Scalando la montagna del credito deteriorato delle banche italiane (quattro volte più consistente della media in confronto a quelle dell’Unione europea) si scoprono tante cose. Ma soprattutto, arrivando in cima e guardandosi intorno, ci si accorge che le montagne degli altri partner europei sono non solo apparentemente più basse, ma anche infinitamente più sdrucciolevoli, infide e franose della nostra.
Non performing loans, più famosi ormai con l’acronimo npl. La più brutta malattia delle banche, di tutte le banche. Italiane e non. Si parla di prestiti diventati inesigibili o quasi per una serie di svariatissime ragioni. Nella massa sono compresi prestiti personali ai privati, fidi alle aziende piccole e grandi che siano, fino ai mutui. Soldi, tanti, che non torneranno più nelle casse di chi li ha prestati.
In Liguria il fenomeno è diffuso quasi quanto nel resto d’Italia. Ma come sempre ci sono dei ma.
La valutazione dei crediti che presentano difficoltà gradualmente crescenti è argomento complesso, ma regolamentato. Ogni singolo affidamento che inizi a mostrare segnali anche modesti di tensione o difficoltà, obbliga la banca a fronteggiarne il rischio con accantonamenti crescenti, accantonamenti che erodono l’utile di bilancio e, quando l’utile non c’è, il capitale.
Torniamo alla Liguria. Alla fine del 2015 (fonte Banca d’Italia) i crediti deteriorati complessivi rappresentavano il 25,7% dei prestiti alla clientela (erano al 23,9% nel 2014) dove 15,4 punti percentuali sono rappresentati da sofferenze. Nella media dei quattro trimestri del 2015, il flusso di nuove sofferenze in rapporto ai prestiti in essere all’inizio del periodo è stato pari al 2,5%, “un livello analogo a quello del 2014 e leggermente inferiore alla media nazionale (2,7%).
Dice sempre Bankitalia nelle Note sulla Liguria che fra le imprese (il cui dato si è attestato al 3,5%, l’indicatore è aumentato solo nei servizi. Il comparto caratterizzato da maggiore rischiosità è rimasto quello delle costruzioni. Anche per le famiglie consumatrici l’indice si è mantenuto stabile, all’1,2% L’incidenza delle posizioni che presentano difficoltà nel rimborso meno gravi rispetto alle sofferenze si è sostanzialmente stabilizzata (10,3%), mentre il dato riferito alle imprese è leggermente cresciuto (dal 14,0 al 14,4%), diversamente a quello relativo alle famiglie consumatrici è rimasto costante al 4,0%.
Una sfilza di percentuali che danno l’idea di quanto sia complessa la situazione del credito nella nostra regione.
In Italia e in Liguria si stanno cercando delle soluzioni, che potranno portare al miglioramento della situazione. E queste soluzioni non possono che partire dalle famiglie e dalle aziende più piccole e meno strutturate. Gli esempi più classici sono la rinegoziazione dei tassi e l’allungamento della durata del finanziamento. Tutte iniziative che vanno incontro a un concetto molto semplice: la vulnerabilità del reddito delle famiglie. Che se non valutata per tempo e accompagnata non potrà che andare ad aumentare la massa dei crediti in difficoltà. Un dato di partenza: In base ai dati più recenti dell’indagine Eu-Silc, nel 2014 il 22,3% delle famiglie liguri era indebitato per un mutuo e/o per un credito al consumo. La percentuale massima prudenziale di reddito familiare da dedicare alla rata del mutuo e del finanziamento è generalmente calcolata attorno al 30%. Perché con il residuo la famiglia deve poter vivere. Ma i redditi delle famiglie medie sono sottoposti a rischi importanti. Gli stipendi sono fermi (con difficoltà ad adeguarsi al costo della vita reale per i monoreddito) e spesso, in una famiglia, uno dei due percettori di reddito perde il lavoro. Fino a un decennio fa ad “ammortizzare” le rate contribuivano gli aumenti di stipendio.
Oggi ad ammortizzare la rata contribuisce solo la rinegoziazione del tasso.
Questa condizione porta a dati sulla vulnerabilità delle famiglie davvero allarmanti.
L’ultimo dato percentuale disponibile relativo alla quota di mutui in essere detenuto da famiglie vulnerabili (è del 2014) è il 20,6% del totale (era il 14,5% solo l’anno precedente). Dati difficili, quelli liguri, che per questa singola voce sono, tra l’altro, nettamente più gravi di quelli del resto d’Italia.
Ma nonostante tutto, tuttavia, la percentuale delle famiglie che non pagano il mutuo o il prestito, in Liguria, è molto più bassa che nel resto del Paese: 3,7% per il mutuo, 6,7 per il prestito al consumo.
La situazione per le imprese in ogni accezione del termine è – anche quella – difficile, con comparti, come le costruzioni, che soffrono in maniera pesante, anche a causa della riduzione molto sensibile dei lavori pubblici. La montagna del credito deteriorato rischia dunque di franare?
E gli altri, in Europa, come fanno o come hanno fatto per avere percentuali di sofferenze inferiori a noi?
Vediamo gli altri. Innanzitutto i rapporti di indebitamento delle famiglie rispetto al reddito: al nostro 30% fa fronte il 63% della Francia ed il 68% della Gran Bretagna. Poi le banche. Secondo quanto emerge dal rapporto 2016 «Dati cumulativi delle principali banche internazionali» di R&S Mediobanca (ripreso da uno studio approfondito del Sole 24 ore a firma Paolo Paronetto), nel 2015 la percentuale di crediti dubbi netti sul totale dei crediti nel nostro Paese era all’8,2%, contro un livello medio europeo pari al 2% (1% in Germania, 1,2% in Spagna, 1,5% nel Regno Unito e 1,7% in Francia). Uno zaino pesantissimo il nostro, un fattore di rischio enorme. Ma i ma, qui, sono altrettanto evidenti. Vediamoli. La situazione del nostro Paese, migliora considerando altre voci, come le esposizioni “forborne” (quelle che hanno ottenuto modifiche contrattuali rispetto alle condizioni originali di finanziamento, utilizzando la definizione precisa di Paronetto)), che in Italia sono il 9,7% dei crediti dubbi lordi contro il 26% medio in Europa (40,1% in Germania, 27,5% nel Regno Unito, 84,8% in Spagna, 12,6% in Francia). Significa che, in fase di concessione del credito, in Italia si è stati più attenti e che a condizionare il non buon andamento del prestito hanno contribuito soprattutto fattori esogeni al soggetto finanziato, come ad esempio la crisi del settore di appartenenza o il ritardo degli incassi. Vale per tutti la Spagna, con gli spropositati finanziamenti all’edilizia. Infine, ma non certo per ultimo (anzi), un aspetto determinante, che sembra solo “tecnico”, ma così non è.
Le banche italiane sono anche meno esposte ai cosiddetti attivi di “Livello 3″ (sostanzialmente costituiti da asset illiquidi, privi di mercato e in quanto tali valutati in modo discrezionale dai singoli istituti, riprendendo la definizione di Paronetto): considerando insieme attivi di Livello 3 e forborne, in Italia si arriva al 24% del patrimonio netto tangibile contro il 30,3% della media europea e il 52% della Germania.
Per non parlare poi dei derivati, che per le banche italiane costituiscono il 9,3% del totale attivo contro il 18,2% della media europea e il 29,7% della Germania.
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che certo non sono meno marcate delle nostre. Valorizzando addirittura alcuni attivi che di fatto valgono zero. Il tutto lasciando da parte il come e il quanto è stato speso dai partner europei per salvare il proprio sistema bancario con aiuti di stato plateali contro il quasi nulla dell’Italia. La differenza in argomento tra gli altri Paesi europei e noi è che gli altri, a differenza nostra, casa propria e le proprie manchevolezze le difendono con i denti ed il coltello. Da noi – quando il sistema Italia viene attaccato dall’esterno anche ingiustamente – troviamo frotte di italiani che danno ragione a prescindere a chi il nostro Paese maltratta.