Non si sono praticamente mai fermati i lavoratori dell’azienda Amico & Co a Genova, leader in Europa e tra le prime tre al mondo nel settore delle riparazioni e ristrutturazioni dei mega-yacht. Ora però servono maggiori certezze anche dal punto di vista normativo per evitare che l’Italia resti indietro rispetto ad altri Paesi sia sul tema del turismo nautico, sia sulla programmazione della cantieristica.
Nonostante l’epidemia da coronavirus, la stagione del refitting dei grandi natanti ha solo rallentato per due o tre settimane (principalmente a causa dello stop alla filiera esterna), grazie al fatto che l’attività era ricompresa nei codici ateco ammessi a lavorare anche in lockdown.
Alberto Amico, presidente di Amico & Co., evidenzia che il rispetto dei protocolli di sicurezza, anche quando questi non erano ancora obbligatori, ha consentito all’azienda di proseguire il proprio lavoro nella stagione più ricca di commesse: «Abbiamo avuto inizialmente qualche difficoltà nel riadattarci a un modo nuovo di lavorare. Siamo riusciti a convincere, prima che ci fossero obblighi, tutti coloro che lavorano in cantiere, ditte esterne ed equipaggi compresi, a seguire le direttive per ridurre il rischio dei contagi. Siamo così riusciti a isolare due casi che si erano manifestati in due persone di equipaggi arrivati dall’estero, gestendoli al meglio senza avere ulteriori malati».
Rispetto a una normale “stagione” di riparazioni, Amico ha lavorato con una capacità produttiva che ha oscillato tra il 20 e il 50%, ospitando a Genova 16 yacht e le 350 persone degli equipaggi.
In questo periodo non è stato facile anche reperire i dispositivi di protezione individuale, ma non è mai stato motivo di grande preoccupazione.
La forza di Amico in questi due mesi è stata nella filiera soprattutto locale: «Abbiamo reparti interni forti e un gruppo di ditte specializzate locali con cui collaboriamo, altri cantieri internazionali non hanno avuto questo vantaggio. Questa caratteristica ci è stata molto utile».
Passata la fase più complessa, ora cosa chiede Amico alle istituzioni? «In Italia ci si sta muovendo con lentezza sull’informazione in anticipo sulle normative. Altri Stati si sono attivati in maniera diversa, garantendo all’apparato produttivo una maggiore sostenibilità dello stop. Inoltre sono stati più propensi ad aiutare più che vietare completamente. Il rischio per noi e per l’Italia è di soffrire di svantaggi competitivi rispetto all’estero. Per esempio ora manca chiarezza sulle modalità di sbarco degli equipaggi che devono venire in Italia. Altri Paesi del Mediterraneo hanno già una normativa chiara che consente di pianificare turismo e cantieristica di riparazione». Serve dunque uno scatto in avanti per colmare questa lacuna.
Una lacuna che forse deriva da una certa sottovalutazione dell’economia che gira attorno al settore: non è un caso che Amico sia stato uno dei promotori dell’associazione Genova for Yachting, una realtà che racchiude 44 aziende della filiera che generano un indotto che vale tre volte rispetto al loro fatturato. A beneficiare di una normativa chiara e non penalizzante quindi sebbero tantissime aziende. Basta pensare al fatto che, a regime, più di mille persone solo di equipaggi, garantiscono introiti notevoli a tante realtà cittadine.