L’ospedale di Savona potrebbe avere presto un centro ictus di primo livello. Lo ha deciso il consiglio regionale approvando all’unanimità la mozione del Movimento Cinque Stelle. C’è però chi ritiene che l’offerta a Ponente sia già sufficiente e completa con il centro ictus dell’ospedale Santa Corona di Pietra Ligure.
«Avevamo presentato da tempo questa mozione dopo aver studiato la situazione al San Paolo tramite incontri e approfondimenti con gli operatori del settore – dice il consigliere pentastellato Andrea Melis – e anche i dati del Libro Bianco confermano che i casi di ictus nel nostro territorio sono frequenti. Diventa, quindi, importante avere strumenti e organizzazione pienamente operativi per rispondere alle esigenze del territorio e dei cittadini Savona».
Per Melis il San Paolo è un ospedale di capoluogo che serve un bacino importante di potenziali pazienti. «Per troppo tempo è stato scarsamente considerato, è necessario che ora si prenda in massima considerazione il potenziale e anche i dati che lo inquadrano come un ospedale primario, con accessi importanti in molte discipline. Auspichiamo che questo sia solo un primo passaggio di valorizzazione».
Il primo promotore di questa operazione è proprio il primario della Neurologia di Savona, Fabio Bandini, che a gennaio scriveva ai consiglieri: “L’unica a non avere una stroke unit in Liguria, pur ricoverando annualmente circa 400 persone con ictus, è la nostra neurologia, ai miei occhi un’incomprensibile carenza, negando ai cittadini la possibilità di ridurre il rischio di morte e di disabilità. Possediamo tutte le caratteristiche, in termini di risorse umane e strumentali, necessarie per la sua implementazione”. In Liguria sono sette le stroke unit: San Martino, Galliera e Villa Scassi a Genova, ospedale di Imperia, ospedale Sant’Andrea (La Spezia), ospedale di Lavagna e il Santa Corona a Pietra Ligure.
A supporto della richiesta i numeri dei vantaggi del trattamento effettuato in “stroke unit”, rispetto ad altri reparti: riduzione della mortalità del 3%, della dipendenza del 5% e dell’istituzionalizzazione del 2%. Si tratta, a livello nazionale, di 1.800 morti in meno e 5000 persone in più guarite completamente. Il beneficio si ha in tutti i tipi di pazienti, indipendentemente dalla gravità dell’ictus.
L’ictus cerebrale è la causa più frequente di disabilità in persone adulte e una delle più frequenti cause di mortalità. Due terzi dei casi si verificano sopra i 65 anni, ma possono essere colpite anche persone giovani. Si stima che in Liguria ogni anno ci siano oltre 7.500 nuovi casi di ictus, di cui 6000 colpiscono soggetti che non avevano mai sperimentato la malattia, mentre 1500 sono ricadute di persone che avevano già sofferto di uno o più episodi in precedenza. Nella maggior parte dei casi si tratta di ictus ischemici (causati da emboli o trombi), più rari quelli emorragici, cioè causati dalla rottura di un’arteria.
«Già oggi i cittadini savonesi colpiti da ictus ricoverati all’ospedale San Paolo di Savona trovano i trattamenti adeguati e sono seguiti nella massima sicurezza – commenta l’assessore alla Sanità Sonia Viale – la formale definizione di uno stroke unit di primo livello all’ospedale San Paolo di Savona sarà approntata nell’ambito della programmazione sanitaria al termine della riforma che verrà adottata».
Chi è contrario
Tiziana Tassinari, direttore della Neurologia del Santa Corona, non sembra essere molto d’accordo con la proposta: «La politica tende a semplificare, noi dal 2003 siamo organizzati con un’équipe multidisciplinare che interviene sui casi di ictus ischemico con le terapie e svolgiamo attrazione anche da altre regioni. Il San Paolo è un ospedale con altre ottime caratteristiche. A Savona non c’è la neuroradiologia né la neurochirurgia per esempio. Al Santa Corona abbiamo un centro di neuroscienze».
Per Tassinari c’è bisogno di maggiore informazione sul territorio: «La popolazione spesso sottovaluta i segnali dell’ictus e ritarda la chiamata al 118 quando la situazione è compromessa e meno rimediabile. Quello che capita al Santa Corona è di ricevere pazienti da altre strutture perché siamo noi quelli più specializzati e che possiamo fornire tutte le risposte immediatamente in caso di ictus. In caso di emergenza è meglio un trasferimento più lungo ma nella struttura più adatta. Collaboriamo stabilmente con altri centri nazionali e internazionali».
Non è un caso che il Santa Corona serva anche il bacino dell’estremo Ponente: «In tutto circa 500 mila residenti. La valutazione per numero di centri in base alle persone non è l’ideale per le caratteristiche della Liguria, una regione lunga e stretta, con difficoltà nelle comunicazioni stradali». Anche all’interno del dipartimento della Salute della Regione c’è chi pensa che Pietra Ligure possa essere sufficiente.
Guardando le direttive del ministero della Salute sugli standard del 2015 (decreto ministeriale 70/2015), le stroke unit di primo livello sono considerate necessarie per “rispondere diffusamente, a livello territoriale, al fabbisogno di ricovero e cura della maggior parte dei pazienti con ictus cerebrale”. Nell’area di degenza specializzata per pazienti con ictus, occorre il rispetto di alcuni standard tra cui: competenze multidisciplinari incluse o presenti nella struttura; un neurologo dedicato e personale infermieristico dedicato; almeno un posto letto con monitoraggio continuo; riabilitazione precoce (fisioterapia, logopedia, terapia occupazionale), terapia fibrinolitica endovenosa, pronta disponibilità neurochirurgica (anche in altra sede con supporto tecnologico telediagnostico), disponibilità h 24 di macchinari per tomografia o risonanza magnetica, ecodoppler cerebrale, collegamento operativo con le stroke unit di secondo livello per invio immagini e consultazione, collegamento operativo con il territorio e con una o più strutture riabilitative. Una stroke unit di secondo livello deve superare i 500 pazienti all’anno e avere altre caratteristiche, tra cui: personale dedicato h 24, neuroradiologia h 24 con macchinari specifici, interventistica endovascolare con camera con angiografo digitale h 24, neurochirurgia h 24, chirurgia vascolare h 24 e angiografia cerebrale.
Vince il modello hub & spoke
Il 6 febbraio scorso proprio a Savona durante il convegno “Update on ischemic stroke”, convegno di aggiornamento sull’ictus ischemico, con clinici di fama nazionale e internazionale, si evidenziava come la terapia trombolitica nel trattamento dell’ictus ischemico in fase acuta, dimostra di avere enormi potenzialità, solo se effettuata in strutture adeguatamente attrezzate.
Fondamentale, per i pazienti, essere trasportati il più rapidamente possibile, in una struttura adeguata. Era emerso che, malgrado le numerose iniziative realizzate, in Italia ancora una ridotta percentuale di cittadini si giova di questo trattamento perché all’insorgere dei disturbi rimane a casa, in attesa che regredisca spontaneamente, perdendo del tempo prezioso per beneficiare di questo farmaco.
Il modello di rete che appare più efficace dal punto di vista delle evidenze scientifiche, per l’ictus, secondo quanto è emerso dal convegno, è quello “hub and spoke“: la concentrazione dell’assistenza e delle cure di maggiore complessità in centri di elevata specializzazione (hub) con i quali interagiscono quelli meno specializzati (spoke), ma in grado di offrire l’assistenza e le cure appropriate più largamente diffuse. I centri della rete comunicano costantemente garantendo alle persone e alle loro famiglie un percorso di assistenza e cura unico, appropriato e ben definito in funzione della complessità dei bisogni e delle possibilità terapeutiche. In questo modo viene garantita l’assistenza necessaria e appropriata, indipendentemente dalla zona di residenza.