Una serie di proposte, a partire da rendere il porto davvero una fucina di dati e da far fruttare la debolezza della fragilità del territorio come occasione per diventare leader del monitoraggio con tecnologia, per non essere marginalizzati nel nuovo ciclo economico legato al digitale.
Confindustria Genova ha redatto un position paper sulla transizione digitale con l’obiettivo di affrontare delle sfide che, se non colte, rischiano davvero di far uscire dal mercato molte imprese. Tracciato anche un quadro sull’importanza del settore per la nostra regione che unisce competenze di centri di ricerca, grandi aziende e pmi e sottolineato che l’attrattività di figure con competenze specifiche, sempre più difficili da reperire, diventa fondamentale. Fabrizio Ferrari di Aitek, vicepresidente dell’associazione con delega alla Transizione tecnologica, spiega: «Non si può pensare di lavorare solo con risorse del territorio. Essere attrattivi è l’unico modo per ridurre gap di competenze». Il dato di fatto, però, è che c’è un’alta difficoltà di reperimento, con percentuali che superano il 60% delle posizioni aperte su una media del 40%.
Il dato è il nuovo petrolio e renderli disponibili alla comunità ligure in una collaborazione tra pubblico e privato in una filosofia costruttiva di data exchange deve essere uno degli obiettivi a cui tendere.
Sono oltre tremila le imprese liguri, in prevalenza pmi che offrono prodotti o servizi high-tech o che implementano soluzioni altamente tecnologiche e digitali nei loro processi produttivi. Oltre 30 mila gli addetti. Dal 2020 al 2023 il mercato del digitale è cresciuto del 2,1% passando da 1.602 milioni del 2020 ai 1.706 del 2023. Confindustria Genova, inoltre, ha svolto una profilazione delle imprese associate che offrono sul mercato sul mercato prodotti e servizi tecnologico-digitali: sono 106, principalmente pmi.
«L’high-tech − ricorda il presidente Umberto Risso − è uno dei settori che può essere trainante per Genova insieme a porto e turismo e se ne parla ancora troppo poco».
«La transizione digitale è un aspetto da cui non si può tornare indietro − dice il vicepresidente di Confindustria Genova Andrea Campora − il mercato crescerà sempre di più ed è un comparto trasversale. Le principali sfide riguardano la sovranità tecnologica, la sostenibilità, l’autonomia digitale di cittadini e lavoratori, la digitalizzazione come fattore non più di competitività, ma di sopravvivenza, con le nuove tecnologie che saranno centrali per nuovi prodotto, servizi e modelli di business».
A livello nazionale (ma anche in Liguria) esiste ancora un gap notevole tra pmi e aziende sopra i 250 dipendenti, con il rischio appunto di perdere quel tessuto di imprese che caratterizza il nostro Paese e soprattutto la Liguria. Grandi le differenze tra chi usa l’Ia e chi no, tra chi analizza i dati e chi no, tra chi acquista servizi di cloud computing e così via.
Le tecnologie abilitanti sono varie. Oggi parlare di digitale non significa il passaggio dalla carta a un sistema dematerializzato, ma di robot collaborativi, interconnessi e programmabili, stampanti 3D connesse a software di sviluppo digitali, realtà aumentata, simulazione tra macchine interconnesse, integrazione di datilungo la catena del valore, la comunicazione multidirezionale tra processi produttivi e prodotti, la gestione di elevate quantità di dati su sistemi aperti (cloud computing), cybersecurity, analisi di dati per ottimizzare prodotti e processi, blockchain, intelligenza artificiale e machine learning.
Gli attori a supporto della digitalizzazione delle Pmi di Genova ci sono: a partire dagli enti di ricerca e trasferimento tecnologico (Unige, Cnr, Iit) e dai Poli di ricerca e innovazione oltre ai Punti di impresa digitale, sino al centro di competenza Start 4.0 e il Digital innovation hub Liguria. realtà di cui Liguria Business Journal parla quotidianamente.
Gli investimenti tecnologico-digitali in corso in città che possono aver un impatto sulla crescita sono l’ampliamento dell’infrastruttura digitale con i cavi sottomarini, i due supercomputer Davinci-1 e Franklin, la digitalizzazione del porto. Occorre però strutturare un’offerta formativa digitale qualificata e ampliare le attività di potenziamento tecnologico in particolari ambiti industriali come nel caso di Raise.
Affinché l’ecosistema genovese sia competitivo nel nuovo ciclo del digitale, secondo Confindustria occorre che la filiera industriale sia ad alta intensità “digital enabler”, aperta e pronta a integrarsi con le piattaforme di domani, cyber resiliente e sostenibile oltre che propensa a investire in formazione digitale.
In tutto questo Confindustria riflette se abbia ancora senso parlare di filiera locale: «Non essere aperti all’esterno significa essere destinati alla marginalizzazione − ribadisce Campora − ma dall’altro lato va considerato che la vicinanza fisica tra aziende, ricerca e clienti resta un fatto decisivo. Per fare un esempio le grandi big della Silicon Valley hanno una storia di “nascita in un garage”. Per questo chiediamo alle imprese grandi di adottare le pmi».
Enrico Botte, presidente della sezione Elit aggiunge: «Abbiamo bisogno di occupazione ad alta specializzazione, che le imprese territorio si aprano e che i bandi siano intraregionali e intranazionali».