Sono imprenditori, professionisti, non più contadini dell’entroterra senza terra da coltivare, o marinai rimasti senza imbarco, e arrivano in aereo, non a bordo dei velieri salpati dal ponte Federico Guglielmo di Genova, ma i liguri oggi, come nell’Ottocento, continuano a emigrare negli Usa e a New York. Circa 150 sono iscritti all’Associazione Liguri nel mondo- New York Chapter, che promuove progetti culturali e sociali e favorisce le relazioni tra la comunità ligure e gli americani e anche occasioni di incontro tra i liguri stessi.
I primi liguri sono arrivati a New York verso la metà del secolo scorso e alcuni iscritti all’Associazione (non più in verde età) hanno i loro nonni seppelliti al Calvary Cemetary, in Queens. L’immigrazione ligure, principalmente dalla Fontanabuona, si intensificò alla fine dell’Ottocento e continuò sino a dopo la prima guerra mondiale. I liguri si stabilirono quasi esclusivamente in una parte di quello che oggi è chiamato “West Village”: Downing Street, Carmine Street, McDougal Street, King Street e Sullivan Street. Ancora oggi diverse famiglie liguri risiedono in questa zona, dove si possono notare numerosi nomi liguri fra i ristoranti e altre attività commerciali.
Ancora oggi esiste un Genoa Club in Houston Street, dove un socio dei Liguri nel Mondo, John Gardella, ha trovato un gagliardetto della squadra rossoblù datato 1933. Da moltissimi anni il club non è più “genovese” anche se alcuni dei soci dei “Liguri nel mondo” ci vanno a giocare a carte.
Nel 1976 due giovani liguri che lavoravano a New York per due società italiane, Rinaldo Orlandi e Carlo Romairone, decisero di creare una associazione fra i liguri residenti a New York per motivi di lavoro e fu fondato il “Gruppo Esponenti Liguri”. Negli anni successivi l’associazione si allargò anche a liguri di non recente immigrazione e aumentò notevolmente il numero dei suoi soci, superando anche il centinaio. Con la costituzione a Genova dell’Associazione Liguri nel Mondo, fortemente voluta da Edward Galletti, il Gruppo Rappresentanti Liguri decise di entrare a farne parte come New York Chapter e il presidente Carlo Romairone fu nominato governatore per l’East Coast degli Stati Uniti.
Attuale presidente del New York Chapter è Simone Galotti, 39 anni, “architetto in house” della Msc Usa, con il titolo di “facilities services manager”. È il responsabile della manutenzione e gestione amministrativa degli uffici Msc su territorio statunitense (una dozzina, più diversi terminal ). Le sue mansioni comprendono interior design, progettazione di nuovi uffici e impianti elettrici, generatori di corrente; impianti di condizionamento e altro. Galotti si è trasferito negli Usa nel 2007. È sposato con una genovese, conosciuta a New York, e ha un figlio di 6 mesi, Francesco. Ci spiega che cosa fanno e come vivono i liguri a New York e negli Usa.

Quanti sono i liguri e i genovesi a New York?
«I liguri che fanno parte della nostra Associazione sono attualmente 150 ma questo numero comprende anche quelli che risiedono al di fuori dello stato di New York come, per esempio, South Carolina, New Jersey, Connecticut, ed è per questo che l’associazione dal momento della sua fondazione nel 1976 (quest’anno celebriamo 40 anni) è sempre stata un riferimento per tutti i liguri della East Coast. La maggior parte sono genovesi ma altri provengono da Chiavari, Val Fontanabuona, Cinque Terre e altre località».
Che cosa fanno nella maggior parte dei casi?
«I nostri soci appartengono per la maggior parte al mondo imprenditoriale, sono imprenditori, professionisti, business men. Diversi genovesi, me compreso, lavorano alla Msc, rappresentano il 15% dei nostri soci. Io sono stato coinvolto nell’associazione dall’allora presidente Claudio Bozzo, che era presidente di Msc Usa e di recente ha lasciato l’ufficio di New York per coprire una carica più importante nel headquarter svizzero della Msc a Geneve. Bozzo, prima della sua partenza, ha voluto chiamare diverse persone di sua fiducia a far parte del comitato direttivo».
Che cosa spinge i genovesi (e gli italiani in genere) a trasferirsi a New York?
«Credo che il motivo principale che spinge i giovani liguri a trasferirsi negli Usa siano le opportunità lavorative».
Quali sono le differenza più rilevanti tra la vita in Italia, o a Genova, e a New York, per quanto riguarda lavoro, tempo libero, relazioni?
«L’impatto iniziale è piuttosto forte poiché si passa da una realtà di paese, quale Genova, a una metropoli di 8 milioni di abitanti. New York City viene sempre associata a un “melting pot” e questa definizione calza perfettamente: solo qui si ha l’opportunità di lavorare, incontrare e avere relazioni sentimentali con persone provenienti da tutto il mondo. Il ritmo di vita dei newyorchesi si può facilmente identificare nel modo in cui camminano: di fretta, e questo aspetto si riflette nella vita sociale, ricca di impegni lavorativi; eventi, parties nella città “that never sleeps”».
Come si fa a trovare lavoro a New York? Con il passa-parola, o altro?
«Prima di tutto bisogna essere qualificati. I visti lavorativi sono piuttosto esclusivi e devono essere applicati da compagnie che sponsorizzano i candidati durante tutta la durata del visto. La nostra associazione ha creato degli accordi con il Dipartimento di Economia dell’Università di Genova e la Msc Usa per l’assegnazione di tre borse internship presso uno degli uffici americani. L’internship comprende le spese legali per l’assegnazione del visto, il costo del biglietto aereo e un salario adeguato durante il periodo lavorativo. L’iniziativa, inaugurata l’anno scorso, ha già comportato l’assunzione di un giovane ligure che attualmente è impiegato nell’uffico di Houston, nel Texas. Il bando del 2016 è già stato presentato al Dipartimento di Economia, che sta esaminando le candidature da sottoporre al management della Msc Usa di New York City».
È vero che a New York la vita è molto più cara che a Genova? E i guadagni come sono?
«Non necessariamente il carovita a New York è più alto rispetto a Genova. Dipende da cosa si compra e dallo stile di vita: sicuramente la qualità si paga, e i prodotti di importazione italiana sono piuttosto cari ma col tempo, tramite un po’ di ricerca, si riescono a trovare a prezzi accessibili. L’abbigliamento casual, per esempio, è meno caro rispetto all’Italia, grazie alle mall e agli outlet con prezzi stracciati, mentre per l’abbigliamento da lavoro personalmente ritengo che la qualità e il taglio degli abiti italiani sia insuperabile, e ottenere gli stessi standard qui a NY vorrebbe dire rivolgersi alla sartoria “made to measure”».
Sono molti quelli che ritornano perché delusi dall’esperienza newyorkese?
«Molto pochi. Più che delusi, direi nostalgici: quelli che decidono di tornare lo fanno per ragioni familiari o perché vogliono vivere nei luoghi dove sono nati, con tutti i compromessi che questo può comportare».
Chi rimane, in genere, conta comunque di tornare in Italia dopo avere arricchito la sua figura professionale oppure pensa di restare a New York o negli Usa per sempre?
«Inizialmente si parte per fare una esperienza con la speranza di tornare, ma dopo aver vissuto diversi anni in questo Paese credo che la tua forma mentis cambi a tal punto che poi è piuttosto difficile tornare in Italia. Specialmente nel momento in cui si compie il cosiddetto settle down: ci si sposa; si compra casa e si hanno dei figli che, per inciso, sono americani per nascita».
Sono frequenti i matrimoni tra liguri (italiani) e americani?
«La maggior parte dei nostri soci ha sposato donne americane o italo-americane. Rarissimi invece sono i matrimoni tra genovesi, entrambi della Val Bisagno, che si sono incontrati a New York senza essersi conosciuti prima a Genova: come è accaduto a me e a mia moglie Michela. It was meant to be».
Sono molti a chiedere e ottenere la cittadinanza Usa?
«La procedura è molto lunga e il primo passo consiste nell’ottenere la Green Card, che solitamente viene sponsorizzata dal datore di lavoro. Dopo il possedimento della Green Card, per cinque anni si può richiedere la cittadinanza americana. Grazie ai rapporti diplomatici tra Italia e Usa si possono mantenere le due nazionalità».
Tornate spesso per brevi visite in Italia, feste, parenti, vacanze, ecc…?
«Sì, cerchiamo di andare in Italia almeno una volta l’anno, e soprattutto ora che abbiamo un figlio, Francesco, vogliamo che sia attaccato alla nostra Liguria come lo siamo noi, e che abbia l’occasione di vivere i luoghi, la cultura e le tradizioni italiane in prima persona. Perché lui è americano di nascita ma la sua anima è ligure».