«Non abbiamo zone grigie su come spendiamo i soldi. La chiusura del bilancio ha mostrato ancora una volta equilibrio e anzi, abbiamo ridotto la massa del debito che graverà sui nostri figli e nipoti». Marco Doria esordisce così nel lungo discorso sul bilancio di fine anno della sua amministrazione, riassunto in 57 schede tematiche (Report fine anno Comune di Genova, slide).
Una conferenza stampa-fiume in cui il sindaco di Genova ha ribadito che qualunque sia la maggioranza, la sua giunta andrà avanti in modo da preparare il campo per la vittoria del centro-sinistra anche nel 2017 («quest’anno il gruppo misto era particolarmente nutrito, ma ha con il sindaco un rapporto diretto e pulito»).
Oltre a elogiare i dipendenti dell’ente, passati da quota 6148 nel 2011 ai 5360 di oggi, Doria ha prima sciorinato tre aspetti positivi di questo 2015: l’impegno contro il dissesto idrogeologico nella città che conta 50 km di corsi d’acqua tombati nei decenni passati, «una quantità di denaro mai vista prima per la messa in sicurezza, con lo scolmatore del Fereggiano finanziato proprio dal Comune», dice.
Seconda nota lieta la crescita del turismo e dell’attrattività culturale della città, che nonostante la crisi ha continuato a “tirare” («importante il ruolo di coordinamento comunale nell’offrire motivi per venire a Genova»).
Al terzo posto, secondo Doria, l’approvazione e l’entrata in vigore del Puc, il piano urbanistico comunale: «Il quarto nella storia di Genova. Tiene conto del rapporto tra spazio urbanizzato e ambiente».
In tutto questo quadro il sindaco ha sottolineato che non è stata tagliata la spesa sociale: «Altrimenti sarebbe stato un massacro sociale».
Il 2015 è stato anche l’anno del recupero di spazi pubblici considerati strategici, a partire dai forti cittadini, passati dal demanio a Tursi (una delle misure di maggior lungimiranza di quest’anno) e dalla caserma Gavoglio, ma anche l’anno della chiusura di «partite che si trascinavano da anni», per usare la definizione del sindaco: i contenziosi dell’Acquasola e del mercato di corso Sardegna («ora possono partire i lavori»).
Doria non dimentica anche una delle principali sfide di questi anni: la gestione dei flussi migratori: «Genova non è città dei muri, vogliamo offrire spazi e attuare una politica dell’accoglienza, difendendo e valorizzando la dignità della persona».
I nodi da sciogliere sono tanti e non dipendono tutti completamente da Palazzo Tursi: «Su Amt – spiega Doria – il Comune ha vissuto per due anni basandosi su una legge regionale, che prevedeva una gara a partire dal primo gennaio 2016 per il nuovo assetto gestionale, invece è tutto rinviato di altri due anni, con la proroga dei contratti di servizio attuali e il problema di non aver avuto nessun nuovo bus nel frattempo». La legge regionale ipotizzava addirittura il bacino unico, ma è stata impugnata da un ricorso che coinvolge le aziende di Tpl e l’Autorità garante della concorrenza; il pronunciamento del Tar è atteso per l’8 gennaio.
L’assessore ai Trasporti Anna Maria Dagnino aggiunge: «Non bisogna dimenticare che il finanziamento del trasporto pubblico spetta alle Regioni e confrontando quanto investono le altre in aggiunta al fondo nazionale, rispetto alla Liguria, non c’è partita. Il Comune ha sempre fatto ben più della sua parte, facendo chiudere ad Amt i conti in equilibrio dal 2013».
Quello che è certo è che l’azienda di trasporto pubblico genovese costa molto di più rispetto a quelle di altre città e forse ciò che stupisce è che non ne siano stati cambiati i vertici dirigenziali, visto che non sono stati in grado di alleggerirne le spese.
Su Amiu Doria ribadisce che il percorso di risanamento è ormai in atto, anche se «servirà assolutamente un socio forte economicamente per avere il sostegno per tutti gli investimenti che serviranno».