Funghi secchi, acciughe salate, pinoli. Nelle ricette della cucina ligure sono alla base di un’infinità di sughi e salse. Una nostra zia, genovese come la Lanterna, e quasi sua coetanea, e quindi garante di una tradizione antica, al terzetto cipolle-carote-sedano accompagnava quello di funghi-acciughe-pinoli. Sempre. In caso di piatti a base di carne, se ricordiamo bene, toglieva le acciughe.
Il soffritto con questi sei elementi rimane abbastanza diffuso ancora oggi, e il lettore potrebbe pensare che, di questo passo, nei prossimi articoli gli spiegheremo l’utilità dell’acqua calda e la presenza dell’umidità nei pozzi. Ma, a parte il fatto che funghi, acciughe e pinoli non sono più così presenti nelle nostre cucine come un tempo – deriva che sarebbe bene contrastare – vorremmo anche spiegare perché la cucina ligure da tempo fa affidamento su questi tre ingredienti.
Non vi teniamo con il fiato sospeso, la spiegazione, almeno secondo noi, è questa: i tre contengono acido glutammico in alta concentrazione, e l’acido glutammico esalta i sapori.
Nel 1908 un certo dr Ikeda, chimico giapponese, aveva scoperto nel brodo di alghe kombu la presenza di un gusto diverso da tutti gli altri, il quinto gusto dopo i quattro conosciuti in Occidente, dolce, salato, acido e amaro. Secondo Ikeda le alghe kombu contengono la più alta concentrazione di glutammato in natura. Ikeda chiamò questo gusto “umami”. Il termine ha avuto fortuna e indica, a essere precisi, un’unione di diverse sostanze, in particolare del glutammato monosodico e dei 5′-nucleotidi. Il glutammato monosodico è il sale di sodio dell’Acido L-Glutammico, che è uno degli aminoacidi più presenti nei cibi, sia in forma libera sia combinato in proteine. L’acido glutammico nell’organismo umano stimola ed eccita i neurotrasmettitori del gusto.
L’acido glutammico è presente in alta concentrazione, quindi in misura tale da insaporire i cibi di per sé, in diversi alimenti oltre alle alghe kombu, soprattutto nel pomodoro – e infatti la cucina italiana, superata la diffidenza verso questo prodotto esotico, ne fa larghissimo uso, nel formaggio parmigiano (spaghetti, sugo di pomodoro e parmigiano…), nei funghi porcini, nel prosciutto crudo stagionato, nei pinoli, e in altri.
La presenza di acido glutammico nel pesce conservato è alla base della fortuna, nell’antichità classica, del garum, una salsa che i romani (si veda Apicio, “De re coquinaria”) mettevano quasi ovunque, e che veniva dalla Grecia e dall’Oriente. Il termine garum indicava salse e paste ottenute mediante la fermentazione in salamoia di pesci, interi o a pezzi, acciughe e anche sgombri, tonni, murene e altri. Interessante, per chi volesse approfondire l’argomento, l’articolo “L’ultimo garum di Pompei. Analisi archeozoologiche sui resti di pesce dalla cosiddetta Officina del garum di Alfredo Carannante, Automata, Anno III-IV 2008-2009 Fasc. 1.
A leggere di pesce fermentato noi moderni restiamo perplessi, ma si consideri quanto siano diffusi e apprezzati il Nuoc mam, vietnamita, prodotto in modo molto simile a quello del garum, la salsa Padaek (Thailandia e Laos), preparata con pesci, sale, crusca di riso, il Bagoòng (Filippine), pesce mescolato con sale e fermentato a lungo, le acciugate provenzale e toscana, e tanti altri prodotti. E la colatura d’alici di Cetara?
Abbiamo fatto il giro del mondo per tornare alle acciughe. Essendo la Liguria fatta di monti che precipitano in mare, i nostri antenati hanno trovato l’acido glutammico nei prodotti dei boschi e del mare: pinoli, funghi, pesce. Nell’Italia centrale nei battuti si mette il prosciutto crudo, altro concentrato di acido glutammico.
Come è noto, l’industria alimentare fa largo uso di glutammato monosodico, nei dadi da brodo e in tantissimi cibi, salse, sughi. La contrapposizione tra naturale buono e industriale cattivo non ci interessa, anzi, ci sembra una scemenza, come il rifiuto degli ogm e l’uso dei prodotti cosiddetti biologici (si veda il nostro articolo su questo argomento). Farà più male un dado da brodo o una bella, naturalissima, insalata di cicuta, stramonio e aconito, condita con olio evo e limoni di Amalfi? E che dire di un piatto di amanita falloide, tagliata fine fine?
Il fatto è che in acciughe salate, ecc…, cioè nei nostri tre storici ingredienti “naturali”, l’acido glutammico è presente senza gli aromi e le spezie che lo accompagnano nei prodotti industriali, aromi e spezie che possono piacere o meno e che in ogni caso tendono a uniformare i sapori.
A proposito di sapori: acciughe e funghi secchi sono buoni di per sé ma più che il compito di apportare i propri aromi hanno quello di esaltare il gusto del piatto. Di mettere a fattore comune il loro acido glutammico. Non si deve avvertire un sapore di fungo o di acciuga nel sugo (i pinoli hanno un sapore più tenue), si deve sentire tutto più saporito.
Tanto che, per fare un esempio, nella cucina di un tempo troviamo le acciughe salate, dove non ce le aspetteremmo, nel minestrone. Al posto di quella bomba di acido glutammico che abbiamo visto essere il parmigiano. Forse si tratta di una ricetta adottata nei giorni di magro strettissimo.
Nel bel lavoro di Franco Accame, Silvio Torre e Virgilio Pronzati “Il grande libro della cucina ligure” (De Ferrari Editore, 2000), alle pagine 174-175 leggiamo che occorre tagliare, affettare, spezzettare le varie verdure, metterle a bollire, ecc… e poi: «tritate e pestate nel mortaio le acciughe salate, il basilico, l’aglio e i pinoli. Stemperate il battuto con olio e acqua calda. Quando, dopo circa due ore, la verdura è quasi cotta, gettate i vermicelli e aggiungete il battuto. Cuocere per dieci minuti mescolando ogni tanto».
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