Mar Grande e Sentinel: due navi che il cantiere genovese San Giorgio del Porto si prepara a demolire dopo avere avviato le pratiche necessarie e in attesa dell’esito (presumibilmente positivo) della gara per lo smaltimento di una terza nave, la Theodoros. La Mar Grande, una cementiera, è proprietà dello stesso cantiere che l’ha acquistata da Italcementi, la Sentinel era stata messa all’asta dall’Agenzia delle dogane, come la Theodoros, che San Giorgio punta ad aggiudicarsi. Nasce un nuovo business sotto la Lanterna, quello delle demolizioni navali? Strutture e competenze tecniche non mancherebbero, e anzi avrebbero pochi rivali nel mondo, ma le ragioni di mercato, almeno per ora, non lasciano intravedere larghi margini di sviluppo in questo settore.
I tre cargo in comune hanno una condizione: si trovano già a Genova. Mentre le navi giunte al termine della loro vita in altre parti del mondo non arrivano allo scalo ligure, prendono in genere la via dell’Estremo Oriente, oppure si fermano in Turchia, per essere demolite e riciclate. Un grande comparto di attività, che ai tempi della demolizione della Costa Concordia era sembrato aprirsi alle aziende genovesi, rimane, per ora, soltanto potenziale.
La demolizione navale è un’attività pericolosa e complessa. Se eseguita secondo le norme europee e del diritto marittimo internazionale per proteggere l’ambiente, marino e non solo marino, assicurare un corretto smaltimento dei rifiuti tossici, e garantire elevati standard in tema di sicurezza e salute per i lavoratori, richiede varie competenze tecniche e logistiche, e attrezzature adeguate.
I cantieri devono possedere e gestire bacini di carenaggio, sollevatori, pensiline, pontoni, banchine. Strutture che richiedono manutenzione costante, protocolli di sicurezza e ambientali condivisi, e una carpenteria specializzata. E quindi, a certe condizioni, è un’attività costosa. Ma se certe norme non vengono osservate diventa un affare. Per il cantiere che demolisce la nave e anche per l’armatore che ce la manda: in Asia una nave può essere pagata fino a 400 dollari per tonnellata. I centri di demolizione più importanti si trovano ad Alang (India), Chittagong (Bangladesh) e Gadani (Pakistan). Sono cantieri a cielo aperto dove le carcasse vengono spiaggiate e spesso gli operai immergono le gambe in un bagnasciuga contaminato dal piombo e dal percolato, e rischiano seri incidenti o di ammalarsi per intossicazione. La demolizione rilascia sostanze tossiche come cadmio, piombo, amianto e mercurio. Molti ricorderanno le foto del National Geographic e di altre testate che testimoniano come avvenivano e avvengono queste attività.
Sia pure lentamente Unione europea e International Maritime Organization si sono messi in moto per spingere gli armatori degli Stati membri a demolire le navi in strutture autorizzate. Nel 2009 63 paesi hanno ratificato la Convenzione di Hong Kong per il riciclaggio delle navi. Il trattato ha portato, oltre all’impegno degli stati membri, alla pubblicazione di linee guida annuali a partire dal 2011. Nel 2013 l’Unione europea ha approvato il Regolamento sullo smantellamento e il riciclo delle navi. E proprio tra il 2013 e il 2014 a Genova è iniziato un processo che ha messo la città, dal punto di vista tecnico, all’avanguardia nel settore delle demolizioni.
Dopo il naufragio della Costa Concordia all’Isola del Giglio, nel gennaio 2012, si erano aperte le discussioni su quale porto avrebbe demolito Costa Concordia: in Italia erano in gara Genova, Piombino e Civitavecchia. Civitavecchia era stata subito tagliata fuori perché fuori mercato con i costi, Piombino, che aveva il vantaggio di essere vicino al relitto, allora non disponeva delle strutture adeguate. E a Genova, il 14 maggio 2014 San Giorgio del Porto aveva annunciato di essere il primo cantiere navale italiano ad aver ottenuto dal Rina la certificazione per le operazioni necessarie La certificazione ISO 30000:2009 ottenuta dal cantiere genovese da Rina Services, riguarda l’intero processo di demolizione e riciclaggio di una nave, dall’accettazione della nave da parte del cantiere allo svolgimento dei lavori inclusi lo stoccaggio, la gestione e lo smaltimento dei rifiuti derivanti dalla demolizione (per esempio ferro, rame, oli esausti, rifiuti urbani assimilati), che deve avvenire in modo sostenibile.
Con questo riconoscimento Genova aveva gettato sul piatto la carte decisiva. I rivali rimasti in gioco, i cantieri turchi, sul piano economico più convenienti, erano svantaggiati dalla distanza: un conto era trainare, senza sversamenti di carburante o altre sostanze, il relitto dal Giglio a Genova, un altro fargli attraversare mezzo Mediterraneo. Costa Crociere, il gruppo Carnival e i Club P&I (Protection & Indemnity), società mutualistiche fra armatori nate allo scopo di unire le forze per garantire i propri membri da rischi potenzialmente causa di rimborsi particolarmente gravosi, alla fine avevano optato per lo scalo ligure.
Per il consorzio Ship Rcycling (Saipem 51%, San Giorgio del Porto 49%) si trattava di una buona commessa, da un centinaio di milioni di euro, per Genova e le sue aziende e ovviamente per lo stesso consorzio, della possibilità di dare prova del proprio livello tecnico, dopo l’impresa condotta da altre aziende italiane di trasportare il relitto dal Giglio alla Lanterna senza il minimo incidente.
Con lo smantellamento di Costa Concordia Genova si candidava a diventare polo italiano e internazionale delle demolizioni navali. L’adozione in sede Imu della Convenzione internazionale di Hong Kong del 2009 e la crescente sensibilità a livello internazionale per i temi ambientali il porto di Genova, unica struttura portuale attrezzata con impianto di trattamento acque dedicato nel Mediterraneo, ponevano lo scalo ligure in una situazione di netto vantaggio sulla concorrenza. Non solo le imprese e le istituzioni locali, che avevano collaborato all’arrivo della Concordia a Genova, anche i sindacati avevano intravisto nuove prospettive di lavoro. «Le ricadute sull’occupazione – avevano scritto in un comunicato congiunto Ivano Bosco e Federico Vesigna, segretari generali di Cgil Genova e Liguria – saranno molto importanti non solo per il comparto metalmeccanico, ma anche sull’indotto che sarà generato dall’operazione di smaltimento. Le circa 40 aziende metalmeccaniche, che a regime possono dare occupazione a più di 2 mila persone, costituiscono uno dei tanti patrimoni professionali presenti nel porto di Genova». Secondo Bosco e Vesigna, «l’arrivo della nave, per quanto collegato a un evento drammatico, rappresenta per la città un’occasione unica per mostrare a livello internazionale le competenze e le professionalità delle maestranze della sua “economia del mare» e, in futuro, può aprire possibilità per questo tipo di lavorazioni».
Genova e Piombino, poi, sarebbero diventate complementari. Nel marzo 2015 a Firenze, alla presenza del presidente della Regione Enrico Rossi, Saipem, San Giorgio del Porto e Gruppo Neri avevano presentato un progetto per la costruzione e la gestione di un impianto di demolizione navale controllata, o ship recycling.
Ma il decollo non è avvenuto. Secondo la Ong Shipbreaking Platform che tiene traccia di tutte le attività di demolizione navale per spiaggiamento, L’anno scorso le navi demolite in tutto il mondo sono state oltre 630, di cui il 90 per cento nel Sud Est asiatico per spiaggiamento. I proprietari di navi battenti bandiera di un paese dell’Ue sono giuridicamente tenuti a smantellare le imbarcazioni giunte alla fine del loro ciclo di vita nei cantieri abilitati secondo le norme sanitarie e ambientali dell’Ue. Ma molti armatori usano bandiere di comodo, inoltre spesso, per non risultare direttamente coinvolti, vendono le navi da demolire a broker specializzati che a loro volta le passano ai cantieri asiatici. Negli ultimi anni gli armatori più grandi, dopo una serie di denunce e su pressione degli organismi internazionali, hanno iniziato a mandare sempre meno navi nei cantieri asiatici. Ma tuttora solo una minoranza del naviglio da demolire finisce in uno degli impianti di riciclaggio autorizzati dall’Ue (43 nel 2020) a effettuare attività di demolizione navale ai sensi delle normative europee: sono distribuiti in 15 paesi, e di questi 15 uno è la Turchia.
«Competere con i turchi sul piano dei costi – dichiara a Liguria Business Journal Ferdinando Garrè, ad di San Giorgio del Porto e del gruppo Gin (Genova Industrie Navali, che comprende la stessa San Giorgio, T. Mariotti, Chantier Naval de Marseille, Piombino Industrie Marittime (insieme all’azienda Fratelli Neri) e Florida Marine Industries a Miami – per noi è impossibile. In Turchia c’è un costo del lavoro più basso, noi osserviamo completamente le linee guida di Bruxelles in materia di rispetto dell’ambiente e in Italia la gestione del prodotto da riciclare, tutta la filiera del rifiuto è sottoposta a regole molto stringenti».
Ma la Turchia ha accettato la normativa Ue in materia di demolizione sostenibile.
«Fatto sta che in Turchia – precisa Garrè – pagano all’armatore 200 dollari a tonnellata e riescono a coprire i costi, da noi i 200 dollari l’armatore li deve spendere. Non riusciamo a stare nei costi con i ricavati del riciclo. Chi non va in Estremo Oriente va in Turchia. E pensare che il mercato delle demolizioni è cresciuto con la pandemia da Coronavirus. Prima i cantieri di demolizione si dedicavano alla rottamazione di navi cargo e portacontainer, la riduzione del volume di affari ha costretto le compagnie da crociera ad accelerare i tempi di rottamazione. Così davanti ai cantieri turchi c’è la fila. Noi, per ora, possiamo tenere in vita il settore dedicandoci alle navi già in loco. E conservare strutture e un know how, difficile da eguagliare, per il futuro».
Nel corso degli anni il gruppo Gin, che comprende San Giorgio del Porto e T.Mariotti, si è sviluppato con l’acquisizione di Chantier Naval de Marseille – una struttura moderna ed efficiente nel porto di Marsiglia con il più grande bacino del Mediterraneo – con la costituzione, insieme all’azienda Fratelli Neri, di Piombino Industrie Marittime, cantiere navale polivalente con alti standard di sicurezza nel porto di Piombino e con la creazione di Florida Marine Industries, unità operativa dedicata al mercato croceristico americano con sede a Miami. Le linee di business del gruppo sono: nuove costruzioni, progettazione e ingegneria, riparazioni navali, trasformazioni e ship recycling, allestimenti navali, impiantistica navale, rivestimenti e pitturazioni navali. Il gruppo Gin mantiene a Genova il suo quartier generale e molte delle sue infrastrutture per una superficie totale di circa 67.000 mq. Con un valore medio della produzione di 211 milioni di euro, oltre 500 dipendenti diretti e circa 1.200 lavoratori impiegati nell’indotto, rappresenta la maggiore realtà privata italiana nel comparto navale.
A Genova operano nel comparto delle riparazioni navali oltre 79 aziende con circa 4.000 dipendenti e oltre 2.500 addetti nell’indotto. Nell’ambito dello sviluppo del waterfront e del porto di Genova si prevede un’ampia riqualificazione degli spazi e la costruzione di nuovi impianti dove ambiente, formazione e infrastrutture giocheranno un ruolo fondamentale.