Si chiama Street Union! ed è il progetto con cui la Cgil ligure punta a formare la cittadinanza sui temi dell’inclusione e dell’accoglienza. Corsi, incontri, seminari e presentazione di libri aperti al pubblico, organizzati anche in collaborazione con la Fondazione Giuseppe Di Vittorio e la rete dell’associazionismo territoriale, con cui la Cgil vuole facilitare la consapevolezza di come l’ “altro” possa costituire una risorsa e un’occasione di incontro. «Decostruire una serie di stereotipi e pregiudizi che si sono creati soprattutto intorno al tema dell’immigrazione – spiega Fabio Marante, segretario organizzativo Cgil Liguria – Questo il nostro obiettivo. E nello stesso tempo, ricomporre, dal basso, le fratture della nostra società, superando le disuguaglianze, partendo dalla conoscenza dei fenomeni e promuovendo cultura e partecipazione».
I prossimi appuntamenti
Gli incontri dal titolo “Senza l’altro – una simulazione sull’economia e la società italiana dell’assenza di immigrati” (28 marzo) a cura di Riccardo Sanna, economista, capo area sviluppo Cgil nazionale, e “L’immigrazione in Liguria tra continuità e mutamenti” (4 aprile) a cura di Andrea Torre, direttore del Centro studi Medì, sono pubblici e gratuiti. Gli incontri si terranno nel salone Governato Cgil in via San Giovanni d’Acri 6 e sono stati accreditati dall’Ordine dei Giornalisti della Liguria nell’ambito degli eventi dedicati alla formazione professionale continua.
Dopo i primi due eventi formativi organizzati lo scorso 8 marzo a Sanremo e a Ventimiglia, il primo sul tema della prostituzione minorile e il turismo sessuale e il secondo sulla vicenda di Thomas Sankara, presidente del Burkina Faso, le prossime iniziative proposte dalla Cgil nell’ambito di Street Union! si svolgono giovedì 28 marzo e giovedì 4 aprile. Entrambi gli incontri fanno parte del percorso di formazione “Io e l’Altro”, progettato dall’Ufficio Formazione Cgil Liguria.
«Il contesto economico e sociale – spiega Giuseppe Massafra, segretario nazionale Cgil – fortemente interessato dalla iniqua distribuzione delle risorse, rappresenta, anche in Liguria, un terreno fertile per l’esasperazione dell’individualismo e la ricerca continua di un capro espiatorio. Il tema della paura alimenta un sentimento di astio nei confronti dell’altro, che viene visto come colui che toglie “quel poco che ci resta”. Ma questa paura va contestualizzata proprio nella situazione in cui la stessa paura si crea. Una situazione che va analizzata a fondo».
Per questo, proprio in occasione della presentazione di Street Union, la Cgil ha reso noti una serie di dati (fonte Eurostat) che descrivono la realtà ligure sotto il profilo del rischio di povertà ed esclusione sociale. «Dati che fotografano una situazione in cui questi rischi sono fortemente presenti – commenta Marco De Silva, responsabile dell’Ufficio Economico Cgil – La Liguria, più che povera, è impoverita da due fasi di crisi. Mettere in chiaro, dati alla mano, le condizioni di vita della popolazione è anche uno degli obiettivi del nostro progetto».
Il 23% dei liguri è a rischio povertà o esclusione sociale
Gli indicatori
Il “Rischio di povertà o di esclusione sociale” è una combinazione di tre indicatori: rischio di povertà relativo, la grave deprivazione materiale, la bassa intensità di lavoro. L’indicatore centrale è il rischio di povertà relativo. A questo indicatore sono stati affiancati un indice di grave deprivazione materiale e uno di esclusione dal mercato del lavoro, ossia la quota di individui che vivono in famiglie con bassa “intensità di lavoro” (l’indicatore considera in ogni famiglia gli individui in età da lavoro (15-75 anni) e computa il numero di mesi in cui hanno lavorato sul totale dei mesi dell’anno; l’intensità si considera molto bassa quando è inferiore al 20%).
S’intende così cogliere anche quella parte di popolazione che, pur in assenza di un rischio di povertà relativo dal punto di vista reddituale, si trova in una condizione di deprivazione diretta e immediata, cioè in una condizione di esclusione sociale, soprattutto in chiave prospettica, con riferimento alla partecipazione al mercato del lavoro. Le persone con almeno una condizione fra le precedenti si considerano a rischio di povertà o di esclusione sociale.
La Liguria ha il 23% (erano il 26,5% nel 2014) di persone a rischio povertà o esclusione sociale, percentuale inferiore rispetto al resto del Paese (28,9%), ma più alta in confronto alla media delle regioni del Nord Ovest (20,7%).
Non meno preoccupante il dato riferito alla bassa intensità lavorativa: «In Liguria quasi una famiglia su 10 è in questa condizione», ricorda De Silva. Il 9,7%, per l’esattezza. Il dato nazionale è pari all’11,8%, la media del Nord-Ovest al 7,4%.
Per quello che riguarda il rischio di povertà relativo, in Liguria la percentuale si attesta sul 13,7%. La stima dell’incidenza della povertà relativa viene calcolata sulla base di una soglia convenzionale (la cosiddetta linea di povertà), che individua il valore di spesa per consumi al di sotto del quale una famiglia viene definita povera in termini relativi. In sostanza, è la capacità di spesa di una famiglia. Per un nucleo di due componenti, per esempio, la soglia di povertà individuata dall’Istat è di 1.085,22 euro. Per una famiglia di quattro persone sale a 1.768,91 euro. In valori assoluti, in Liguria vivono in condizioni di povertà relativa 65.426 famiglie (8,5%), cioè 130.852 persone (13,7%).
E poi c’è il dato sulla grave deprivazione materiale, in cui versa la famiglia nella quale si verificano almeno 4 di 9 condizioni: non avere telefono, tv a colori, lavatrice, automobile, oppure la difficoltà a consumare un pasto a base di carne o pesce ogni due giorni, svolgere una vacanza all’anno di almeno una settimana, pagare regolarmente mutui o affitto, riscaldare l’appartamento, fronteggiare spese inaspettate. La percentuale dei liguri che vivono in questa condizione è dell’8,6%. In Italia sono il 10,1%, nel Nord-Ovest il 7,3%. In Liguria il picco della grave deprivazione materiale si è toccato tra il 2012 e il 2015: in particolare, nel 2014 ha raggiunto il 12,7%. «Insomma, il quadro è quello di una regione impoverita, anziana, che lavora poco e male, fanalino di coda del Nord Ovest», commenta De Silva.