“Prima che il dopo sia tardi”, un libro sui valori della vita, sul confronto tra generazioni e sul prezioso bene che è il tempo.
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“Prima che il dopo sia tardi” è il titolo dell’ultimo romanzo scritto da Giorgio Bruzzone, recentemente pubblicato dalla casa editrice “Il Rio”. Il libro narra di “un uomo che, attraversata la soglia psicologica dei cinquant’anni, si trova a rileggere con nostalgia il suo passato. Un passato che, inevitabilmente, si mette a confronto con un presente fatto degli stessi valori, che però stanno assumendo sfumature diverse. Il racconto dell’autore si trasforma in un curioso viaggio immaginario, accompagnato dalla musica e da incontri inaspettati. Il susseguirsi dei ricordi personali lo porterà a ripercorrere e riflettere sulle varie fasi della vita umana, dall’infanzia fino all’età adulta, e sui problemi e sulle gioie che questa ci riserva, come la paternità. Una riflessione a voce alta sull’incedere inesorabile del tempo che, in nome del cambiamento e della modernità, sta stravolgendo l’intera società. Al contempo un invito, quindi, a non sprecare questo bene prezioso, il tempo.
L’autore segue da sempre, i temi legati alla convivenza sociale e al significato della vita. Una costante ricerca di risposte alle molte domande sul nostro essere attraverso la lettura di molti libri. E quando le risposte non arrivano, perché forse irraggiungibili, per l’autore c’è sempre il rifugio sicuro nella fede.
Bruzzone ha già scritto un romanzo, “Questa volta lascia che io sia felice”, attraverso il quale si pone domande e dà un suggerimento di fondo ai lettori: “non servono grandi cose per essere felici. Sono sufficienti un grande amore, una bella famiglia, due buoni amici, un po’ di fede e poche cose semplici”.
In entrambi i romanzi c’è uno sguardo privilegiato sulla vita e sull’uomo. La ricerca di un senso al nostro essere, su questa terra, in questo momento. Temi che ritengo sia importanti in una società consumistica, come quella attuale, dove si tende a guardare esclusivamente al presente come se il passato non fosse mai esistito senza interrogarsi sul significato più profondo della nostra esistenza e del nostro essere comunità.
L’autore lavora in banca da più di 30 anni dove per molto tempo ha svolto il ruolo di direttore di filiale. Da alcuni anni si occupa di sindacato in un mondo del lavoro che sta subendo una rapida e pericolosa trasformazione, e allora vede l’impegno sindacale come una forma di volontariato. Un modo per mettere al servizio degli altri sia la sua lunga esperienza lavorativa, sia gli studi e le idee sulla società. Fermamente convinto che anche nel mondo produttivo sia fondamentale preservare la centralità dell’uomo e della vita umana. L’uomo è certamente parte del processo produttivo ma non può essere considerato come un semplice macchinario. Il lavoratore è prima di tutto un uomo.
Da dove nasce la passione per la scrittura?
«La vera passione è leggere, informarsi, non fermarsi alle apparenze. Quella della scrittura è un’esigenza di fare sintesi rispetto alle tante cose lette e vissute, qualcosa che a un certo punto della mia vita ho sentito come importante. Alla fine scrivo perché credo di aver qualcosa da dire, qualcosa che per me è importante. Siamo nell’epoca della società liquida, come l’ha definita Baumann, e allora ritengo sia importante mettere qualche puntino sulle i. Non può finire tutto nel tritacarne. Ci sono valori e conquiste sociali che vanno preservate dal relativismo , dal nichilismo e dal mercatismo».
Quando e come è nata l’idea del nuovo libro?
«Subito dopo l’uscita del mio primo libro, “Questa volta lascia che io sia felice”. Un libro uscito nel periodo più sfigato del secolo (marzo 2020) condizionato quindi da grosse difficoltà sia nella promozione sia nella distribuzione. Nonostante le avversità, i tanti apprezzamenti ricevuti, anche da persone sconosciute, mi hanno fatto capire che forse ero sulla strada giusta. Mi sono così convinto che ci sia voglia di leggere cose vere, di esperienze vissute, in modo che il lettore ci si possa identificare. Ma che ci sia anche voglia di porsi delle domande sul significato del nostro essere».
Che libro è?
«Non bisognerebbe chiederlo a me, perché questo è il mio libro. E io scrivo libri molto personali. La definizione migliore forse l’ha data Massimo Bruscia, un caro amico che vive di libri (attualmente direttore generale di una società del gruppo Zanichelli) che mi ha onorato di scrivere la prefazione. Massimo scrive: “Ma cosa sto leggendo di preciso? Un romanzo? Certamente; ma anche un saggio in certe sue digressioni sociopolitiche, in alcuni punti un divertente taccuino, un puntuale diario di viaggio, una bellissima auto- biografia che procede per immagini. E, a cucire tutto insieme, come sottofondo vi sono le canzoni, un filo rosso che va e viene fra passato e presente, facendo in modo che l’uno si rispecchia nell’altro. Un romanzo di formazione? Sicuramente. Un caleidoscopio di emozioni, un continuo alternarsi tra amore e amicizia, un viaggio tra i ricordi di chi non c’è più e nuove vite arrivate all’improvviso”».
Qual è il filo conduttore di questo nuova opera?
«Lo scorrere del tempo che ci porta a riflettere sulla nostra vita. Da una lato per spingerci a viverla con più forza e cambiarla se necessario. Dall’altro credo si possa intravvedere nel libro la forte preoccupazione per un un distorto concetto di progresso. Un processo iniziato molti anni fa che ha tolto l’uomo dal centro e lo ha sostituito con valori sbagliati ed effimeri. Ho la sensazione che nulla accada per caso ma che molti accadimenti e novità siano dovute ad un folle progetto di ingegneria sociale. E allora credo fermamente ci sia la necessità di preservare nella memoria dei nostri figli il nostro passato. Ricordare come siamo arrivati qui.
Oggi tutto sembra scontato, ci si dimentica che molto delle cose che abbiamo oggi sono dovute ai grandi sacrifici dei nostri genitori ed ancora prima dei nostri nonni. L’uomo sembra avere la memoria troppo corta ed aver dimenticato le tragedie dell’ultimo secolo provocate dalle ideologie totalizzanti Nazismo e Comunismo. Le più grandi sciagure dell’umanità sono state originate proprio da chi ha voluto semplificare la nostra vita pianificando il mondo. Poi nel libro a fare da cornice al racconto e alle riflessioni c’è la musica che ho sempre considerato la colonna sonora della mia vita».
Come nasce il titolo “Prima che il dopo sia tardi”?
«È un titolo che rispecchia molto del libro. Questa frase vuol essere una sorta di esortazione, rivolta soprattutto ai giovani. Attraverso questo apparente gioco di parole tra il prima e il dopo, c’è la volontà di ricordare che la nostra vita è fatta di passato e di futuro. Concetti apparentemente banali ma importanti da sottolineare perché la società odierna ci spinge a vivere solo di presente. Ritengo al contrario che sia importante conoscere e tramandare il ricordo del nostro “prima” proprio per affrontare le sfide del domani. Il titolo inoltre prende spunto anche da una delle poesie inserite nel romanzo».
A proposito di poesie, come nasce questa vena poetica ?
«Sono poesie nate di getto scavando nei ricordi della memoria. Credo che a ognuno di noi appartengano ricordi indelebili che hanno segnato le varie fasi della nostra vita, si tratta solo di andarli a cercare. Per me non è stato difficile recuperarli. All’interno del libro le poesie hanno un significato importante perché dovrebbero aiutare ad immergersi meglio nel racconto».
Il libro è ricco di citazioni filosofiche e sociologiche. Quali sono gli autori che ti hanno maggiormente influenzato?
«Mi considero una persona intellettualmente molto curiosa quindi senza tralasciare i grandi insegnamenti che ci arrivano dal passato Aristotele, Spinoza e Kierkegaard su tutti ( non a caso il libro inizia con una sua citazione) sono particolarmente attratto da alcuni filosofi e pensatori contemporanei. Certamente Baumann ma anche Gustave Thibon ( il filosofo contadino). Mi rispecchio poi molto nel pensiero lucidissimo di Marcello Veneziani e considero un punto fermo del mio percorso di fede gli scritti di Ratzinger e Wojtyla. C’è inoltre un filosofo che seguo con attenzione e molta curiosità il coreano Byung-Chul Han. Il suo pensiero è attualissimo parla di società dei like e di psicopolitica cioè, ad esempio, la manipolazione della società attraverso i media».
Nel libro si parla anche di politica?
«La politica mi ha sempre affascinato, non a caso ho scelto di laurearmi in Scienze Politiche. A 18 anni poi fui eletto nel Consiglio di circoscrizione di Sestri Ponente, un’esperienza molto formativa che oggi ricordo con un pizzico di imbarazzo e nostalgia. Credo molto nei giovani ma a quell’età, senza alcuna esperienza, non è oggettivamente semplice essere incisivi in politica. Primum vivere deinde philosopari dicevano i latini. Nonostante tutto quello che accade, continuo a essere affascinato dalla politica. Il qualunquismo porta spesso a dire che la politica è qualcosa di brutto, di schifoso, insomma qualcosa da evitare. Questo serve solo ad allontanare i migliori lasciando in mano il governo della res pubblica ai mediocri. Una frase che poi trovo inaccettabile è “tanto sono tutti uguali”. In realtà la politica è qualcosa di fondamentale per le nostre vite ed è fatta di scelte. Se si sceglie di andare in una direzione è evidente che non si possa andare in quella opposta».