L’asimmetria fra la domanda di profili professionali specifici da parte delle aziende (quelle private in particolare) e l’offerta da parte dei lavoratori e dei prestatori d’opera (manuale o intellettuale che sia) è un fenomeno che si registra ormai da tempo, fenomeno che si è amplificato con la crisi post 2008 e che sta ora crescendo sotto la pressione della pandemia.
Richiede interventi radicali nell’impostazione delle politiche attive del lavoro su cui il Governo intende intervenire e che saranno oggetto di un prossimo articolo. Qui desidero presentare il fenomeno dal punto di vista pratico dell’impresa e del lavoratore, indipendentemente dai settori coinvolti e dalle specifiche competenze richieste.
Dal punto di vista dell’impresa raccolgo in particolare l’insoddisfazione delle direzioni aziendali nei confronti della qualità e della preparazione delle risorse umane reperibili sul mercato, soprattutto in relazione ai compiti e alle sfide originate dalla globalizzazione dei mercati.
Ecco a mio avviso le cause principali:
– competenze scolastiche di base troppo generiche e spesso solo teoriche;
– scarsa correlazione fra profilo individuale di abilità e competenze e necessità operative dei processi lavorativi;
– insufficiente specializzazione e scarsa conoscenza delle metodologie di lavoro maggiormente utilizzate nelle aziende;
– limitato sviluppo delle capacità e difficile adattabilità ai comportamenti organizzativi indispensabili per rispondere alla sfida della globalizzazione dei mercati;
– assenza di atteggiamento propositivo e poca attitudine al problem solving;
– scarso senso di responsabilità e limitata iniziativa individuale;
– scarsa capacità di ascolto e di senso critico;
– debole orientamento al cliente (interno/esterno);
– limitata disponibilità al cambiamento.
Dal punto di vista dei lavoratori registro, al contrario e quasi in modo speculare, una profonda frustrazione nei confronti delle Imprese e dei loro intermediari (consulenti, head hunter, specialisti delle risorse umane, agenzie del lavoro, ecc.) per le seguenti ragioni:
– la scarsità di concrete opportunità di lavoro, veramente interessanti per ruolo offerto, per posizione in organigramma, per contenuti della mansione, per prospettive di carriera, per livello retributivo;
– la rarità di ricerche di profili identici o simili a quelli effettivamente posseduti;
– l’elevato numero di partecipanti alle selezioni, evidenziati in modo palese quando vengono utilizzati come canali di ricerca i “professional network” (ad esempio LinkedIn) o i portali specializzati nella ricerca di personale online;
– l’assenza o quasi di feedback formalizzati al termine dell’iter selettivo, quando si ha avuto la fortuna di essere stati convocati ad uno o più colloqui;
– la ripubblicazione dilatata nel tempo sulla rete di inserzioni di ricerca di personale già pubblicate, di cui si teme l’inutilità, per generare addensamento sul sito aumentandone visibilità e traffico;
– la pubblicazione di “annunci civetta” che non corrispondono a reali opportunità di lavoro.
In altre parole: quando cerchi di cambiare lavoro o meglio datore di lavoro, le aziende e gli “intermediari professionali”(head hunter, executive searcher, selezionatori, consulenti, specialisti delle risorse umane, ecc.) non ti filano, non hanno tempo per riceverti e per ascoltare quello che hai da proporre; quando non lo cerchi (o non lo cerchi più perchè hai risolto diversamente i tuoi problemi lavorativi) questi intermediari o le aziende direttamente hanno invece la necessità di individuare (e in fretta) candidati in possesso di un determinato profilo.
Questa secondo me è l’asimmetria del mercato del lavoro.
Che cosa suggerisco di fare?
1. preparare per tempo una strategia per la ricerca di un nuovo impiego, redigendo un bilancio delle proprie competenze individuali e una mappa delle personali aspirazioni/aspettative;
2. monitorare permanentemente il mercato del lavoro attraverso i canali più efficaci;
3. tessere e mantenere nel tempo buone relazioni con gli intermediari professionali, le sentinelle del mercato, individuando quelle maggiormente utili al proprio progetto;
4. disporre (tenendolo costantemente aggiornato) di un proprio cv, sia in italiano sia in inglese, formulato secondo le modalità più gradite ai destinatari;
5. essere presenti con un aggiornato profilo professionale sui professional network (LinkedIn in primis) allineato con il cv;
6. inserire il proprio profilo nel data base delle principali società di head hunting ed executive search (attraverso gli appositi application form messi a disposizione da ognuna);
7. partecipare a un paio di iter selettivi all’anno (uno in primavera e l’altro nell’autunno) per mantenersi in allenamento nel sostenere colloqui professionali, chiedendo il relativo feedback all’intervistatore, puntando al miglioramento permanente delle proprie performance comunicative;
8. attivare un job alert personalizzato con solo alcuni portali selezionati di advertising online;
9. seguire i principali blog degli specialisti più autorevoli del settore, ossia quelli che trattano di tematiche del mercato del lavoro, delle professioni, ecc.;
10. appoggiarsi – quando necessario – a un/una consulente di carriera, di cui si ha fiducia e che soprattutto presenta referenze impeccabili.
(Aldo Cinco – Career Advisor)