Il welfare aziendale è per tutti, non più alla portata solo delle grandi aziende: ora le pmi grazie a questa nuova dimensione del lavoro hanno a disposizione strumenti che possono risultare fondamentali per diventare più competitivi sul mercato e al tempo stesso tutelare il benessere dei propri dipendenti e i bisogni degli altri stakeholder.
È quanto emerso dal convegno che si è tenuto giovedì scorso nello “Spazio ImmaginaGenova” a cura di NoiGenova Assicurazioni – Agenzia Generali Genova Piazza Dante, in collaborazione con Welion, società del gruppo Generali specializzata in programmi di welfare integrato e servizi dedicati alla salute. Un’analisi del welfare aziendale a 360 gradi con contributi di datori di lavoro, professionisti delle human resources e consulenti del lavoro. «Nuova consapevolezza da parte di aziende e lavoratori, un enorme potenziale di crescita che le pmi stanno scoprendo, atteggiamenti positivi, sostenibilità, stili di vita sani e accessibili a tutti, insieme a un utilizzo avanzato della tecnologia sono le parole chiave dei concetti messi a fuoco questa sera», ha detto Carlo Tenderini, agente generale di NoiGenova Assicurazioni- Agenzia Generali Genova Piazza Dante facendo il punto sui lavori.
I benefici del welfare si possono quantificare in maniera oggettiva. «Esistono studi sia italiani sia internazionali – ha spiegato Tenderini – che hanno dimostrato che il miglioramento del benessere dei lavoratori non può che migliorare la produttività mentre al tempo stesso l’applicazione di questi piani genera un beneficio nel cuneo fiscale, dando così al lavoratore un maggior potere di acquisto. Uno strumento che consente di effettuare un’analisi ampia e approfondita di questo fenomeno è il Welfare Index Pmi, promosso da Generali con il patrocinio della presidenza del consiglio dei ministri, presenti le confederazioni più importanti. Dal Welfare Index sta emergendo una ricchezza di aziende, illuminate, attente alla responsabilità sociale, con la quale non sono solo beneficiati i loro dipendenti ma tutta la comunità che c’è intorno. Il Welfare Index si propone di dare un indicatore di quanto atteggiamento crei un beneficio non solo all’interno ma anche in tutto quello ruota intorno all’azienda».
Cresce l’attenzione per il welfare nelle pmi
«Il welfare – ha premesso Cesare Lai, a.d. di Welion – ricopre una sfera molto larga. Le principali evidenze su questo fenomeno emerse negli ultimi due anni sono dovute a due fattori: il cambio nella normativa negli ultimi 5-6 anni e la pandemia hanno dato uno scossone, sono stati un booster per le tematiche welfare: da una parte hanno generato una maggiore consapevolezza dell’importanza del welfare inteso come supporto per le persone, dall’altra hanno fatto capire che questo strumento porta a essere più competitivi sul mercato oltre che a dare un supporto positivo ai lavoratori. Abbiamo visto che circa il 42% delle realtà che hanno implementato le iniziative di welfare durante la pandemia le hanno mantenute, per esempio quelle di supporto alla salute dei dipendenti, anche nel periodo successivo all’emergenza. I lavoratori ne riconoscono decisamente il valore e mostrano un livello di gradimento assai elevato. Un ulteriore tema di interesse che sta emergendo ora rispetto al passato è il fatto che due imprese su tre manifestano l’intenzione di rafforzare l’impegno sociale verso i lavoratori e verso gli stakeholder esterni, ovvero comunità locali e filiera produttiva».
Lai ha puntualizzato che il welfare «è cresciuto in maniera significativa negli ultimi sei anni. Dieci anni fa le politiche di welfare evolute erano appannaggio solo delle grandi realtà. Ora vediamo verso questo strumento un interesse sempre più forte in tutti i settori merceologici e soprattutto anche in realtà di piccole e medie dimensioni. E questo vuol dire che è aumentata in maniera significativa la consapevolezza che gli strumenti sono idonei e che coprono effettivamente i bisogni reali delle persone. Il livello di welfare in Italia sale a un ritmo sostenuto, le imprese, le pmi con un elevato livello di welfare sono cresciute dal 9,7 del 2016 al 21% registrato con l’ultima edizione del Welfare Index Pmi del 2021. Inoltre nelle prime edizioni la partecipazione a questo indice era di circa 2 mila aziende, nell’ultimo anno siamo arrivati a circa 6 mila aziende. Questo per dare uno scenario macro dei cambiamenti. Se focalizziamo l’attenzione sui bisogni primari, vediamo che la pandemia ha prodotto una forte concentrazione da parte delle aziende e delle persone su tematiche che sono molto concrete e ci accompagnano nel quotidiano. Mentre nel passato l’attenzione era rivolta più a offrire una copertura sanitaria, per stare al tema salute, ora l’esigenza sta cambiando. Confermato che l’80% della popolazione ritiene la salute al primo posto tra gli elementi vitali, critici, risulta incrementato in maniera significativa rispetto al passato il fatto che anche le aziende iniziano a ritenere non solo la salute in generale ma la prevenzione uno dei temi critici. Perché abbiamo vissuto in questi ultimi due anni vicende in cui molte azioni preventive non sono state eseguite, in alcuni casi con conseguenze purtroppo non particolarmente piacevoli. Questo vuol dire che le aziende, per esempio, cominciano a organizzare, a gestire piani di vaccinazione antiinfluenzale nelle proprie strutture o presso strutture esterne per agevolare i propri dipendenti e per garantirsi un sistema di sicurezza nell’ambiente di lavoro. Inoltre si sta passando da pacchetti di check up che prima venivano gestiti solo in forma fisica, anche in forma digitale. La pandemia ha dato una forte spinta in generale sul tema della salute ma anche sulle modalità di fruizione dei servizi relativi a questo tema. Il check up digitale sta crescendo in maniera significativa e anche tutti quei servizi di telemedicina, teleconsulto che possono costituire un supporto veloce, concreto per il dipendente, sia per esempio quando ha bisogno di un consulto veloce per la malattia di un bambino e magari ricevere una prescrizione sia per visite di specialisti, programmate non in modalità fisica ma in modalità virtuale. L’ultima tendenza è quella di non limitarsi a prevenzione e cura ma iniziare a lavorare anche sulla popolazione sana con sistemi di incentivazione ad adottare corretti stili di vita. Si punta a essere a fianco del dipendente in questi tre momenti: prevenzione, cura e adozione di corretti stili di vita».
«Le pmi – ha concluso l’a.d. di Welion – hanno avuto negli ultimi due-tre anni una spinta significativa in questa direzione, per effetto magari di grandi aziende pionieristiche che hanno fatto scuola su alcuni concetti. Ora le pmi dispongono di strumenti che possono risultare fondamentali per essere più competitivi sul mercato e allo stesso tempo riuscire a rafforzare il trust con i propri dipendenti offrendo servizi che vanno a incontrare le loro esigenze principali, salute, pensione, possibilità di supporto per le spese di educazione dei figli. Riescono a coprire a 360 gradi le esigenze dei loro dipendenti godendo tra l’altro di benefici fiscali. E la crescita di interesse e di utilizzo di questi servizi fa ben sperare e fa vedere che c’è una consapevolezza enormemente maggiore rispetto al passato».
Le norme che regolano il welfare aziendale
Roberto Minetti, commercialista, titolare dell’omonimo studio che ha sede a Genova e a Milano, ha illustrato il complesso di norme che regolano la fiscalità del welfare aziendale. I riferimenti normativi e di prassi partono dalla legge 208/2015, articolo 1, commi 182-190, seguiti da norme che arrivano fino alla circolare Ade 05/E/2018 – disposizioni in materia di welfare introdotte dalla legge 205/2017. «Il principio generale – ha chiarito Minetti – è quello della omnicomprensività. Il lavoro dipendente è costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro. Importanti sono le deroghe al principio generale: la legge di Stabilità 2016 prevede che le somme e i valori di cui all’articolo 51, comma 2 e all’ultimo periodo del comma 3 non concorrono a formare il reddito di lavoro dipendente. La detassazione è consentita solo per finalità extra-remunerative di natura organizzativa, socio-assistenziale, incentivante. I beni o servizi oggetto di tassazione sono concessi in natura, salve le eccezioni per servizi di educazione».
Ai fini fiscali il welfare aziendale, ha ricordato Minetti, «non può avere fini retributivi bensì di integrazione della componente monetaria, con funzioni sociali o di efficienza, per migliorare il benessere del lavoratore e della sua famiglia. Può sostituire i premi di produttività e può essere gestito nell’ambito della contrattazione di secondo livello. Il beneficio è esteso a familiari del lavoratore anche se non sono a suo carico. I benefit compresi nel welfare fiscale non concorrono a formare reddito per i lavoratore. Per il datore di lavoro il welfare strutturato per obbligo negoziale – contratto nazionale, contratto aziendale di secondo livello, regolamento aziendale quando non è revocabile né modificabile autonomamente dal datore di lavoro nel periodo di vigenza – comporta la deduzione totale ai fini Ires».
Per approfondimenti vedi Fiscalità del welfare aziendale.
Come si realizza un piano di welfare aziendale
Isabella De Vecchis, consulente del lavoro, iscritta al Consiglio Provinciale dell’Ordine di Genova, ha illustrato gli step metodologici necessari per realizzare un piano di welfare aziendale: «Innanzi tutto, quando in azienda si comincia a parlare di welfare l’inizio è sempre questo: “vorremmo riconoscere qualcosa ai nostri dipendenti ma salvaguardando i costi aziendali“. Poi, però, andando a esaminare con l’azienda le varie casistiche, ci rendiamo conto che possiamo raggiungere molti altri obiettivi oltre a questi. Il principale è quello di fidelizzare il dipendente e diminuire così il turn over, mettendo in atto una politica sia di corresponsione di beni e servizi sia di concessione di maggior tempo al dipendente in modo che possa migliorare la qualità della propria vita. Influendo in maniera positiva sull’equilibrio tra vita privata e vita lavorativa del dipendente, l’azienda non solo può fidelizzare il dipendente ma anche esercitare un certo appeal all’esterno. Così si crea non solo un ambiente di lavoro più stimolante ma, dando al dipendente la possibilità di gestire al meglio il proprio tempo, si riduce notevolmente l’assenteismo e quindi si ottiene una migliore produttività».
Per quanto riguarda la metodologia, «il primo step è fare un’analisi della propria popolazione. È più facile nelle aziende piccole, più complicato in quelle di grosse dimensioni, però è fondamentale perché dobbiamo assicurarci che le misure che mettiamo in campo incontrino il favore dei nostri dipendenti. Bisogna analizzare i dipendenti, conoscere la loro età, se hanno figli, genitori o parenti che devono assistere, mappare le loro esigenze, anche in relazione al budget che l’azienda ha disponibile. Per cui consigliamo alle aziende di proporre un questionario con domande anagrafiche, sull’età dei figli, ma anche sulle aree di interesse dei beneficiari. Cosa ti piacerebbe che ti regalassimo? Un abbonamento al cinema, alla palestra? Indispensabile è verificare le forme retributive di cui stanno già godendo: per esempio, se la maggior parte di loro ha l’auto aziendale per uso promiscuo, cioè sta già godendo di un fringe benefit, e come piano welfare decido di erogare a tutti un buono Amazon di 200 euro, brucio il piano welfare, perché la normativa prevede che la soglia di 200 euro si cumuli con il benefit auto. A quel punto i 200 euro diventano imponibile per tutti i dipendenti e il piano welfare viene vanificato. Bisogna anche valutare i servizi disponibili sul territorio e vedere se è necessario appoggiarsi a un fornitore esterno. Ormai la maggior parte delle aziende si appoggia a piattaforme esterne perché intanto si toglie tutta la parte gestionale e quindi alleggerisce il suo compito e poi perché queste piattaforme sono strutturate, hanno stretto delle convenzioni, rendono più facile al dipendente usufruire di una vasta gamma di servizi. Occorre anche un buon piano di comunicazione in azienda per valorizzare quello che si sta facendo, farne capire l’utilità. Qualche anno fa, quando veniva proposto il welfare i dipendenti reagivano con molto scetticismo, sembrava che togliessimo loro forme di retribuzione diverse, magari erano abituati a prendere premi in denaro in busta paga, premi che vedevano più tangibili. Il welfare all’inizio non è tangibile, si parla di servizi, non è una somma che viene riconosciuta ma ormai da tempo i dipendenti ne hanno capito i vantaggi».
L’azienda può contribuire anche a migliorare il rapporto tra lavoro e vita privata del suo dipendente: «Il welfare non è solo un insieme di bene e servizi, l’azienda può anche fare un piano di welfare quasi a costo zero andando a disciplinare aspetti che aiutino i dipendenti nella gestione della loro quotidianità, per esempio con periodi di permessi per malattia dei figli che non sono previsti a livello legislativo, può concedere del part time in più rispetto a quanto previsto dalla legge, o semplicemente consentire una maggiore flessibilità dell’orario di lavoro o un maggiore utilizzo dello smart working. Bisogna insomma identificare gli elementi che possono aumentare la lo soddisfazione dei lavoratori».
«Lo step successivo è la scelta della fonte istitutiva: se si sceglie il regolamento unilaterale vincolante – cioè che non può essere modificato né revocato unilateralmente dall’azienda e deve essere messo in campo per un periodo congruo – oppure l’accordo collettivo di secondo livello, quindi un accordo con i sindacati, abbiamo la piena deducibilità del costo. Cosa deve scegliere l’azienda? Dipende da come è strutturata. Se ha dipendenti sindacalizzati, magari con rsu o rsa, sarà più facile che preferisca un accordo con il sindacato in un’ottica di negoziazione, altrimenti conviene ricorrere alla forma più utilizzata che è quella del regolamento unilaterale vincolante. Nel regolamento si inseriscono innanzi tutto i beneficiari – tutti i dipendenti o specifichiamo le categorie a cui vogliamo elargire questo beneficio – la durata del piano e la vigenza del regolamento, che deve essere congrua, almeno di un anno, e naturalmente l’importo che intendiamo erogare e le eventuali condizioni di questo importo. Si può decidere che l’importo sia proporzionato all’orario di lavoro, part time, o full time, chi viene assunto nel corso dell’anno può avere diritto a tanti dodicesimi quanti i mesi di lavoro trascorsi in azienda e questo vale anche per chi cessa il rapporto di lavoro prima della scadenza del regolamento. È importante chiarire i beni e i servizi offerti dal piano e come il dipendente può usufruire di questi beni. Se scelgo di utilizzare un portale, una piattaforma, questa parte ce l’ho già compilata, non devo fare altro che allegare quanto già scritto dalla piattaforma. L’ultimo step è quello del monitoraggio del piano, sia durante lo svolgimento sia alla fine del periodo di vigenza del regolamento. Verifico il grado di soddisfazione del dipendente e l’utilizzo di quanto ho messo in campo. Di solito si fa un piccolo questionario. Così si possono eventualmente approntare le necessarie modifiche».
Non solo grandi aziende
Maura Festa, responsabile di Sistemi di gestione aziendale di Farco Group, società del bresciano dedicata ai prodotti, ai servizi e alla formazione per la sicurezza dell’impresa, che si è aggiudicata la seconda posizione nella scorsa edizione del Welfare Index Pmi, è intervenuta da remoto. Festa ha sottolineato che «Si può fare welfare anche senza molti lavoratori e grandi budget. Noi non siamo una grande struttura. Cosa abbiamo fatto per ottenere questo riconoscimento? Intanto per strutturare il piano di welfare abbiamo eseguito un’analisi della popolazione aziendale. I nostri collaboratori hanno diverse professionalità ed esigenze. La mappatura ha coperto anche aspetti extra-lavorativi. Tutto comunque è partito da una grande sensibilità che la direzione di Farco Group ha dimostrato sui temi in generale della responsabilità sociale d’impresa e in particolare sul welfare. Farco è un gruppo fondato su una forte cultura della sostenibilità, attento alla tutela dell’uomo, dell’impresa, dell’ambiente e della comunità. Siamo consapevoli che le imprese sono aggregatori sociali, e che è nostro compito sostenere i lavoratori in un contesto sempre più complesso non solo sul piano lavorativo ma anche su quello sociale, la complessità del sociale poi si riflette necessariamente sul nostro contesto aziendale. La strategia alla base del nostro piano di welfare sta in questa costante ricerca di un equilibrio tra essere competitivi, in crescita costante dal punto di vista economico e l’ascolto delle istanze dei nostri stakeholder, e fra questi i principali sono naturalmente i nostri lavoratori. Siamo una società di servizi, il nostro know how sono le nostre persone, per noi la risorsa umana è al centro. Quindi tutto è partito dalla sensibilità della direzione che ha permeato tutto l’organico e l’operatività quotidiana dell’azienda. Il coinvolgimento attivo e l’ascolto dei nostri lavoratori è alla base del nostro sistema. Siamo coscienti del fatto che da un lato i lavoratori sono risorsa fondamentale per lo sviluppo della nostra competitività e dall’altro che loro usano lo strumento del lavoro per perseguire obiettivi non solo economici ma di benessere personale e anche della comunità lavorativa. Abbiamo quindi strutturato un piano che toccasse il welfare in senso stretto e anche la promozione della salute e di stili di vita sani, con un occhio sempre rivolto all’ambiente».
Una parte importante del welfare di Farco è rivolto alla cura dei figli: «Abbiamo risorse giovani con figli, con famiglia, il 50% è composto da donne, per cui è stato necessario, quasi fisiologico, occuparsi di queste tematiche. Abbiamo istituito un servizio per figli in età scolare. Quando ci siamo accorti che sul territorio non erano disponibili alcuni servizi in certi periodi dell’anno, c’era un problema vero, per cui il papà e la mamma non erano in ferie e i bambini rimanevano a casa: abbiamo coperto questi buchi con un servizio ad hoc completamente gratuito organizzato dall’azienda con il supporto di operatori professionali. Il nostro piano include la personalizzazione degli orari e sostegni economici anche solo in determinati periodi. Altra categoria è quella di azioni più trasversali, che includono anche lavoratori che non hanno figli o li hanno grandi, misure sanitarie, check up periodico, possibilità di fare attività sportiva, abbiamo organizzato spazi con spogliatoi e docce. Cerchiamo sempre di potenziare il piano welfare anche attraverso il monitoraggio periodico stando sempre attenti a mappare eventuali nuove esigenze dei lavoratori, per esempio abbiamo organizzato convegni ed eventi di carattere culturale. Inoltre il nostro sistema non perde mai d’occhio alcune realtà locali, come l’accoglienza degli studenti, il supporto alle attività di tirocinio».
«Credo – ha commentato Tenderini – che la vostra azienda dimostri di essere veramente al centro della propria comunità e al tempo stesso abbia una grande attenzione alle proprie risorse umane, al clima positivo all’interno, e che anche per tutto questo siate riusciti a passare non dico indenni ma tutto sommato in maniera tranquilla e resiliente il periodo storico che abbiamo attraversato. E questo si deve anche al piano welfare che avete realizzato che vi ha dato una coesione interna importante».
Un altro esempio di welfare nel “piccolo” è portato da Massimo Serra, a.d. della società genovese Mediamax, che offre alle aziende servizi di trasformazione digitale, ha portato l’esempio di una piccola azienda che ha realizzato con successo il proprio piano: «La mia società – ha precisato – è composta da 15 persone, per la maggioranza a tempo indeterminato, e da qualche partita Iva inquadrata in Enasarco. Mediamax è totalmente commerciale, la sua mandante è Vodaphone, mi sono interessato al welfare perché intendevo premiare i miei collaboratori, premiare delle performance commerciali adeguate. Ma la fiscalità su quanto si eroga in busta paga aggredisce in maniera sostanziale quanto si può dare al dipendente. Grazie al consulente del lavoro Giulio Dapelo nel 2017 sono andato a un seminario con dei consulenti del lavoro molto interessante e illuminante. Un seminario che mi ha fugato dei dubbi: per esempio pensavo che essendo piccoli fosse complicato fare welfare, erogarlo, organizzarlo. Poi, essendo molto sensibile all’aspetto pensionistico, mi sono chiesto: visto che quanto dedico a welfare è defiscalizzato e non genera contributo pensionistico, non penalizzerò i miei dipendenti? Mi convinse l’intervento di un sindacalista il quale fece una domanda proprio pensando che il welfare fosse penalizzante: un professionista milanese gli rispose che la penalizzazione sarebbe stata meno di due euro al mese. Allora mi dissi: “chiuso, deciso”. Noi abbiamo una quindicina di dipendenti, quindi ho aderito a una piattaforma che mi assiste, tutti usufruiscono del welfare. Ho inserito il welfare nel 2018. Ho fatto con i miei collaboratori lo screening dei loro bisogni e il piano è stato condiviso e approvato. Dopo quattro anni sono tutti estremamente soddisfatti. Ho avuto una fidelizzazione dei collaboratori, tanto che il turn over è pari a zero, eppure i miei sono commerciali, appetibili da altre realtà che fanno più o meno il mio mestiere. Inoltre, poiché i beneficiari del welfare sono i dipendenti a tempo indeterminato, ma ho anche alcuni collaboratori a tempo determinato, questi considerano un plus essere confermati perché oltre alla sicurezza avrebbero questo vantaggio ulteriore».
Un percorso inevitabile: il ruolo dello Stato
Giulio Dapelo, consulente del lavoro, titolare dell’omonimo studio che ha sede a Genova, ha messo a fuoco il fattore politico-sociale che ha dato avvio alla normativa sul welfare. «Il welfare – ha detto – al di là di tutto quello che ho ascoltato e che è stato veramente molto interessante e utile, è nato perché lo Stato è stato costretto a fare un passo indietro ben prima della pandemia. È una resa parziale dello Stato. La pandemia è stata un ulteriore passaggio impegnativo per tutto il Paese ma lo Stato si era già accorto negli anni scorsi di avere le casse vuote e quindi non poteva fare altro che affidare non solo il miglioramento ma addirittura il mantenimento delle condizioni di vita dei lavoratori alle aziende, a costo zero perché non avrebbe potuto ipotizzare un aggravio del costo del lavoro che è già alto e neppure un abbassamento del netto delle buste paga che già soffrono di una insostenibile leggerezza. Quindi il welfare è un percorso inevitabile, di fatto i lavoratori e le aziende sono chiamati a sostituirsi in gran parte per una serie di bisogni e necessità sociali allo Stato, che non è più in grado di svolgere funzioni che fino a pochi anni fa non si poteva immaginare sarebbero state traslate al mondo produttivo. Ci sono imprenditori impegnati a sostenere il mantenimento, non il miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori. Ed è una soddisfazione per chi fa il mio lavoro trovare aziende piccole, che poi sono la maggioranza in Italia, impegnate in questo senso: sono onorato di seguire un’azienda piccola che ha una quindicina di dipendenti come Mediamax, un esempio di come si possono fare nel piccolo grandi cose».
Tante testimonianze, ha concluso Tenderini, «che il welfare è per tutti non solo per le grandi aziende». Non c’è una ricetta univoca: «La cosa importante – aggiunge Lai – è capire che tipo di rapporto si voglia instaurare con i propri dipendenti, che tipo di supporto, e quali siano gli strumenti più adatti, da utilizzare con una strategia e un obiettivo, che devono entrare nel dna delle aziende. In Italia abbiamo molte pmi, se il welfare entrasse in maniera strutturale in queste realtà potremmo sbloccare un potenziale di crescita notevole».