«Un piano difficile da realizzare, che ha come presupposto il rafforzamento
patrimoniale e la collaborazione di tutti gli stakeholder della banca, e quindi la
loro fiducia, ma assolutamente ovvio. Un piano che si basa sugli obiettivi che
qualsiasi azienda si porrebbe: rifocalizzare dove si guadagna, ripulire gli eccessi
del passato, ribilanciare il rapporto costi/ricavi». Cosi l’ad di Banca Carige,
Paolo Fiorentino ha presentato oggi alla Borsa di Milano ad analisti finanziari e
stampa piano industriale della banca al 2020.
Fiorentino ha annunciato che «la cessione degli asset è in fase avanzata, per quanto riguarda gli npl, gli immobili, Creditis e la piattaforma, per molti asset sono in corso delle aste».
Il rafforzamento patrimoniale consentirà una «trasformazione profondissima». Banca Carige sarà una banca del territorio, secondo la sua tradizione, avrà come mercati di riferimento le famiglie e lo small business (il large corporate genera il 2 per
cento del margine di intermediazione ed è quello che ha creato problemi), con una
«rete distributiva tirata a lucido», venderà i suoi prodotti core e per quelli più
sofisticati si rivolgerà a partner.
A oggi Carige presenta ancora «importanti gap di efficienza», il cost income della banca ligure è 81 per cento, quello della media benchmark 68 per cento, quello della best practice 61 per cento. Deve arrivare nell’arco del piano al 56,7 per cento.
Il piano prevede una crescita della marginalità per dipendente del 48 per cento al 2020, in linea con le perfomance attuali dei principali peer.
Il margine di miglioramento per Carige è significativo, d’altra parte la banca può contare su una base di clienti fedele ed è fortemente concentrata su territori ad alto potenziale: le prime quattro regioni in cui si concentra oltre il 70 per cento delle filiali sono Liguria, Toscana, Lombardia e Sicilia.