Come comporre antico e nuovo nell’attività dell’azienda? Restare fedeli a ciò che è stato fatto e sviluppato nel passato con successo, utilizzando modi e metodi già sperimentati in precedenza, oppure aprirsi al futuro, attraverso l’invenzione e l’adozione di nuovi modelli comportamentali, professionali e di business e puntando su nuovi prodotti? È il tema della XII edizione di Expandere Liguria, a cura della Compagnia delle Opere ligure, che si è svolta ieri pomeriggio al Palazzo del Principe di Genova. Ogni tempo è tempo di transizione ma nel nostro i cambiamenti sono velocissimi, la tecnologia produce soluzioni nuove a un ritmo rapidissimo, nuovi paradigmi culturali si impongono, eventi-shock come crisi finanziaria, pandemia, guerra si susseguono: «Velocità e quantità di questi fenomeni – ha detto il presidente della CdO Liguria Benedetto Lonato – ci obbligano continuamente a comprendere e scegliere cosa tenere dell’antico e cosa introdurre del nuovo. È un esercizio incessante, per l’imprenditore e un po’ per tutti noi».
Per sviluppare l’argomento CdO ha messo a confronto aziende e personaggi, in gran parte casi “estremi” di fedeltà o recupero della tradizione e di innovazione. Ne è emerso, ha concluso Lonato al termine dei lavori, che tradizione e progresso non devono essere necessariamente visti come due concetti opposti. Quando si innova si rinnova, si parte dalla tradizione per trovare nuove soluzioni. Bisogna conoscere e utilizzare quanto ci viene dal passato ma guardando al futuro, anche oltre i nostri personali interessi. Il presidente della CdO Liguria ha portato come esempio il lavoro fatto dagli artigiani che nel corso dei secoli hanno costruito quella sorta di mosaici, in bianco e nero o colorati, per lastricare piazze, sagrati, strade di Genova e della Liguria. Sono fatti di ciottoli raccolti sulle spiagge, nelle cave, lungo i torrenti, da migliaia di persone. Che hanno lavorato con tenacia guardando ai modelli del passato ma proiettati nel futuro. Perché i risseu erano fatti per durare ben oltre la vita dei loro costruttori, che spesso non avranno potuto vederli compiuti. Queste persone hanno lavorato per il bene comune e per chi sarebbe venuto dopo di loro e così facendo hanno superato la propria personale caducità.
«L’esito di quello che fai – ha dichiarato Michele Satta, che nel 1983 ha fondato le Cantine Satta, una delle più importanti e rappresentative dell’area di Bolgheri – rimane in eterno, e l’impresa è un atto creativo che viene dalla parte più bella dell’essere umano». «Lo scopo dell’impresa – ha precisato Paolo Delprato, presidente e ceo di Racing Force Group – non è fare soldi ma creare valore, e ognuno ha un proprio concetto del valore». In fatto di vini e di territorio la tradizione conta e l’innovazione è necessaria ma Satta non ha trovato nessuna difficoltà a mettere insieme tradizione e innovazione: «Contrapporli è una strozzatura intellettuale» ha spiegato.
«In Racing Force – ha detto Delprato – la tradizione di Omp pesava come un macigno e l’azienda si stava impolverando». Delprato nel 2008 ha comprato Omp dai fondatori e nel 2021 l’ha ribattezzata Racing Force Group. Nello stesso anno la società è stata quotata in Borsa. «Omp – ha proseguito Delprato – era diventata presto famosa in Italia, tanto che collaborava con la Ferrari e i suoi prodotti venivano indossati da campioni famosi. Ma sembrava che contasse solo il passato. Siamo riusciti a convincere il mercato che oltre alla storia noi guardavamo al futuro. E abbiamo reso il gruppo il più duttile possibile perché potesse innovare con continuità». Oggi Racing Force è leader nel mercato dei dispositivi di sicurezza per il motorsport, i suoi prodotti sono usati in tutto il mondo da piloti di ogni livello, dai professionisti top agli amatori, dai team e dai costruttori di qualsiasi campionato, dalla Formula 1® al Campionato Mondiale di Rally WRC®; dalle serie Gran Turismo e Stockcar al Karting».
Al passato ha dovuto rifarsi Stefano Bergamino che insieme al socio Marco Demarchi guida la la Distilleria Sangallo, il cui prodotto di punta è l’Amaro Camatti. A inventare quest’amaro era stato il farmacista ed erborista Umberto Briganti con la moglie Teresa Camatti. Lui era toscano, lei emiliana, si erano trasferisti nel 1923 a Recco e vi avevano aperto una distilleria per produrre un amaro – il Camatti – con una loro ricetta. Nel 1989 Enzo, padre di Stefano Bergamino e titolare della Sangalllo, che produceva grappe, liquori agli infusi di frutta, limoncino, ha acquistato il marchio Camatti. La Sangallo ha cominciato a produrre l’amaro a San Salvatore di Cogorno e, da marzo 2018, nel nuovo stabilimento di San Colombano di Certenoli in Fontanabuona. Segue la ricetta (segreta) di Briganti, senza alcun tipo di variazione. Ma non solo. «Una svolta decisiva – ha raccontato Bergamino – è stato il restyling dell’etichetta. Nel tempo era cambiata, noi abbiamo recuperato quella originaria, abbiamo rifatto la bottiglia come l’avevano ideata Briganti e la moglie. È stato un ritorno al passato». La fedeltà al passato, e l’attenzione alle strategie di marketing, hanno lanciato a livello mondiale l’Amaro Camatti, che ha ottenuto numerosi riconoscimenti tra cui quello di miglior amaro del mondo conferito dal World Liqueur Awards, tra le competizioni più importanti del settore degli spirits a livello mondiale.
L’acquisto del Genoa, nato nel 1893, di 777 Partners, società statunitense con sede a Miami, specializzata in servizi finanziari e attiva anche nel settore dello sport, ha comportato l’immissione di nuove tecnologie in un contesto antico. «Si è cercato un equilibrio tra il vecchio e il nuovo – ha spiegato Flavio Ricciardella, direttore generale del Genoa – con grande attenzione alla storia del club, della città, del territorio. Stiamo usando algoritmi, tecnologie avanzate e, per riconquistare un pubblico giovanile, mezzi di comunicazione social. Lavoriamo a invertire la rotta che stava portando a un allontanamento dei genoani dal Genoa».
Tutta proiettata nel futuro, ma con attenzione alle esperienze di chi ha iniziato prima nel settore, è Hodlie, piattaforma finanziaria che permette di fare trading automatico sulle criptovalute attraverso algoritmi di intelligenza artificiale e si rivolge ai non esperti intenzionati ad avvicinarsi a questa tipologia di finanziamenti. La proposta ha vinto la categoria Ict dell’ultima SmartCup. Ne ha parlato a Expandere il co-founder Gianluca Sommariva. Fare trading automatico significa fare compravendita in maniera automatizzata, ventiquattro ore al giorno e sette giorni su sette, sul mercato finanziario in particolare su quello delle criptovalute. Hodlie, racconta Sommariva, «È nata 2020 insieme ai miei due compagni di università, adesso diventati colleghi, volevamo adoperare il deep learning, una particolare tipologia di allenamento degli algoritmi di intelligenza artificiale attraverso le reti neurali al mercato finanziario delle criptovalute. Dopo un anno e mezzo di ricerca e dopo diversi tentativi ed errori siamo riusciti a sviluppare una tecnologia che funzionava. Non è stato facile. Abbiamo allenato delle reti neurali con determinati dati: quelli storici finanziari, le news finanziarie riprese anche dai social network in particolare da Twitter, notizie dalla Fed. La nostra tecnologia così allenata viene offerta agli utenti ed è pensata soprattutto per coloro che non hanno una cultura finanziaria ma sono comunque interessati a fare operazioni con le criptovalute. L’utente deve quindi decidere quanto capitale allocare ossia dare in gestione ai nostri trading bot e poi può limitarsi ad osservare come questi operano sul mercato senza necessità di prendere nessuna decisione, perché tutto il processo è automatizzato dal modello dell’intelligenza artificiale».