La Regione emanerà entro mercoledì 19 gennaio un’ordinanza per chiarire alcuni passaggi del documento ministeriale che, dal 14 gennaio, ha imposto una serie di restrizioni in 114 Comuni piemontesi e liguri per arginare il diffondersi della peste suina africana. Sarà una sorta di «vademecum», come l’ha definita il governatore ligure Giovanni Toti, oggi al termine dell’incontro tra l’assessorato all’Agricoltura, Alisa, l’Istituto zooprofilattico, Anci Liguria e Comune di Genova.
In Liguria sono 36 i Comuni interessati dalle restrizioni imposte dal governo. Per ora le carcasse di cinghiale risultate infette tra Piemonte e Liguria sono otto (su circa 50 test eseguiti). Di queste, tre sono state trovate nella nostra regione (una a Isola del Cantone e due a Ronco Scrivia). Altri due casi sono in fase di verifica.
Toti conferma che «la preoccupazione è moltissima, perché non esiste vaccino e le regole europee di tutela del mercato, in caso di diffusione di questo virus, ci costringerebbero ad azioni molto impattati per un mercato, quello di carni suine, che in Italia vale più di sei miliardi di euro all’anno. La prima ordinanza – spiega – è stata improntata alla massima prudenza: entro un paio di settimane, alla luce di quello che accadrà nella ricognizione delle carcasse, si ridisegnerà l’ordinanza sia in termini perimetrali, sia in termini di deroghe».
«Ci siamo dati 36 ore di tempo – aggiunge Toti – per emanare un’ordinanza regionale che fornisca ai cittadini un vademecum di ciò che si può o che non si può fare e dei luoghi che si possono frequentare. Un’ordinanza esplicativa che garantisca a cittadini e sindaci di conoscere i comportamenti adeguati e coerenti, quindi quali spazi sono interdetti e quali sono frequentabili». L’idea, per esempio, è che i parchi recintati possano essere normalmente frequentati, a differenza di quelli aperti.
Da qua a un mese si potrà inoltre avere un quadro più completo e aggiornato della situazione: «Entro tre settimane – spiega Toti – prevediamo un piano di monitoraggio della pandemia, con modifica conseguente dell’ordinanza ministeriale, compreso il piano di abbattimento selettivo dei capi». Secondo le stime, dovrebbero essere abbattuti tra i 16 mila e i 20 mila cinghiali. Come ha precisato Alessandro Piana, assessore regionale all’Agricoltura, «il piano di abbattimento avverrà in un secondo step: prima di tutto si dovrà procedere con la riduzione della zona rossa, perché a oggi attuare l’abbattimento selettivo su un’area di oltre 100 Comuni sarebbe abbastanza proibitivo, mentre su una decina di Comuni al massimo sarebbe una strada decisamente più percorribile». Servirà almeno un mese per restringere la zona rossa: «Abbiamo la fortuna di avvalerci del gran numero di controllori professionisti attivi in Liguria e nell’alessandrino», sottolinea Piana.
Nel frattempo la Regione lavora anche sulla partita ristori: «Come abbiamo già chiesto ai ministri Roberto Speranza e Stefano Patuanelli, occorrerà pensare a una serie di risarcimenti per chi è colpito dai divieti, così come alle deroghe per alcuni settori, come l’apicoltura e la silvicoltura», dice Toti.
La vera preoccupazione, a oggi, è che il virus non faccia il salto dall’animale selvatico a quello di allevamento, «perché questo cambierebbe completamente le linee direttive a livello europeo e ci metterebbe in forte difficoltà. Se dovesse rimanere nell’ambito dei selvatici, la situazione sarebbe critica, ma gestibile», spiega il direttore dell’Istituto zooprofilattico di Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Angelo Ferrari.
Del resto finora si conosce poco di questo virus, a partire dalla sua origine: «escludiamo la Sardegna, potrebbe invece avere un’origine balcanica», sostiene Ferrari. Ma per ora è difficile dirlo, visto che il genotipo riscontrato nelle carcasse trovate nei nostri boschi, il 2, ha un’estensione territoriale che va dalla Cina al Belgio. In ogni caso, nella prossima settimana, si potrà scoprire qualcosa di più: «Per ora sappiamo che si tratta di un virus stabile e che presenta due genotipi, l’1 e il 2 – dice il responsabile del servizio veterinario di Alisa, l’azienda ligure sanitaria, Roberto Moschi – Solo quando verrà completato il sequenziamento del genotipo, potremo conoscere con più precisione l’origine del virus».
«Più il virus sarà patogeno – afferma ancora Ferrari – più breve sarà la determinazione e la chiusura del focolaio». La Liguria non si è comunque trovata impreparata alla peste suina, come sottolinea Ferrari: «I monitoraggi vanno avanti da due anni: dal 2019 sappiamo che questo virus circola, ma fino al 5 gennaio non avevamo riscontrato alcun caso nel nostro territorio. Non ci aspettavamo un focolaio così presto».
Da qui in avanti il setacciamento della zona infetta avverrà “in punta di piedi”, precisa Moschi: «Con la collaborazione dei cacciatori e delle associazioni di trekking, stiamo organizzando delle squadre per entrare, dai margini, all’interno della zona infetta, senza armi, senza cani, alla ricerca di animali morti. Se è vero che questo virus ha un’altissima morbilità, ci si aspetta una grande moria di cinghiali. Nel momento in cui gli operatori trovano un animale morto, viene chiamato il primo veterinario reperibile che, sul posto, effettua il prelievo della milza, naturalmente in condizioni di biosicurezza: gli operatori non devono assolutamente avvicinarsi agli animali morti, ma l’importante è che eseguano la georeferenziazione della carcassa. Una volta prelevati, gli organi vengono subito reperiti alla sede locale dell’Istituto zooprofilattico, a Genova o Savona. Se il virus dovesse essere riscontrato sul campione, questo viene inviato per ulteriore conferma al laboratorio centrale dell’Istituto zooprofilattico a Perugia, che è il nostro centro di riferimento nazionale per la peste suina. Questo procedimento si risolve nel giro di tre giorni».