Italia Compete ha recentemente messo a confronto l’indice del fermento imprenditoriale delle città italiane: Genova si posiziona al 38esimo posto. Non un risultato eccelso, ma comunque positivo, perché il capoluogo ligure dimostra di meritare il proprio posto tra le 50 province più dinamiche della penisola. E “spacchettandolo”, si evidenziano alcuni punti di forza della città: Genova è nona per investimenti inziali in startup e 16esima per startup e pmi innovative, per esempio.
Il dato è emerso questa mattina, nel corso dell’evento pubblico NextGEneration, organizzato da Spediporto.
Un evento che, anche nella scelta grafica del nome, pone al centro dell’attenzione non solo la Next Generation Eu, ma anche la “Next Ge”, cioè la Genova del futuro, con un focus su tutti i temi al centro dell’agenda di Spediporto: automazione, digitalizzazione, sostenibilità ambientale, adeguamento infrastrutturale, formazione e creazione di nuove figure professionali, trasformazione del mercato del lavoro. Temi sui quali si deciderà il futuro delle nostre città.
«Genova ha delle grandi potenzialità e per essere più competitiva nei prossimi anni occorre agire secondo due logiche – osserva Fernando Alberti, professore ordinario di Strategie imprenditoriali all’Università Liuc, partner scientifico del progetto Italia Compete – La prima è proprio quella di agire sui propri punti di forza: sviluppare e far crescere le proprie forze porta a maggiori risultati in termini di competitività, piuttosto che compensare le debolezze con i nostri pari. Il secondo elemento centrale è quello di lavorare su una logica di cluster, cioè su una pluralità di settori. Nel caso di Genova, infrastrutture, portualità, ma anche altre realtà del bacino».
Binari sui quali viaggia il grande progetto di Spediporto, una Green Logistics Valley che faccia convivere in modo “smart” città, imprese, ambiente, tecnologia e benessere dei cittadini. Si tratta del progetto di trasformazione della val Polcevera in un’area logistica strategica, portato avanti in collaborazione con le istituzioni cittadine, in particolare Autorità di sistema portuale e Comune di Genova, e condiviso da tutte le categorie economiche e sociali della città. Un progetto innovativo che parte dalla val Polcevera per rilanciare l’economia genovese. «Un esempio di progettualità innovativa, coniugata con la sostenibilità ambientale, capisaldi di una “smartizzazione” del territorio, terziario avanzato e ricerca», sostiene Alessandro Pitto, presidente degli spedizionieri genovesi.
Il progetto non può prescindere e, anzi, si integra a quello legato alla creazione di una zona logistica semplificata, sulla quale il presidente dell’Adsp mar Ligure Occidentale, Paolo Emilio Signorini, ha fatto il punto: «Abbiamo redatto il piano strategico della zona logistica semplificata e mandato a Roma la nota per la designazione del commissario straordinario: ogni zls ne avrà uno nominato dal governo, insieme ai membri operativi. Dopodiché saremo pronti a partire».
L’esperienza internazionale degli ultimi decenni ha dimostrato che delocalizzare in una delle tante free zone estere, oltre a garantire un risparmio di costi e la fruizione di tutti i benefici logistici, burocratici e infrastrutturali connessi a una zona franca, conduce anche allo sviluppo di centri di ricerca e di innovazione, poli di sperimentazione e laboratori di ecosostenibilità, importante valore aggiunto con inevitabili ricadute sul settore occupazionale. Gli esempi che vengono in mente sono quelli di Barcellona e Singapore.
La connotazione del progetto pilota in val Polcevera potrebbe avvalorare la scelta di arricchire questa valenza “catalizzatrice” della zls anche mediante la creazione al suo interno di una zona franca doganale interclusa in ambito portuale e immediatamente retroportuale: «La nostra idea – spiega Pitto – è quella di arricchire e dotare la zls di un doppio corridoio doganale controllato che consenta lo spostamento tracciato di merci sbarcate nel porto di Genova o nell’Aeroporto Cristoforo Colombo ed essere da lì trasferite in un centro di lavorazione avanzato collocato nell’area inclusa tra il porto di Genova e il suo retroporto di primo miglio, localizzato appunto in val Polcevera. Qui sono oggi presenti e non sfruttati oltre 2 milioni di metri quadrati di spazi da destinare a nuove attività: tecnologiche, cantieristiche, farmaceutiche, logistiche, artigianali…». Nuovi insediamenti industriali “di terzo millennio” che dovranno convivere con la parte residenziale in un sistema sostenibile dal punto di vista ambientale, come sottolinea anche il sindaco di Genova, Marco Bucci: «Dobbiamo fare in modo che le industrie che sorgeranno in quest’area siano adeguate allo standard di vita dei cittadini. La val Polcevera diventerà l’esempio di come la rigenerazione urbana possa far convivere la qualità di vita di Genova con l’industria, il lavoro e l’imprenditoria. Per farlo molte idee sono già dei progetti in essere. C’è quello di rigenerazione urbana, il cerchio rosso sotto al nuovo ponte. E ancora progetti legati all’energia, alla robotica e alla digitalizzazione, come quello legato ai cavi sottomarini che presto arriveranno a Genova».
Porto ed economia del mare al centro, dunque, di una vera e propria rivoluzione digitale, ha sottolineato Pitto: «Negli ultimi 5 anni sono stati investiti circa 3,3 miliardi di dollari di venture capital in startup digitali. Le nostre aziende stanno facendo la loro parte; la nostra Federazione, tramite il gruppo di lavoro che presiedo, è stato l’unico soggetto a proporre 7 progetti di digitalizzazione logistica che il Mit ha fatto suoi e inserito nel Pnrr, per un totale di oltre 300 milioni di euro». In una città come Genova questo settore potrebbe essere la base di partenza per applicare modelli di sviluppo digitale, elevandone al cubo le potenzialità in termini di competitività, attrattività e creazione di posti di lavoro altamente professionali. La blu economy si alimenta di merci, passeggeri, cantieristica, turismo, ma dovrà necessariamente essere sostenuta in futuro da un sempre crescente ruolo della smart technology. Uno spunto su come sfruttarla al meglio arriva da Singapore: «Sicurezza, condivisione e misurazione dei dati – spiega Andrew Lim, professore della National University di Singapore – Il nostro porto lavora e funziona bene perché intorno a sé ha un ecosistema efficiente, che mette al centro non solo la protezione dei dati, elemento fondamentale per la sicurezza di imprese e cittadini, ma anche la loro misurazione e condivisione: il settore pubblico deve impostare le linee guida, tracciare la strada, il privato deve poi fornire un feedback. Solo così si può misurare quanto messo in pratica e constatare o meno un effettivo miglioramento. A ciò si aggiunge la condivisione delle esperienze: il nostro modello di porto è stato replicato in varie parti del mondo. Queste sono le chiavi del successo».