Uno studio pubblicato su Quaternary Science Reviews su 5 macinelli datati intorno a 43-39.000 anni fa sposta la macinazione a scopo alimentare al periodo di transizione fra Neanderthal e Homo sapiens. L’uomo, quindi, molto tempo prima dell’invenzione dell’agricoltura, sapeva già trasformare i cereali e altre piante selvatiche in una farina adatta all’alimentazione.
I macinelli provengono da due siti paleolitici in Italia: riparo Bombrini, nell’area archeologica dei Balzi Rossi, a Ventimiglia, e grotta di Castelcivita, ai piedi del Massiccio degli Alburni (Castelcivita, in provincia di Salerno).
Il sito ligure oggetto degli scavi è diretto da Fabio Negrino dell’Università di Genova, in collaborazione con l’Università di Montreal.
Si tratta, in entrambi i casi, di giacimenti di importanza internazionale che, attraverso anni di impegnative ricerche, hanno permesso di indagare, in modo dettagliato, una fase decisiva della nostra storia biologica e culturale, nella quale, dopo un periodo di convivenza, si è deciso l’ultimo destino delle popolazioni Neandertaliane e il successo evolutivo della nostra specie (Homo sapiens).
Il periodo in cui ricade la datazione è caratterizzato dalla diffusione dei tecno-complessi del Musteriano tardo (Neandertal), dell’Uluzziano e del Protoaurignaziano (H. sapiens).
Sulla superficie dei macinelli sono stati trovati granuli di amido con morfologia diversificata a testimoniare l’uso di piante differenti, tra le quali cereali selvatici.
La presenza di pratiche simili di macinazione in contesti di transizione sottolinea come alcune conoscenze tecnologiche e certe abitudini alimentari fossero diffuse in entrambe le popolazioni, forse in seguito a contatti o forse come retaggio già presente all’interno delle due differenti tradizioni culturali.
Il macinello proveniente dai livelli musteriani del riparo Bombrini costituisce una delle più antiche testimonianze di processamento e trasformazione di prodotti vegetali in Europa.
I due macinelli rinvenuti alla base e al tetto della sequenza protoaurignaziana della Grotta di Castelcivita, oltre ad avere analoga morfologia, presentano modifiche intenzionali atte a renderli più funzionali. Questa somiglianza indica il permanere del medesimo retroterra tecnologico durante le diverse fasi culturali del locale Protoaurignaziano.