L’Occidente esiste. Non è uno spazio geografico, fisico e immutabile ma mentale. E mentale non significa irreale o arbitrario: l’Occidente si distingue dal resto del mondo per gli obiettivi perseguiti da una parte significativa del corpo sociale che lo abita, per modelli di condotta, di norme di azione, di maniere di pensare e di agire. Ha preso il nome da un termine geografico, da una direzione, quella dei navigatori che dal Mediterraneo si spingevano vero Ovest, finendo poi per arrivare a Est – ciascun punto del cielo e della Terra è di volta in volta Oriente e Occidente – ma l’inizio della sua formazione è antecedente alle esplorazioni e alle cartografie quattro-cinquecentesche. Risale alla Grecia con la sua idea di libertà e quella di universo armonico e ordinato (“cosmo”) e quindi indagabile, passa per Roma e il diritto romano, sganciato da aspetti misterici, pubblico, scritto e certo, e ha ricevuto un impulso determinante dal cristianesimo venuto dall’Oriente, e dalla sua matrice giudaica. Il cristianesimo ha conferito all’Occidente la sua visione della persona umana come soggetto di libertà la cui dignità è radicata nel rapporto con Dio, e la conseguente progressiva affermazione dell’idea che tutti partecipano di diritti meritevoli di essere riconosciuti e difesi. Filosofia greca e cristiana, Platone, Aristotele e Tommaso d’Acquino hanno creato lo spazio concettuale per l’indagine scientifica, che presuppone una natura non preda di forze irrazionali, ma disponibile all’indagine sperimentale, un cosmo presieduto dal logos, leggi di natura universali, stabili e comunicabili.
L’Occidente, o civiltà occidentale si è chiamato Grecia, Roma, Cristianità, Europa. E dall’Europa è arrivato a comprendere l’America, o meglio gli Usa, dove oggi ha il suo baricentro culturale, politico, economico e militare. Un concetto sviluppato negli Usa nel secolo scorso e affermato con forza durante la guerra fredda. Funzionale a evidenti fini politici, ma agganciato alla realtà.
Queste sono le riflessioni che ci ispira “L’invenzione dell’Occidente” di Alessandro Vanoli (Laterza)
Un libro avvincente, che ricostruisce la storia di come una direzione geografica sia diventata uno spazio pensabile e conquistabile. “La storia – si legge nella presentazione – di come, tra medioevo ed età moderna, le società europee (all’inizio spagnoli e portoghesi in testa) spinsero le proprie ambizioni sempre più verso l’oceano e così facendo trasformarono l’idea che esse avevano dell’Ovest: quella che era una direzione divenne poco alla volta uno spazio pensabile. È perciò una storia di grandi navigatori e di dibattiti violenti tra geografi, una storia di sfide e di esplorazioni che solcarono l’ignoto. Ma è anche la storia dei dibattiti culturali che ne seguirono e che inventarono e definirono quell’Occidente che prima mancava dalle mappe. E il punto di arrivo di questa storia siamo noi. In un momento in cui tutto questo appare ormai largamente messo in discussione, forse vale la pena riprendere il discorso da capo e chiedersi come si sia giunti alla nostra idea di Occidente. Come una direzione geografica ha fatto nascere e maturare un’idea di appartenenza. Quel che non possiamo fare è darlo per scontato. Pensare che noi si sia davvero da sempre così, che la nostra storia, la nostra cultura e la nostra civilizzazione corrispondano da sempre a quello spazio indistinto con i piedi in Europa e la testa nell’Atlantico: quell’Occidente che in questo secolo faticoso appare sempre più difficile da stringere nelle nostre idee e nelle nostre mappe”.
No, non è sempre stato così in senso geografico ma il filo rosso che corre lungo le diverse fasi di sviluppo di quello che chiamiamo Occidente è ben chiaro. Piuttosto è venuta meno è la pretesa che l’Occidente sia “la” civiltà. E qui ci sembra ancora valido il modello interpretativo proposto da Samuel Huntington – professore alla Harvard University, già direttore del John T. Olin Institute for Strategic Studies e presidente della Harvard Academy for International and Area Studies – nel suo saggio, pubblicato la prima volta nel 1996, “The Clash of Civilization and the Remaking of World Order, Simon & Schuster, New York 1996, trad. it. “Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale” (vedi qui )
Huntington aveva previsto che il crollo dell’Unione Sovietica e della fine della guerra fredda avrebbero liberato le diverse civiltà dal bipolarismo politico e ideologico Usa-Urss, lasciandole libere di svilupparsi e distinguersi dalle altre autonomamente. Ritiene che, sotto la spinta della modernizzazione, la politica planetaria si stia ristrutturando secondo linee culturali differenti in differenti aree del mondo e individua nove civiltà: Occidentale, Latinoamericana, Africana, Islamica, Sinica, Indù, Ortodossa, Buddista e Giapponese. Ritiene sbagliata l’idea di una civiltà che si afferma sulle altre come universale, con l’affermazione del modello liberaldemocratico occidentale. Anzi, secondo lo studioso americano l’Occidente, è in declino, vede ridursi la propria potenza economica e militare e quindi anche il proprio prestigio culturale.
Lo abbiamo pensato in molti ma forse non è così. A mettere in dubbio questa prospettiva che da anni ci viene data per certa sono i dati esposti nel libro di Francesco Costa “Frontiera” .
“La crescita economica statunitense – si legge a pag. 41 del libro di Costa – non ha perso lo slancio del rimbalzo successivo alla pandemia, com’è accaduto invece in Europa, e gli analisti di Bloomberg che da anni studiano dati su dati nel tentativo di prevedere il momento in cui il pil della Cina supererà quello degli Stati Uniti, a lungo una questione di quando e non di se, alla fine hanno annunciato … che il sorpasso non ci sarà. Nel frattempo, infatti, l’economia cinese si è ingolfata: la crescita del pil manca puntualmente le attese degli analisti, la gestione della pandemia è stata fallimentare, il mercato immobiliare si è rivelato una bolla, gli investimenti pubblici si sono fermati e la disoccupazione giovanile è cresciuta al punto che il governo ha smesso di diffonderne i dati mese per mese”.
In declino o no, l’Occidente esiste come “civilitation” alla pari delle altre. Il modello di Huntington resta valido ancora oggi, purché interpretato in modo dinamico: non viviamo in un museo etnologico: per esempio Giappone, Taiwan e Corea del Sud oggi condividono i valori dell’Occidente (di cui fa parte a pieno titolo anche Israele) di libertà individuale, economica e politica. E così pure l’India. Ma anche in Cina e in diversi paesi islamici esistono forti componenti della società che aspirano a vedere realizzati questi valori. Perché certi principi sono stati sviluppati dalla civiltà occidentale ma appartengono a tutta l’umanità.
Al termine del suo lavoro Vanoli ci invita a guardare la terra da lontano, nello spazio: “…guardate la cosa che più conta, in quella sfera persa nel buio di un infinito silenzioso: qualsiasi direzione da qui scegliate per proseguire il viaggio, non c’è più Oriente e Occidente”. Vista la terra da lassù, è vero, quaggiù anche pochi km possono cambiarci la vita.