“Una vita felice” (Edizioni Ares) è un libro costituito dalla trascrizione da audiocassette di dieci conferenze tenute dal 1977 al 1981 da Emanuele Samek Lodovici, studioso, morto prematuramente nel 1981, molto stimato da grandi intellettuali come Augusto Del Noce, Vittorio Mathieu, Cornelio Fabro, Eugenio Corti, Marta Sordi.
Otto di queste conversazioni sono state pronunciate nella parrocchia di Lodovici (intitolata a Gesù Buon Pastore e S. Matteo Apostolo, in via Caboto, a Milano). Sono quindi di carattere divulgativo, rivolte non a specialisti ma a un pubblico di persone comuni. Il loro linguaggio è semplice e chiaro, e tuttavia non toglie acutezza e profondità al ragionamento. Alcuni dei temi svolti, come per esempio imparare a pregare, possono sembrare di esclusivo interesse per i credenti, in realtà lo spessore sapienziale dell’autore rende le dieci conversazioni di grande interesse per tutti, cristiani e non cristiani.
Lodovici affronta alcune questioni come il marxismo, il femminismo, la concezione libertaria-radicale della vita con una tale profondità da anticipare gli sviluppi che queste teorie avrebbero avuto decenni dopo. Nella sua confutazione di quella corrente del femminismo che negli anni Settanta negava la differenza tra uomo e donna come dato biologico oggi vediamo una smentita radicale della teoria gender che lascia a ciascuno la creazione del proprio gender prescindendo dal sesso biologico. Sono come voglio io, la mia volontà, il mio desiderio, non ammette limiti. È mio diritto.
Secondo Lodovici questo diritto assoluto del soggetto “nasce nel momento in cui la stessa nozione del diritto viene rovesciata (…) nel Settecento, durante questo rovesciamento della cultura occidentale che si chiama Illuminismo. Nella società che precede questo momento storico – e dunque per secoli – quando si parlava di diritto (di diritto al lavoro, diritto alla proprietà, ecc.) si intendeva una nozione attiva del diritto. Quando, per esempio, prima dell’Illuminismo si parlava di diritto alla proprietà, si intendeva dire che il soggetto ha un diritto a darsi da fare rispetto al potere, una difesa anche economica che è quella della proprietà, e lo Stato ha il dovere di non impedire al soggetto l’esercizio di questo diritto. Quando si parlava di diritto al lavoro si intendeva dire che io ho diritto a trovarmi un lavoro e lo Stato non mi deve intralciare nell’esercizio di questo diritto. Perciò il diritto aveva una connotazione attiva: era un diritto a fare. Ma poi questa connotazione si rovescia (…) I diritti sopra menzionati diventano diritto a che gli altri mi diano un lavoro, a che gli altri mi diano una proprietà, ecc. Correlato a questo rovesciamento c’è lo Stato assistenziale moderno: il soggetto non è più colui che ha diritto a fare, bensì colui che ha diritto di ricevere dallo Stato e dagli altri”. Il soggetto viene deresponsabilizzato, è come un sultano, a cui tutto è dovuto, o un bambino.
Da questo rovesciamento della nozione di diritto si arriva al “diritto alla felicità”, alla esaltazione del corpo, alla libertà sessuale senza vincoli, ecc.
Lodovici proponeva un paradigma alternativo, che già allora appariva minoritario, a cui ispirarsi nella vita quotidiana e quindi anche nell’educazione dei figli. E argomentava: “Di fronte all’obiezione per cui, agendo con tali principi, i figli diverrebbero dei disadattati, ritengo che non omologare i figli in questa società sia un dovere. Occorre abituarli a dire no al predominio dei cretini”.