Il futuro dei porti, e di Genova se vogliamo restare al Mediterraneo, passa da tre concetti: globalizzazione, automazione e innovazione. Ma il domani va soprattutto interpretato.
Le quote di lavoro più ricche toccheranno a chi saprà avere le migliori nuove idee.
I soldi arriveranno a ruota. La bussola del business oggi indica l’oriente e mai come oggi le strategie commerciali usate in passato valgono poco. Oggi conta la Cina, e i waterfront si adattano al dover compiacere gli occhi a mandorla. Basta guardare agli investimenti enormi di Germania (Brema, Amburgo), Belgio (Anversa) e Olanda (Rotterdam e tutto il Randstad). Tutti rivolti all’offerta da oriente.
Le sponde d’oltre Atlantico si osservano con distacco.
Negli ultimi 30 anni la domanda di trasporto marittimo di container è cresciuta a un tasso dell’8-9% annuo, a fronte della crescita annua dell’11% della flotta mondiale. Percentuali che hanno inciso e incidono ancora sui noli e sui costi generali di banchina. Dunque un mercato ondivago, difficile, che sceglie di volta in volta le flotte per il carico e i porti per mettere a terra. Negli ultimi venti anni i porti della Germania hanno sostanzialmente raddoppiato la quantità di merci gestite, giungendo a superare i 300 milioni di tonnellate. I due porti container di Brema e Amburgo sono, in quota maggiore, i grandi protagonisti della crescita. La quantità di merci movimentate nel porto di Brema «è cresciuta del 261% tra il 1995 e il 2013 (e del 287% a tutt’oggi, ndr)», afferma un rapporto ufficiale stilato dalle autorità tedesche, mentre nello stesso periodo Amburgo ha visto una crescita dell’83% (al 90% a fine 2015). Il dato, sposato alla realtà italiana, ha riscontri diversi, inferiori alle percentuali del nord Europa. Lo conferma il Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica. Che riprende anche le pubblicazioni più specialistica di ciò che sa di economia del mare. Infatti, dice il Dipartimento, che: «uno studio della Mds Transmodal ipotizza una crescita dei porti dell’Italia settentrionale da 5 milioni di teu nel 2011 a 12 milioni nel 2030», puntando in particolare sul «possibile recupero da parte del Nord-Est» (che passerebbe da poco più di 1 milione di teu a 6 milioni) di un ruolo di intermediario tra Asia e Europa centrale, zone a elevata crescita economica.
Questo scenario è teoricamente compatibile con l’evoluzione media 2000-2011 dell’insieme del settore container italiano. Ma richiederebbe di replicare sul lungo periodo i tassi di crescita realizzati in Italia prima dell’intensificarsi della competizione da parte degli altri porti mediterranei o del Northern Range su costi, velocità, collegamenti ferroviari e stradali, interporti, spazi portuali e fondali. Richiederebbe dunque, per poter essere realizzato, di vincere la sfida con tutti questi nodi. Non come gli altri quindi, ma i porti italiani, con Genova in testa se la potrebbero giocare o quantomeno mantenere vivi i propri spazi di business.
Ma il problema più grande è un altro. Dove svilupparsi: dice il Dipartimento che «con riferimento agli spazi a terra, sebbene la superficie complessiva dei nostri dieci porti più grandi sia dell’ordine di grandezza della superficie del solo porto di Anversa, Le Havre o Rotterdam», gli scali italiani mostrano un rapporto tra superfici destinate alla movimentazione di container e numero di container movimentati simile a quello dei porti del Nord Europa.
L’esiguità degli spazi rispetto ai grandi porti del Nord, allo stato attuale, sembra penalizzare più l’accesso e le manovre ferroviarie che l’efficienza della movimentazione dei container in ambito portuale.
Il dato che emerge sembrerebbe indirizzare le esigenze di programmazione volte a incrementare la capacità degli scali verso la implementazione di nuove superfici a servizio dei traffici piuttosto che verso nuove opere di accosto.
Allora che fare delle banchine sotto la Lanterna?
Puntare su un retroporto che venga rabboccato dalla gronda oppure restare un porto “piccolo”, ma di nicchia?
La geografia dei porti del Mediterraneo sta cambiando velocemente e non a favore dell’Italia.
È ancora nitida l’istantanea di qualche anno fa dello studio di Assoporti e Srm sul trasbordo container relativa all’incremento del 30% dei porti del Nord Africa. E la concorrenza si andrà intensificando, visto che (fonte Trasporti Italia.com) l’Algeria ha stanziato 3,3 miliardi di dollari per costruire un terminal container da oltre sei milioni di teu a El Hamdania, a un’ottantina di chilometri a Ovest di Algeri. Il nuovo porto con 23 banchine e una movimentazione annuale di oltre 25 milioni di tonnellate. Una recente ricerca di SeaIntel, società d’analisi sul trasporto marittimo, ripresa da “Trasporto Europa” afferma che la volatilità registrata dal settore del container «iniziata con la crisi macroeconomica, proseguirà per almeno altri quattro anni». L’instabilità riguarda soprattutto l’offerta e la domanda di stiva, un rapporto che cambia velocemente a causa delle condizioni mutevoli dell’economia globale. Ma che ha anche una causa definita come endemica.
Genova, oggi hub “forte” dell’Alto Tirreno, è teoricamente pronta al proprio nuovo ruolo di guida della portualità nazionale. Ma l’assunzione del ruolo deve avvenire in fretta.
In Europa, chiaramente, nessuno sta ad aspettare. Perché altrove ci si muove già. Il programma Trans European Transport Networks dell’Unione Europea, infatti, finanzierà per oltre 500mila euro uno studio sull’introduzione dei sistemi di trasporto intelligenti nell’area portuale di Amburgo, in Germania. Lo studio verrà usato dall’Autorità portuale di Amburgo per decidere la futura implementazione di nuovi sistemi al termine del progetto, prevista per il 2016. Questo significa aver capito che i soldi vanno dove si congiungono i desideri europei: la coniugazione di crescita e ambiente, nel rispetto del rapporto tra fondi europei concessi e nuova occupazione. Si ricorda nel recentissimo documento (marzo 2016) del Servizio Ricerca del Parlamento Europeo (Autore: Marketa Pape, Servizio di ricerca per i deputati) sull’accesso al mercato dei servizi portuali che «In un terzo tentativo di liberalizzare i servizi portuali nell’Unione europea, nel 2013 la Commissione ha presentato una proposta di regolamento volta a eliminare la competizione sleale e migliorare l’efficienza commerciale dei principali porti marittimi dell’Unione Europea». La proposta stabilisce un quadro «per l’accesso al mercato dei servizi portuali e disposizioni comuni in materia sia di trasparenza dei finanziamenti pubblici per i porti che di diritti d’uso, senza influire sulle norme sociali e occupazionali degli Stati membri». Il contesto riguarda i circa 1.200 porti marittimi dell’Unione e ribadisce quanto siano «fondamentali per la sua economia, dal momento che consentono il transito del 74% circa delle merci importate ed esportate e del 37% degli scambi all’interno dell’Unione. Oltre ad essere essenziali sia per il settore dei trasporti sia per la competitività dell’UE, i porti danno lavoro a oltre 3 milioni di persone e possono potenzialmente creare ulteriore occupazione e attrarre gli investitori. Più del 90% di tutte le merci e i passeggeri che transitano per i porti dell’Ue utilizzano i 329 porti marittimi all’interno della rete transeuropea di trasporto».