Il fenomeno del gigantismo navale, contrariamente alla percezione comune, non è un fenomeno prettamente moderno, ma fa parte di un ciclo economico/industriale che si è ripetuto con relativa costanza dalla rivoluzione industriale a oggi.
La fase che stiamo osservando attualmente ha avuto origine circa 15 anni fa col varo della nave Emma Maersk, che all’epoca aveva una capacità record di carico di circa 11 mila teus. Oggi, la più grande nave in circolazione, la HMM Algeciras, ha una capacità che sfiora le 24 mila teus: una crescita di capacità del 120% concentrata in un singolo quindicennio.
Diversi sono i fattori che hanno condizionato il trend. L’enorme aumento dei volumi di trasporto globale dal 2000 a oggi (conseguenti all’affermarsi al livello mondiale della superpotenza cinese), la grande evoluzione tecnologica avvenuta nel frattempo (sistemi di navigazione sempre più avanzati), il crescere di dimensioni delle principali compagnie armatoriali (divenute sempre più grandi e con elevati mezzi a disposizione), hanno facilitato l’accelerazione di questo fenomeno, che solo oggi ci accorgiamo essere giunto all’apice.
Costruite in un’ottica di sfruttamento delle economie di scala (il principio per cui al crescere della capacità diminuisce il costo unitario del trasporto), i costi di queste mega-navi, espressi in termini di rischi potenziali, rischiano di superarne i benefici. Col blocco del canale di Suez, ogni singolo giorno, vengono persi 10 miliardi di dollari dall’economia mondiale. Cinque anni fa, nel 2016, un caso simile avvenne all’ingresso del porto di Amburgo, dove la nave CSCL Indian Ocean si arenò alle foci del fiume Elba, minacciando il blocco del grande porto anseatico per svariati giorni. Fortunatamente, la nave non si era arenata in modo tale da impedire l’accesso e l’uscita dal bacino portuale, ma furono necessari ben 19 rimorchiatori (di cui cinque oceanici) per riuscire a disincagliare il natante e poterlo togliere dalla sua scomoda posizione. Per fare un confronto, quando la Costa Concordia giunse a Genova dall’Isola del Giglio dopo essere stata riportata a galla, venne trainata da soli due rimorchiatori di categoria oceanica.
Spinto da ragioni puramente economiche, questo ciclo del gigantismo navale sta finendo per ragioni squisitamente concernenti il raggiungimento di evidenti limiti fisici. Non è la prima volta che accade, come abbiamo già affermato.
Alcuni ricorderanno i primi anni Settanta quando, conseguentemente alle guerre arabo-israeliane, il canale di Suez rimase interdetto al traffico per svariati anni. All’epoca, da Suez transitava praticamente tutto il petrolio diretto dal golfo Persico all’Europa Occidentale, la chiusura del canale obbligava le petroliere europee alla circumnavigazione dell’Africa, con conseguente aumento delle tempistiche e dei prezzi della materia prima. La risposta alla crisi fu la costruzione di petroliere di dimensioni sempre più gigantesche, in grado di trasportare in un singolo viaggio milioni di barili di greggio e abbassarne così il costo unitario. La corsa proseguì per un lustro circa, fino al 1979, quando venne varata la Seawise Giant, un vero e proprio leviatano dei mari lungo 485 metri, largo 69, con una capacità di 564 mila dwt. Al momento del varo, ci si accorse che questo mostro sarebbe stato soggetto a enormi difficoltà operative. Con un pescaggio a pieno carico di 30 metri, non sarebbe potuta entrare in nessun porto dell’epoca. Non solo, non sarebbe stata nemmeno in grado di attraversare il canale della Manica. Vennero così creati ingegnosi sistemi di carico/scarico di petrolio offshore (ne è un esempio l’isola artificiale che si trova davanti al Porto Petroli di Multedo) che, tuttavia, vennero subito dismessi nel momento in cui la navigabilità del canale venne ripristinata e il petrolio poté nuovamente fluire in Europa attraverso il mar Rosso.
Andando ancora più indietro nel tempo, nel XIX secolo si osservarono meccanismi simili quando comparvero le prime grandi navi passeggeri che battevano le rotte nordatlantiche per trasportare migliaia di migranti tra il vecchio continente e gli Stati Uniti. Senza trattare del celebre RMS Titanic, comparso circa mezzo secolo più tardi (anch’esso, oltretutto, venne condannato al suo triste destino per via delle sue dimensioni, per l’epoca decisamente imponenti, e sgraziate), negli anni Cinquanta e Sessanta dell’Ottocento i grandi armatori britannici si accorsero che, maggiore era la capacità di carico di una nave, minore era il costo che la compagnia armatrice poteva richiedere per singolo passeggero trasportato. Spinti dal più grande ingegnere dell’epoca, Isambard Kingdom Brunel, gli inglesi vararono nel 1859 il grandioso transatlantico Great Western, lungo ben 211 metri, e di ben 18.900 tonnellate di stazza lorda. Per comprendere la sontuosità dell’evento, basti pensare che la seconda nave per dimensioni era all’epoca il transatlantico Persia (1856), lungo “solo” 110 metri e di “sole” 3.470 tonnellate di stazza lorda.
Nel corso di soli tre anni le dimensioni delle navi erano cresciute del 445%.
Sfortunatamente per gli armatori della nave, e per sventura del povero Brunel (che però morì prima del completamento della nave), fu ben presto chiaro che le dimensioni della natante erano decisamente troppo imponenti per le infrastrutture del periodo. Dopo essersi arenata lungo il Tamigi al momento del varo, la nave continuò a riportare continui incidenti dovuti alla scarsa manovrabilità durante la sua brevissima vita operativa, tanto da portare alla bancarotta i suoi proprietari, per finire infine demolita pochi decenni più tardi.
L’esempio del Great Western fu forse il primo che gettò luce sui rischi collegati alla costruzione di navi di dimensioni troppo elevate rispetto agli standard vigenti. Oggi, navi di quelle dimensioni non sarebbero navi di dimensioni eccezionali, ma questo perché nel mentre le infrastrutture portuali hanno continuato a essere aggiornate e implementate, incessantemente e inesorabilmente. Semplicemente, a volte la cantieristica navale si spinge troppo oltre le possibilità del contesto del periodo, e costruisce “leviatani” anticipando di molto i tempi. Chiariamoci, nulla impedirà tra 30-40 anni la costruzione di navi ancora più grandi di quelle attuali, magari superando anche la sopracitata la Seawise Giant.
Concentriamoci tuttavia sugli eventi attuali. Correntemente, non mi sembra vi sia nulla di scandaloso nell’affermare che gli eventi attuali a Suez stiano ponendo la parola fine a questo ultimo ciclo del gigantismo navale. Il canale di Suez è stato adeguato al transito di navi più grandi solo nel 2015, ed è al momento impensabile l’esecuzione di nuovi lavori per ampliarne le dimensioni. Ma Suez è solo la punta dell’iceberg. Anche altri passaggi obbligati delle rotte commerciali mondiali presentano limiti, dal canale di Panama allo stretto di Malacca. Gli stessi porti non potranno reggere all’infinito la presenza di navi sempre più grandi, sia dal punto di vista tecnico che dal punto di vista logistico. Al momento attuale, tra i 50 maggiori porti del mondo, solo la metà (27) sono in grado di ospitare navi con una capacità di 24 mila teus. Se provassimo a riportare le stesse proporzioni su navi di portata maggiore (30 mila teus), i porti in grado di ospitare questi giganti scenderebbero a non più di tre.
Adeguare dal punto di vista infrastrutturale porti e canali alla crescita di dimensioni delle navi è tutt’altro che semplice. Serve molto tempo, e un grande dispendio di denaro. Non solo. Anche dal punto di vista degli armatori, costruire e gestire navi così grandi è tutt’altro che banale. Navi così grandi sono enormemente costose, sia per quanto riguarda la costruzione, sia per quanto riguarda le spese correnti e assicurative. Da svariati anni, le grandi compagnie di navigazione stanno costruendo navi sempre più grandi più che per ragioni strategiche semplicemente per ragioni di sopravvivenza: non farlo significa semplicemente essere sbalzati fuori dal mercato da competitor più ambiziosi. Il campanello di allarme che sta suonando in questo momento, se siamo fortunati, farà rinsavire tutti gli operatori del settore dal continuare dal perseguire logiche che, partite con sane motivazioni di mercato, si sono trasformate in una cieca lotta commerciale che non tengono minimamente conto del contesto.
Il segnale che la nave Ever Given, bloccata da alcuni giorni all’interno del canale di Suez, è chiaro: siamo giunti alla fine di questa tornata. Con grande sollievo dei gestori delle infrastrutture, ma anche, ci azzardiamo a dirlo, degli armatori.
(Grafici e tabelle di Davide Siviero, University of Plymouth)