In attesa di conoscere nel dettaglio il testo della delibera sul piano casa della Regione Liguria, che ha sollevato un polverone tra ambientalisti, Liguria Business Journal ha analizzato i dati Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) sul consumo del suolo nella nostra regione.
Il risultato non è per nulla esaltante perché se nel 1950 il consumo stimato era tra il 2 e il 3,5% e nel 2013 oscillava tra il 5,9 e l’8% (battuta da molte altre regioni), quando si va a vedere il cosiddetto consumo effettivo (vedi box in fondo), le cose cambiano in peggio: la Liguria è seconda in questa classifica con il 22,8% (prima la Valle D’Aosta con il 30,6%). La percentuale di superficie del territorio alterata direttamente o indirettamente dal consumo di suolo a livello regionale raggiunge quota 56% (Puglia, Emilia Romagna, e Campania vanno oltre il 60%).
Analizzando solo la fascia costiera, tra le regioni con valori più alti entro i 300 metri dalla linea di costa ci sono proprio le Marche e la Liguria con oltre il 40% di suolo consumato.
Al livello regionale, Liguria e Campania hanno i valori percentuali più elevati di suolo consumato tra 0 e 10% di pendenza (19,3% e 15,9% rispettivamente). Se si guarda oltre il 10% di pendenza si trovano percentuali maggiori di consumato ancora in Liguria (con 3,7%) e Campania (con 4%).
Per quanto riguarda la percentuale di suolo consumato in relazione alla pendenza, oltre il 19% del suolo entro i 150 metri è consumato in Liguria, l’8% in Trentino Alto Adige. L’alto livello di impermeabilizzazione del suolo, spiega Ispra, è in gran parte dovuto all’orografia del terreno di queste regioni, entrambe montuose, che ha favorito l’espansione urbana lungo il corso dei corpi idrici e nei fondovalle, che sono zone a pendenza minore del resto del territorio. I fenomeni di esondazione hanno quindi un particolare impatto in queste zone.
Il dato è aggravato dal fatto che la Liguria ha il 30% di superfici consumate in aree a pericolosità idraulica (a livello nazionale è il 9%, percentuale comunque considerata molto alta dall’Ispra, al secondo posto le Marche con il 13%) e che ha la percentuale più elevata di suolo consumato entro i 150 metri dai corpi idrici (il 19,2%, di gran lunga il primato nazionale, visto che la regione al secondo posto è il Trentino Alto Adige con l’8%).
In aumento anche la superficie delle aree urbane: dal 5,5% del totale nel 1990 al 6,4% del 2008, circa 5 mila ettari in più. In ogni caso, per quanto riguarda la provincia di Genova e il Comune capoluogo, prevale la bassa e media densità.
A livello provinciale (dati Copernicus 2012 e cartografia Ispra) il consumo di suolo (non effettivo) vede Genova con oltre il 5%, cioè poco più di 11.400 ettari (Milano e Napoli oltre il 25%). Imperia è al 4,9% pari a circa 5.400 ettari, La Spezia al 6,2% pari a circa 5.400 ettari, Savona al 5,3% pari a circa 8.100 ettari.
Se si passa ad analizzare i comuni, Genova sale a oltre il 20%, non una cifra elevatissima se confrontata con quella di altri comuni a livello nazionale (Torino 57,6%, Napoli 57%).
Le conclusioni di Ispra sono chiare: “Il consumo di suolo cresce ancora in modo significativo, pur segnando un rallentamento negli ultimi anni. Tali dinamiche non sono giustificate da analoghi aumenti di popolazione e di attività economiche”.
Per Ispra il governo della crescita sostenibile degli insediamenti umani, il recupero dei centri storici, forme urbane più compatte e semi-dense, il riuso di aree dismesse o già urbanizzate, anche attraverso interventi di rigenerazione e riqualificazione, rappresentano possibili risposte a un tema particolarmente sentito a tutti i livelli di governance territoriale.
Un fenomeno che accresce il rischio inondazioni
Il rapporto dell’Ispra descrive il fenomeno del consumo di suolo come un incremento della copertura artificiale di terreno. Un processo prevalentemente dovuto alla costruzione di nuovi edifici, capannoni e insediamenti, all’espansione delle città, alla densificazione o alla conversione di terreno entro un’area urbana, all’infrastrutturazione del territorio.
Secondo il documento l’impermeabilizzazione rappresenta la principale causa di degrado del suolo in Europa, in quanto comporta un rischio accresciuto di inondazioni, contribuisce al riscaldamento globale, minaccia la biodiversità, suscita particolare preoccupazione quando sono ricoperti terreni agricoli fertili e aree naturali e seminaturali, contribuisce insieme alla diffusione urbana alla progressiva e sistematica distruzione del paesaggio, soprattutto rurale.
Un suolo compromesso dall’espansione delle superfici artificiali e impermeabilizzato, con una ridotta vegetazione e con presenza di superfici compattate non è più in grado di trattenere una buona parte delle acque di precipitazione atmosferica e di contribuire, pertanto, a regolare il deflusso superficiale.
L’effetto “isola di calore”
Nelle pagine del rapporto Ispra vengono descritti anche i principali effetti del consumo del suolo: nelle aree urbane il clima diventa più caldo e secco a causa sia della minore traspirazione vegetale ed evaporazione sia delle più ampie superfici con un alto coefficiente di rifrazione del calore. Soprattutto in climi aridi come quello mediterraneo, la perdita di copertura vegetale e la diminuzione dell’evapotraspirazione, in sinergia con il calore prodotto dal condizionamento dell’aria e dal traffico e con l’assorbimento di energia solare da parte di superfici scure in asfalto o calcestruzzo, contribuiscono ai cambiamenti climatici locali, causando l’effetto “isola di calore”.
Gli obiettivi europei e nazionali
Per quanto riguarda il suolo, nel 2002 la Commissione europea aveva prodotto un primo documento, la Comunicazione 179 dal titolo “Verso una strategia tematica per la protezione del suolo”. L’importanza di una buona gestione del territorio e, in particolare, dei suoli, è stata ribadita dalla Commissione Europea nel 2011, con la tabella di marcia verso un’Europa efficiente nell’impiego delle risorse (Commissione Europea, 2011b), nella quale si propone il traguardo di un incremento dell’occupazione netta di terreno pari a zero da raggiungere, in Europa, entro il 2050.
Obiettivo rafforzato in seguito dal legislatore europeo con l’approvazione del Settimo Programma di azione ambientale, denominato “Vivere bene entro i limiti del nostro pianeta”, (Parlamento europeo e Consiglio, 2013) che ripropone l’obiettivo precedente, richiedendo inoltre che, entro il 2020, le politiche dell’Unione debbano tenere conto dei loro impatti diretti e indiretti sull’uso del territorio.
Nel maggio 2014 invece la Commissione ritira la proposta della direttiva quadro sul suolo del 2006, che avrebbe trasformato la strategia tematica per la protezione del suolo in norme vincolanti per gli Stati Membri. La Commissione ha però dichiarato di voler mantenere il proprio impegno sulla questione.
La poca efficacia degli impegni dettati dalla cornice internazionale, globale ed europea, non ha dato un’adeguata spinta propulsiva agli strumenti nazionali.
Nel nostro Paese, poi, rileva Ispra, la legislazione vigente relativa alla cosiddetta “difesa del suolo” (dlgs. 152/06) è incentrata sulla protezione del territorio dai fenomeni di dissesto geologico-idraulico più che sulla conservazione della risorsa suolo.
È però in fase avanzata di discussione il disegno di legge in materia di contenimento del consumo del suolo e riuso del suolo edificato (C. 2039), in cui sono considerati alcuni degli indirizzi e dei principi espressi in tema di consumo di suolo a livello comunitario. Il testo impone l’adeguamento della pianificazione territoriale, urbanistica e paesaggistica vigente alla regolamentazione proposta. In particolare consente il consumo di suolo esclusivamente nei casi in cui non esistano alternative consistenti nel riuso delle aree già urbanizzate e nella rigenerazione delle stesse, riconoscendo gli obiettivi stabiliti dall’Unione Europea circa il traguardo del consumo netto di suolo pari a zero da raggiungere entro il 2050.