L’apporto delle risorse umane nell’ambito dell’economia della conoscenza, è dato dal numero di persone impiegate in ricerca e sviluppo, rispetto alla popolazione residente in un certo luogo. Nell’Europa dei 27, l’Italia sfigura al diciassettesimo posto con un misero 0,37%, mentre il valore medio europeo si attesta sullo 0,5%. La Finlandia svetta in cima alla classifica con un dato pari all’1,04%. Ultima la Romania con lo 0,14%. In base a tale parametro suddividiamo l’Italia in due regioni: quelle che superano il valore medio nazionale e quelle che invece sono superate (figura 1).
Le regioni italiane dove è maggiore il numero di lavoratori impiegati nel settore della ricerca e sviluppo
sono il Lazio e l’Emilia Romagna con un dato pari allo 0,56% della popolazione. Di seguito il Piemonte, anch’esso con una percentuale superiore allo 0,5. Una differenza abissale rispetto alla Calabria dove il valore
percentuale si ferma allo 0,09, o il Molise dove la percentuale si attesta allo 0,13. La Liguria è sopra la media nazionale con lo 0,44%, un risultato che offusca la sua presunta reticenza al cambiamento, visto che la ricerca si occupa di innovazioni di prodotto, processo, di organizzazione o di marketing (figura 2).
Dove lavorano coloro che sono impiegati in ricerca e sviluppo? La più grande percentuale di loro, ovvero il 49,7%, lavora nelle imprese private, mentre il 32% è nelle università. I rimanenti sono suddivisi fra la pubblica amministrazione e le istituzioni private non profit. È interessante notare, come a seconda della zona geografica
messa in analisi, il dato vari. Ad esempio gli occupati nelle imprese private variano dal 64,1% Nel Nord Ovest al 25,8% nel mezzogiorno, così come coloro che che svolgono tale impiego nella pubblica amministrazione sono il 7,1% nel Nord Ovest e il 30,5% al Centro (figura 3).
Nel corso dell’ultimo decennio il numero percentuale delle persone impiegate in ricerca e sviluppo è aumentato.
Il dato è variato a livello nazionale dallo 0,25% al 0,37%, mentre analizzando le singole regioni, in alcuni casi, come ad esempio il Trentino Alto Adige, il valore è più che triplicato, passando dallo 0,14% allo 0,45%.
In Liguria l’incremento è stato più lieve, portando il dato dallo 0,31% allo 0,44%. Pur se l’incremento non ha mostrato le stesse accelerazioni, tutte le regioni italiane hanno vissuto un aumento. Prendendo a riferimento aree di maggiori dimensioni, il Nord Est è il luogo dove l’incremento è stato maggiore da 0,23% a 0,49% (figura 4).