Non ha portato panico in Liguria l’ondata della Brexit.
L’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea avrà ripercussioni forti sui mercati finanziari. Probabilmente, fino a oggi, non abbiamo ancora visto niente. Per i britannici sarà una iniziale, certa disgrazia (cercata e voluta), per il resto dell’Europa l’opportunità di poter ospitare capitali e attività finanziarie alla ricerca di porti più riparati. Al momento, dopo l’esplosione atomica sui mercati causata dal Brexit, su tutti i listini sta cadendo un’inevitabile pioggia acida che si chiama volatilità. Prezzi che non tengono, prese di beneficio sul quotidiano, speculazione (a volte stracciona) fatta di vendite allo scoperto, attacchi ai titoli bancari, dentro e fuori dai titoli sovrani per lucrare sullo spread. Alla volatilità ci si dovrà abituare. E la “gestione” della volatilità diventerà presto fattore determinante per richiamare capitali.
In Liguria, tutti fermi, liquidità abbondantissima tenuta in cassaforte, presa d’atto di perdite di valore di periodo sui dossier titoli, in attesa che la nebbia si dissolva un pochino. I dati della Banca d’Italia, pubblicati a giugno e con riferimenti freschissimi portati a prezzi di mercato, offrono spaccati molto interessanti, dove si nota in maniera ben chiara l’andamento delle giacenze finanziarie del territorio e le scelte gestionali dei liguri.
Due dati, tuttavia, fanno capire moltissimo. Per la prima volta nella rendicontazione della ricchezza vengono fatti rientrare anche i risparmi postali e i “prestiti soci” alle cooperative (per esempio, i “conti” presso la Coop). Eccoli. A fine anno scorso il totale delle attività finanziarie liguri nella più ampia accezione ammontavano a circa 129 miliardi di euro. Tra questi 36,8 erano rappresentati da “biglietti, monete, depositi bancari e risparmio postale”, cioè la forma di giacenza liquida per eccellenza. Altri 66,3 miliardi erano invece leggibili tra le voci titoli, prestiti soci a cooperative e quote di fondi di investimento. Ma ciò che colpisce di più sono le percentuali che queste masse rappresentano sui totali e come e quanto sono cambiate rispetto al passato. In 10 anni la liquidità immediata (i “liquidi”) è diventata il 28,6% delle scelte di giacenza dei liguri dal 20% che erano nel 2005. I titoli (oltre a, prestiti alle coop, azioni e fondi) che nl 2005 erano il ricovero del 66,3% dei risparmi, sono scese in percentuale a circa il 51%.
Diminuzione della fiducia? Calo della propensione al rischio? Semplice paura? Sta di fatto che la gente per ora sembra aver deciso che è stanca di fare calcoli per far fruttare il proprio denaro e per ora, preferisce non far nulla. La visione generale è di brevissimo respiro e guardare al di là dell’oggi, alle opportunità che un mercato così volatile potrebbe invece offrire, per ora non esalta alcuno.
Se entriamo nello specifico degli investimenti in titoli dei liguri, le peculiarità – rispetto al risparmio del resto degli italiani – non mancano. I titoli di Stato si sono ridotti a solo 7,5 miliardi. Sono in gran parte Btp di vecchia emissione, dal valore di mercato altissimo, visto le cedole sontuose che portano. Chi ce li ha se li tiene stretti, visto che a ogni calar di spread aumentano di mercato. Le nuove emissioni di Btp, Cct e Bot sono di appetibilità bassa, visto che i rendimenti sono al limite del negativo. Fa specie il pensare che solo a inizio secolo i titoli di stato italiani erano quasi il triplo rispetto a oggi. Altri 7,5 miliardi di euro sono ancora investiti in obbligazioni bancarie. Su questo “prodotto” ormai non va più nessuno, anche perché di nuove emissioni non ce ne sono più. Si aspetta solo che scadano per riorientarne il capitale altrove.
Gli investimenti in azionario sono stabili a 3 miliardi. Non pochi, certo. Per quanto possa apparire incomprensibile per chi dei dati di borsa legge solo i risultati di fine giornata, qualche piccolo momento percentuale in rialzo, proprio sulle masse di azionario puro, si inizia a percepire.
La parte più importante del risparmio è però orientata su fondi e bancassicurativo. Quasi 14,6 miliardi sono lì. Una scelta dettata da molteplici ragioni. I fondi investono su più mercati, su panieri di titoli, su titoli di stato, in buona sostanza suddividono il rischio. Escludendo alcuni momenti particolari (come nel 2008 o nel dopo Brexit) quando è inevitabile il pagar dazio, sostanzialmente tengono. Al momento, leggendo la stampa specializzata e ascoltando pareri di esperti, il risparmio cosiddetto “gestito” apparirebbe quello con, alla cintola, il salvagente più sicuro. Tuttavia questi numeri, in sé, rappresentano uno spaccato di periodo. Leggere le percentuali serve a farsi idee più chiare.
Nel 2015 i depositi bancari detenuti dalle famiglie e dalle imprese residenti in regione, che assieme ai titoli a custodia costituiscono la principale componente del risparmio finanziario, sono rimasti stazionari (erano invece cresciuti del 5,3% nel 2014). I depositi detenuti dalle sole famiglie consumatrici, che rappresentano oltre l’80% del totale, hanno rallentato all’1,6%. In un contesto in cui i tassi di interesse sulla raccolta (soprattutto conti correnti) sono scesi a livelli minimi, si è anche accentuato il calo dei depositi vincolati o a scadenza protratta.
Ma le galoppate dei tesori dei liguri sembrerebbero scese ben sotto il livello del trotto. Infatti il valore, ai prezzi di mercato, dei titoli delle famiglie consumatrici in custodia presso le banche si è ridotto del 4,8%. Le quote dei fondi hanno continuato ad aumentare a ritmi sostenuti (oltre il 10%). La riduzione dei titoli di Stato si è fatta più marcata (-15,7%), in presenza di rendimenti negativi per alcune delle nuove emissioni della seconda metà dell’anno.
Alla fine delle valutazioni il dato che emerge è questo: tra il 2005 e il 2014 il valore delle attività finanziarie detenute dalle famiglie liguri (ricchezza finanziaria lorda) è passato da 134 a 129 miliardi di euro, con una flessione complessiva del 3,8%. Alla fine del 2014 la ricchezza finanziaria lorda pro capite era di circa 81.000 euro, un valore oggi inferiore rispetto alla media del Nord Ovest, per quanto ancora superiore a quella italiana.