Il tonno rosso messo all’ingrasso è ricchezza per pochi. A sollevare la questione ci pensa Renata Briano, vicepresidente della Commissione Pesca al Parlamento europeo che porta in discussione a Bruxelles il tema sottolineandone la «ridistribuzione iniqua della ricchezza».
Le quote di tonno sono definite su basi scientifiche dall’Iccat, International commission for the conservation of atlantic tunas, e, a partire dall’anno scorso, sono stabilite su base triennale. All’Italia spettano quasi 2.300 tonnellate per il 2015, circa 2.700 nel 2016 e poco più di 3.300 nel 2017 (dati Mipaf). Quote in aumento, a dimostrazione che il tonno rosso, a differenza di quanto talvolta viene divulgato, non è una specie in via d’estinzione. Il problema sta nel fatto che, come sottolinea Briano, «oggi in Italia il 74% delle quote è assegnato a sole 12 imbarcazioni, in grado di riempire la quota in pochissimi giorni di lavoro». Dal 26 maggio al 24 giugno 2015, e nessuno dei dodici pescherecci che utilizzano il cosiddetto “sistema di circuizione” è di matricola ligure.
«Con questa distribuzione iniqua restano praticamente escluse dalla possibilità di pescare tonni quelle imbarcazioni, circa 800 e la maggior parte artigianali, che pescano il pesce spada e per cui le catture accessorie di tonno costituirebbero un buon introito supplementare». Ma quando i tonni rossi arrivano in Liguria, è troppo tardi per pescarli: «Per natura i tonni arrivano nel mar ligure più tardi rispetto alle zone del Sud – rincara la dose Daniela Borriello, regionale del settore Pesca di Coldiretti Liguria – Di conseguenza, con una quota così bassa, quando questi pesci popolano le nostre acque, il limite è quasi già stato raggiunto: basta un giorno o due per superare la quota di pesca accessoria».
Nella battaglia del tonno rosso, l’associazione non è stata fuori dai giochi: «Dall’anno scorso l’Iccat ha aumentato del 20% le quote per il 2015 – spiega Borriello – ma nonostante le nostre richieste, supportate anche da dati scientifici che dimostrano la portata del tonno rosso nei nostri mari, la quota non è stata ridistribuita in modo equo. I tonni rossi ci sono, ma non possiamo pescarli». In particolare, oltre i “big” della pesca a circuizione, il 13,5% delle quote è destinato alla pesca con il sistema palangaro, «una rete armata di uncini utilizzata anche per la cattura del pesce spada – precisa Borriello – In Liguria si contano 540 imbarcazioni professionali totali: di queste una percentuale compresa tra il 30% e il 40% ha la licenza palangaro». Ma non c’è nemmeno una matricola ligure tra le 30 imbarcazioni elencate nel decreto del ministero, a cui è destinata per legge una quota di tonno rosso. Quota che va dalle 2,5 tonnellate di “Vergine del Rosario” di Salerno e le 33,9 di “Maria” di Trapani.
Poco spazio anche per le tonnare fisse tradizionali: «Una piccola quota che permette a stento il mantenimento delle strutture e degli operatori», afferma Briano. Si tratta di circa l’8,4%: in Liguria esiste solo una tonnara fissa, quella di Camogli, «oggi impegnata soprattutto in attività turistiche piuttosto che di pesca», commenta Borriello.
Ma quello del tonno rosso non è solo un problema di quote: «Dal punto di vista ecologico, il grosso dell’attività, finalizzata all’ingrasso degli animali catturati tra maggio e giugno con le tonnare volanti e portati nelle gabbie, è un vero controsenso – descrive l’eurodeputata – perché vengono utilizzate tonnellate di risorse da pesca, come sgombri, aringhe, e altre specie, che potrebbero essere impiegate per il consumo umano, al solo scopo di ingrassare un’unica specie di elevatissimo valore commerciale, concentrando così i ricavi in mano di pochi».