come Arpal, Limet, Aeronautica, Comune di Genova e Meteomont, ma anche l’invito a dotarsi di un profilo climatico locale, come ha fatto la città di Bologna, per esempio.
Paola Caffa, agronoma ed esperta di ingegneria naturalistica, fa notare un altro fattore determinante: «Nella zona dell’Aveto per esempio, fino a che le aree erano coltivate, il bosco incideva sul totale del territorio per il 45%, oggi è arrivato a quota 76,3%, con le aree agricole crollate da 21 mila a 8 mila ettari. Prima l’abitante dell’entroterra faceva quei lavori di manutenzione necessari per il proprio terreno, la somma di tutti gli interventi consentiva una corretta gestione del territorio senza pesare sull’ente pubblico, oggi lo spopolamento ha avuto come conseguenza l’abbandono dei terreni». In Francia, ricorda Caffa, un soluzione al problema dello spopolamento sta nel rimborso delle spese di viaggio di chi lavora in città, un incentivo a restare nell’entroterra.
Il capro espiatorio sono gli alberi in alveo, ma secondo Caffa, in realtà la colpa non è loro, almeno non di tutti. Il regolamento regionale del 14 luglio 2011 n. 3, indica come occorrerebbe agire: tenere conto della biodiversità, analizzare quali piante sono a rischio caduta, selezionare quindi quali tagliare e quali mantenere (privilegiando le piante giovani, eliminando il materiale che possa interferire con lo scorrimento sotto i ponti e creare pericolosi effetti diga), visto che le radici sono fondamentali per la tenuta dei versanti. Una soluzione potrebbe essere anche l’intervento a sponde alterne. «L’ingegneria naturalistica può aiutare in caso di frana – spiega – è uno strumento debole appena installati i tronchi, ma si dimostra molto efficace quando la situazione si consolida».
Gli amministratori però fanno emergere un altro problema: «Alcuni tecnici, anche all’interno del Comune per esempio, non concordano completamente con questa tesi – dice Fanghella – è chiaro che noi dobbiamo attenerci alle indicazioni di chi ne sa più di noi». «Inoltre – aggiunge Crivello – è chiaro che occorre fare delle scelte, vista la grande quantità di rivi e torrenti presenti sul territorio, ma sono contento che finalmente a livello nazionale Genova è stata “presa sul serio” grazie ai finanziamenti di Italia Sicura, oltre 7 miliardi a livello nazionale, che però i nostri colleghi di altri comuni e regioni non sono stati così pronti a sfruttare, visto che al momento è stato utilizzato solo l’1,5%».