La Corte dei conti ha mosso rilievi gravi alla Regione Liguria per quanto riguarda la Sanità e ha avanzato richieste di chiarimento molto importanti. Ma a parte le responsabilità della gestione di Toti e Viale esistono problemi strutturali non peculiari del sistema sanitario ligure ma relativi a quello italiano nel suo complesso. Problemi che hanno reso, tanto in Liguria quanto nel resto del Paese, più difficoltosa la risposta all’emergenza Coronavirus e, in generale, diminuiscono l’efficacia della cura della salute degli italiani. È quanto sostiene Beppe Costa, medico, già presidente della XVL Usl Levante per quattro anni e per due anni amministratore unico della stessa XVI Usl, ed ex consigliere comunale, per 27 anni, prima con la Dc e poi con Forza Italia.
«Al di là dei dati della Corte dei conti che evidenziano problemi della sanità pubblica ligure – dichiara Costa – il problema di fondo riguarda la medicina nei territori, fattore che ha dimostrato la sua importanza nella battaglia contro il Coronavirus. La Germania ha retto meglio l’impatto dell’epidemia, a parte la maggiore presenza di posti letto e rianimazione, fondamentalmente per il fatto che la sua medicina sui territori era ben strutturata. Una efficiente medicina sui territori permette che il malato possa essere curato a casa, che il medico di famiglia, punto centrale della medicina territoriale, abbia una struttura e delle relazioni anche con i servizi sanitari sul territorio per poter assistere a casa il paziente e quindi, come nel caso del Coronavirus ma ovviamente non solo, sia in grado di affrontare con efficacia la malattia da subito, cosa che da noi non avviene. Dall’epidemia del Covid-19 noi siano stati colti impreparati, tutta l’Italia è stata colta impreparata. Oltre al fatto che non si conosceva il virus – e questo invitabilmente ha determinato l’approccio terapeutico e la fisiopatologia, quando hanno cominciato a fare le autopsie si è visto che c’era l’aspetto della microembolia – la mancanza dell’assistenza territoriale integrata ha fatto sì che i malati non siano stati curati subito con protocolli adeguati, siano stati lasciati a se stessi per essere portati in ospedale quando la situazione diventava drammatica».
«È un discorso complesso – avverte Costa –. Il medico di famiglia, che sostanzialmente è l’elemento centrale del servizio sanitario sul territorio, in Italia è stato trasformato in un prescrittore di ricette che non ha capacità di relazione e non rientra in una gerarchia funzionale sui servizi territoriali. Se il medico ha una responsabilità ed è integrato in una gerachia funzionale può, per esempio, dire ai servizi territoriali di mandare un inferimere, ecc.. Questo non esiste in Italia. Da noi si è delegato molto alle associazioni che non hanno e non vogliono la gestione da parte del medico di famiglia per non perdere loro autonomia, anche di spesa. Bisogna creare sul territorio una gerarchia funzionale come quella che c’è in ospedale, tra primari in giù, (che oggi persino negli ospedali rischia di essere compromessa, per essere chiari).
Secondo Costa «In sostanza bisogna costruire una sanità pubblica territoriale in cui vengano integrati servizi sociali e sanitari, che ora afferiscono a enti diversi, con un regia funzionale e gerarchica unica, nella quale il medico di famiglia recuperi la piena responsabilità della gestione del paziente, non solo della diagnosi e della indicazione del farmaco ma anche del trattamento terapeutico. Non è pensabile che se ne stia solo in una stanzetta con la penna e il ricettario o meglio, con il computer, quando ci sono altri strumenti, servizi sociali, ecc… con cui dovrebbe interagire in un percorso assistenziale organico e con gerarchie funzionali. La mancanza di integrazione tra servizi sociali e sanitari è un peccato di origine. Si sono fatte, a suo tempo le Usl, unità sanitarie locali, separate completamente da quelle sociali, anche come carriere, e questo vizio di origine è continuato e continua. I servizi territoriali sociali sono in mano all’ente locale, che stipula convenzioni con il volontariato. E mentre la struttura sanitaria è più rigida e più professionalizzata, la struttura di volontariato è diversa, è costituita da associazioni convenzionate che forniscono ognuna un pezzetto di prestazione, c’è quella che va a prendere i bambini a scuola, quella che si occupa di tossicodipendenti, ecc… Dipende dalle convenzioni che fa il Comune. Quindi se ci sono dei buchi sulla funzionalità nessuno li copre, non c’è un filo comune. In sostanza, bisogna risparmiare su certi settori e coprire tutta la filiera della necessità, con un sistema integrato in cui siano chiari incarichi e responsabilità».