Un’azione di contenimento massiccia su determinate zone, ma soprattutto l’invito a chi ha subito danni a rivolgersi alla Regione Liguria che ora ha assorbito le competenze delle province sulla fauna selvatica.
Stefano Mai, assessore regionale alla Caccia, all’Ambiente e all’Agricoltura, fa il punto della situazione sui cinghiali, raccomandandosi di non portare cibo agli animali che arrivano ai margini della città, ma si sofferma anche su un’altra piaga non solo degli agricoltori liguri, ma anche dei boschi: caprioli e daini.
«Questi animali non sono stati monitorati a sufficienza – afferma Mai – sono simili alle capre, si cibano di germogli e sfregano le cortecce più delicate, facendo morire le piante giovani e impedendo il ricambio naturale all’interno del bosco. Abbiamo in programma una maggiore attenzione nei confronti di daini e caprioli, alcuni branchi raggiungono cifre molto alte e il loro passaggio è deleterio per la stabilità dei versanti».
La caccia non è sufficiente per risolvere il problema. Uno studio di Davide Zanin, agrotecnico della Regione Emilia Romagna, evidenzia come gli ungulati debbano essere controllati partendo dalla loro strategia alimentare: il capriolo per esempio è un ruminante brucatore, tipicamente selettivo di alimenti facilmente digeribili e concentrati. Ha bisogno (specie in inverno) di una parte anche consistente di fibra grezza. Può soffrire la fame a pancia piena, cioè può essere alimentato quantitativamente in modo sufficiente ma allo stesso tempo risultare denutrito, proprio perché necessita di alimenti altamente nutrienti. Se un capriolo venisse nutrito a fieno morirebbe in pochissimo tempo. La forma di prevenzione suggerita è rappresentata dalle reti di protezione posizionate attorno alle giovani piante.
Secondo l’ultimo, datato (2009), rapporto Ispra dedicato agli ungulati in Italia, le province di Genova e Imperia sono state interessate da numerose operazioni di reintroduzione in aree già in fase di colonizzazione naturale: tra il 2004 e il 2006 nel Parco naturale dell’Aveto erano stati rilasciati 28 animali, ben 141 nell’imperiese tra il 2000 e il 2003.
Secondo il rapporto Ispra ancora oggi risulta difficile stimare con precisione la consistenza complessiva del capriolo sul territorio nazionale, per le difficoltà di censimento della specie, la difformità delle tecniche di conteggio utilizzate e soprattutto per l’assenza di programmi di monitoraggio in molte aree di presenza della specie.
Di norma i censimenti vengono realizzati solo nelle aree interessate dalla caccia, in cui una stima di consistenza è indispensabile per poter definire i piani di prelievo, o in aree protette in cui sono attivi studi specifici; non sono invece effettuate stime quantitative nelle oasi di protezione, nelle zone in cui la specie non viene cacciata, in molte aree protette regionali e nazionali. In Liguria nel 2000 si stimava una consistenza intorno ai 12.610 capi, nel 2005 la quota era salita a 16.116. Popolazioni abbondanti (oltre 10 mila capi) erano calcolate nella sola provincia di Savona.
Gli abbattimenti nel 2004-2005 erano arrivati a 869 capi, raddoppiando la quota della stagione 1999-2000. Dati più recenti si trovano sul Rapporto sullo stato delle foreste in Liguria: nel 2010 erano stimati 29.062 capi, anche se calcolati su una superficie parziale rispetto a quella effettivamente occupata dai caprioli. Il rapporto indicava come cifra maggiormente vicina alla realtà quella di circa 40 mila capi.
Per quanto riguarda i cinghiali lo studio della Regione Emilia Romagna ha evidenziato come l’impatto dell’animale sulle attività dell’uomo, si traduce in un danno diretto dovuto al prelievo delle parti vegetali utilizzate come alimento, e indiretto determinato dal calpestio e dall’attività di scavo che danneggiano le piante mettendone a nudo le radici.
Secondo Zanin tra i fattori che concorrono ai danneggiamenti delle colture da parte dei cinghiali, ci sono anche errate tecniche venatorie che sono poco selettive, tendenti a favorire le classi giovani (branchi erratici senza territorio di pascolo): non essendoci femmine adulte si riproducono tutte le giovani (femmine gravide di 5-6 mesi). Va considerato anche il cosiddetto “Effetto spugna” delle aree protette dove gli animali si rifugiano e tendono a concentrarsi.
Tra le soluzioni proposte la creazione di campi “a perdere” in posizioni strategiche (ma la Liguria non è l’Emilia); la diversificazione delle tecniche di prelievo (alla braccata andrebbero affiancate la caccia in girata e la selezione, meno invasive e impattanti sul territorio; prelievi a basso impatto, ma anche in aree protette attraverso l’ausilio di trappole e chiusini di cattura per evitare l’effetto spugna); monitoraggio e georeferenziazione dei danni (pagare un danno tutti gli anni nel medesimo luogo non è normale, occorre capire perché succede sempre lì); visione aerea del territorio (con l’ausilio di sistemi Gis è possibile sovrapporre a una cartografia o a una ortofoto gli eventi di danno georeferenziati, la posizione di ogni istituto di gestione e il tipo di copertura vegetale presente) per capire come si muovono gli animali.