A giudicare da ciò che sta succedendo nei Paesi in cui la campagna è già a buon punto, si può affermare con certezza che i quattro vaccini attualmente somministrati in Italia funzionano tutti molto bene. Anche il tanto bistrattato AstraZeneca, che ha mostrato un’efficacia ben superiore a quella inizialmente diffusa.
Lo dimostrano i numeri che Renata Gili, responsabile Ricerca sui Servizi Sanitari della Fondazione Gimbe, ha diffuso nel secondo dei sei seminari riservati ai giornalisti da parte della Fondazione (qui la prima puntata). Numeri che, soprattutto per quanto riguarda l’efficacia, sono stati spesso interpretati in modo errato.
Cerchiamo di fare chiarezza.
Intanto cosa vuol dire efficacia di un vaccino? Su 100 mila persone non vaccinate si attendono mille casi di Covid (assumendo un’incidenza dell’1% come i trial clinici hanno dimostrato), se vaccinate con un vaccino efficace al 95% saranno solo 50 i casi attesi, cioè il 5% di quei mille e non il 5% delle 100 mila persone (che sarebbero 5 mila, una bella differenza).
Gli studi di efficacia sono effettuati nella fase che precede la commercializzazione prima su piccoli gruppi di volontari, poi su circa trentamila persone e valutano i benefici dei vaccini.
Sia i vaccini a vettore Mrna (Pfizer/BionTech e Moderna) sia quelli a vettore adenovirale (AstraZeneca e Johnson & Johnson) «funzionano egregiamente – dice Gili – ma di questi studi non sapevamo tutto: per esempio non si conosceva ancora se potessero essere utili solo sulle forme sintomatiche della malattia, ma anche nel prevenirla». Occorrono circa 3 settimane per la produzione di anticorpi.
Negli studi clinici l’efficacia sulla Covid sintomatica era già molto alta. Su quella severa addirittura Moderna e AstraZeneca raggiungono il 100%.
La somministrazione su larga scala ha dato vita a una serie di prove sul campo. Per esempio AstraZeneca, considerato un vaccino di serie B perché inizialmente sembrava avere un’efficacia del 60%, ha raggiunto un’efficacia dell’81,3% ampliando l’intervallo tra prima e seconda dose (197 casi attesi anziché mille).
Tutti e quattro i vaccini hanno inoltre in comune un aspetto importantissimo, già presente nei trial clinici: evitano la forma severa. Un solo caso grave di Covid per Pfizer, nessuno per Moderna, con incidenza in entrambi i vaccini già in calo dopo la prima dose, nessun ricovero nei vaccinati per AstraZeneca, mentre per Johnson & Johnson l’efficacia sulle forme più gravi sale all’85,4% dopo 28 giorni dall’inoculazione.
In Israele, dopo la seconda dose di Pfizer/BionTech, l’efficacia sulla malattia severa è all’87%, stessa cifra sull’ospedalizzazione da Covid, sull’infezione documentata al 92%. Il declino dei casi e delle ospedalizzazioni è maggiore e più precoce nei soggetti vaccinati.
Dal picco di metà gennaio in Israele si è verificato un decremento dei nuovi casi del 98%, un calo della Covid-19 severa del 97%, un calo dei decessi del 99% (attualmente sono due al giorno). Tutto ciò ha provocato lo stop all’obbligo delle mascherine all’aperto e il progressivo allentamento delle restrizioni.
Negli Usa dopo la seconda dose di Pfizer o Moderna l’efficacia sulle ospedalizzazioni degli over 65 è al 94%.
In Scozia l’efficacia sulle ospedalizzazioni è al 91% per Pfizer a 28-34 giorni dalla prima dose, all’88% per AstraZeneca. Simili risultati se l’analisi è ristretta agli over 80: 83%.
Un importante dato sulla prevenzione arriva dalla Gran Bretagna: la possibilità di infezione da Covid è ridotta del 65% 21 giorni dopo la prima dose di vaccino rispetto ai non vaccinati senza evidenze di infezione precedente. Dopo la seconda dose con Pfizer è al 90%.
Come funzionano i vaccini?
La tecnica Mrna è nuovissima e mai usata prima, mentre il vettore adenovirale è stato utilizzato per il vaccino contro ebola. Agiscono contro la proteina S ossia la particella rossa che sta sulla superficie del virus e che è fondamentale per entrare nelle cellule e replicarsi. Senza essa il virus non potrebbe infettarci. Con il vaccino la chiave falsa non funziona più.
Mrna sta per Rna messaggero, ossia l’acido ribonucleico che trasferisce informazioni genetiche per la produzione di proteine nel ribosoma delle cellule, che è una particella-fabbrica di proteine. Il ribosoma, ricevuto il messaggio dell’Mrna, produce la proteina S, facendola riconoscere al sistema immunitario che così produce gli anticorpi.
I vaccini adenovirali agiscono a un livello precedente, trasportando il dna grazie a un vettore innocuo e che non può replicarsi.