Non è ancora un progetto definito ma è molto più che un’idea: a Genova le istituzioni stanno studiando la possibilità di proporre la città al Bureau International des Expositions (l’organizzazione non governativa internazionale che gestisce le esposizioni universali e internazionali) per un’esposizione internazionale specializzata e sono già in corso le verifiche sugli interventi propedeutici alla candidatura. Lo conferma a Liguria Business Journal il presidente dell’Autorità portuale, Paolo Emilio Signorini, che aveva lanciato l’idea nel maggio scorso.
Alla presentazione della mostra di Massimo Minella sull’expo genovese del 1914 Signorini aveva detto: «sarebbe bellissimo organizzare a Genova un’altra grande expo, riavere lo stesso coraggio che i genovesi hanno avuto nel 1914. Oggi Genova ha una centralità, una visibilità che fino a qualche anno fa non aveva. E ci sono le grandi opere, in costruzione o progettate, che cambieranno la città». Giuseppe Zampini, presidente di Confindustria Liguria, intervenuto poco dopo, aveva aggiunto: «la maggiore attenzione al tema della sicurezza, le leggi e gli organismi sulla gestione degli appalti renderebbero impossibile realizzare un’opera come quella del 1914 in così poco tempo ma sarebbe bello trasmettere la voglia di crescere dei genovesi dopo Ponte Morandi con una grande expo sulla tecnologia».
Pochi giorno dopo, in una nota congiunta, il presidente della Regione Liguria, Giovanni Toti, e il sindaco di Genova, Marco Bucci, così commentavano la suggestione di Signorini: «Senza dubbio Genova sarebbe pronta per accogliere una grande expo, le ricadute positive dei grandi eventi che abbiamo accolto sono sotto gli occhi di tutti, dalla lontana expo colombiana del 1992 alla più recente Capitale della cultura del 2004. Sarebbe inoltre un messaggio simbolico dopo il crollo del Ponte Morandi, un segno di riscatto non solo per la città ma per l’intero Paese. Grazie alle nuove infrastrutture che stiamo costruendo proprio per reagire a questa tragedia, nel giro di qualche anno avremo un nuovo volto da mostrare e potremo provare a candidarci con buone possibilità di riuscita».
Il mondo delle imprese aspetta di saperne di più ma è favorevole: «Non sono a conoscenza di un disegno organico – dichiara il presidente di Confindustria Genova Giovanni Mondini a Liguria Business Journal – qualora ci fosse, il mondo di Confindustria potrebbe essere di supporto e si impegnerebbe in tal senso. È ovvio che queste attività vanno ben pianificate. Non basta la bellezza della città, deve funzionare tutto e bisogna presentarsi con le infrastrutture pronte, Nodo Ferroviario, Terzo Valico e Gronda in primo luogo». Quanto al tema, «tutti, istituzioni e associazioni, convergiamo su alcune linee di indirizzo per lo sviluppo della città: porto, hi tech e turismo, senza trascurare il manifatturiero. Credo che il tema dell’esposizione genovese dovrebbe riferirsi a una di queste linee».
«Sappiamo – spiega ora Signorini – i vantaggi che un’esposizione comporta, ne abbiamo parlato anche diverse volte con il presidente della Regione e con il sindaco, ci sono stati diversi incontri, da tempo sono al vaglio gli interventi propedeutici a un’eventuale candidatura. A mio parere il progetto è alla portata della nostra città. Ora bisogna trovare chi lavori al dossier, un project manager che analizzi premesse e conseguenze sul piano urbanistico, economico e sociale dell’evento».
Perché candidarsi proprio ora, il che significa, se la proposta viene accettata, realizzare l’evento tra sette, otto anni?
«Dopo la tragedia di Ponte Morandi – dice il presidente dell’Ap – la città è a una svolta, sta riprogettando il proprio futuro, su di essa stanno convergendo risorse, idee, energie. Non solo. A prescindere da Ponte Morandi sono già in fase di realizzazione o già progettate, grandi opere come Terzo Valico, Gronda, riassetto del Nodo Ferroviario. Tra sette-otto anni Genova sarà cambiata profondamente e connessa in modo più efficiente rispetto al passato con le aree di oltre Appennino. Di solito chi avanza una candidatura al Bie elenca infrastrutture programmate per rendere la città più accessibile, più fruibile per chi verrà a visitarla. Noi queste infrastrutture le stiamo già costruendo. E la scadenza di un’expo renderebbe più agevole e spedita la realizzazione di queste opere e anche di altre, penso a quelle che interessano direttamente l’Autorità portuale: quando il paese è impegnato in un evento espositivo fioccano decreti legge e a altri provvedimenti che ne garantiscano la riuscita. Sarebbe un’occasione perduta non approfittarne».
Chi avanza una candidatura al Bie deve indicare il tema che verrà declinato nel corso dell’evento, un tema che sia attrattivo per i potenziali visitatori e per il quale la città candidata possa vantare una vocazione, una sua specificità. Su questo, precisa il presidente dell’Autorità portuale, «le istituzioni dovranno confrontarsi, io personalmente vedo tre possibili temi, la digitalizzazione applicata all’intermodalità, l’economia legata al mare, l’ortofrutta nel contesto del food».
I primi due temi indicati da Signorini potrebbero confluire in un unico progetto espositivo, in cui Genova mostrerebbe al mondo come una città dalla tradizione millenaria di protagonista dei traffici marittimi possa trovare nuova vita con la digitalizzazione. È la prospettiva intravista da Alessandro Giglio, genovese, classe 1965, fondatore e presidente di Giglio Group. Il gruppo, che nel sito riporta la sentenza di Confucio «Il cosmo si trasforma incessantemente e il diagramma del supremo estremo rappresenta la circolarità del mutamento, privo di un inizio e di una fine» è nato nel 2003 come broadcaster televisivo internazionale e si è poi trasformato in una piattaforma e-commerce di ultima generazione. E nel 2017, al Palazzo della Meridiana di Genova, ha promosso la mostra “IBOX: la nostra vita 4.0”, sulla rivoluzione digitale che sta cambiando e cambierà radicalmente il nostro modo di vivere, di lavorare e di consumare.
«Vedo assolutamente in maniera positiva – dichiara Alessandro Giglio – la possibilità che Genova possa ospitare un’expo. Il tema secondo me potrebbe essere il digitale, o meglio, la rivoluzione digitale. Sicuramente il digitale sta entrando in maniera significativa nelle nostre vite, cambiandone profondamente paradigmi e abitudini. Genova è una città storicamente aperta alle grandi trasformazioni, ai grandi cambiamenti, pensiamo al secolo d’oro in cui ha saputo cogliere quelli che erano i modelli di trasformazione dell’epoca traendone grandi opportunità tanto da essere la capitale del mondo. Il fatto che qui siano nate grandi innovazioni in ambito finanziario quali le assicurazioni, la borsa, le banche, è il segno di come la città sia in grado di cogliere le potenzialità del momento e trasformarle immediatamente in attività concrete ed economia reale. D’altra parte Genova ha tante aziende che operano nel digitale, molte delle quali assolutamente all’avanguardia, un polo tecnologico di rilievo e una presenza come quella dell’Iit. Non vedo migliore candidata in questo momento a ospitare un’expo dedicata al digitale che mostri come un settore tradizionale quale è lo shipping possa entrare in gioco come elemento propulsivo di nuovi modelli. Genova ha questa capacità di sintesi».
Il gioco potrebbe valere la candela. La città in passato ha saputo trarre profitto da un evento espositivo.
I genovesi meno giovani ricorderanno che in piazza Caricamento, al posto dei varchi di accesso al Porto Antico dai quali vediamo Acquario, Bigo, Magazzini del Cotone, fino al 1989 correva un muro grigio. La cinta doganale del porto. Oltre il muro si lavorava ai traffici portuali, molto ridotti rispetto al passato perché i fondali erano diventati troppo bassi e il vero porto commerciale era ormai da tempo a Sampierdarena. I turisti che oggi incontriamo di frequente tra Principe, De Ferrari, Brignole e il mare fino alla fine degli anni Ottanta erano quasi sconosciuti. A Genova si poteva venire per motivi di affari grazie ad Ansaldo, Ilva, Italimpianti, per visitare il Nautico e per andare in riviera, fermandosi all’ombra della Lanterna il meno possibile, per non sottrarre tempo alla vacanza. Certo, il capoluogo ligure deve fare ancora molto per esprimere in pieno la propria potenzialità di città d’arte ma intanto l’anno scorso la rivista americana Forbes l’ha incluso tra le cinque mete turistiche da non perdere nel 2018. L’Acquario è una delle attrazioni europee, conta 1,2 milioni di visitatori l’anno, e i turisti non sono interessati soltanto all’acquario, visitano il Porto Antico, il centro storico, Palazzo Ducale. Il turismo ormai è una delle voci del fatturato cittadino. Non è stata soltanto l’expo del ’92 a mettere in moto i flussi turistici verso la Lanterna, un ruolo importante l’hanno giocato anche le risorse concentrate a Genova per il G8 del 2001 e per la Città della Cultura nel 2004 ma la spinta iniziale è venuta dall’esposizione colombiana. E quei cinque ettari e mezzo un tempo nascosti dalla cinta doganale ormai sono un pezzo significativo e pregiato della città. Il costo dell’evento, sostenuto dallo Stato, è stato di 600 miliardi di lire, circa 300 milioni di euro.
Come si è arrivati a farsi assegnare dal Bureau International des Expositions l’expo del ’92, e a farsi erogare dallo Stato i fondi necessari? La formula vincente ce lo illustra uno degli autori del progetto colombiano, l’ex governatore ligure Claudio Burlando, già deputato, ministro, sindaco di Genova, e negli anni di gestazione e realizzazione dell’expo consigliere comunale (dal 1981 al 1993), assessore (dal 1983 al 1985), vicesindaco (dal 1990 al 1992), segretario della Federazione genovese del Pci.
«Sarebbe bello – dichiara Burlando a Liguria Business Journal – poter fare una nuova expo. Questi eventi portano bene, portano soldi. Con l’expo del ’92 Genova si è inventata una vocazione turistica che non c’era e un nuovo quartiere. Con un ‘altra manifestazione come quella colombiana si potrebbe riqualificare Hennebique e Ponte Parodi, completare la Darsena, riordinare le riparazioni navali e ristrutturare il waterfront di Levante completando il disegno di Renzo Piano, fare un unico grande polo attrazione turistica da Punta Vagno a Hennebique, inframezzato da riparazioni navali ordinate e dal polo croceristico. Se poi si riuscisse a costruire un impianto a fune per i forti si avrebbe una saldatura molto bella tra fronte mare e i porti. Per fare un’esposizione, però, oltre a stabilire un calendario preciso e attendibile per le opere da realizzare bisogna avere un argomento suggestivo da proporre al mondo e idee chiare sugli obiettivi. Noi eravamo guidati da un’idea forte, usare l’evento espositivo per realizzare qualcosa che restasse, che fosse permanente, e abbiamo intuito le potenzialità del Porto Antico».
Negli anni Ottanta, in Spagna e in Italia e anche oltre Atlantico si pensava a come celebrare il 1992, cinquecentenario della scoperta dell’America. L’esposizione universale toccava a Siviglia, poiché il viaggio di Colombo fu promosso dai reali di Spagna, Ferdinando e Isabella di Castiglia, ma anche Genova aveva la sua carta da giocare: era o non era la città natale del grande navigatore? Secondo la maggior parte degli storici sì, lo era, e quindi poteva aspirare al suo evento colombiano. D’altra parte in quegli anni circolava in Europa e negli Usa l’idea di recuperare e riqualificare parti di città cadute in disuso o sottoutilizzate per la loro funzione originaria. Lo aveva fatto, per esempio, Baltimora, destinando a scopi turistici il suo porto antico, non più utilizzato.
«La giunta comunale nel 1983, il sindaco era Cerofolini, – racconta Burlando – chiese a Renzo Piano di elaborare un progetto di riqualificazione di un’area in vista di un evento espositivo. L’idea era quella di investire risorse in qualcosa che non fosse effimero. L’architetto si mise al lavoro e a fine anno presentò tre diverse ipotesi. Toccava a noi scegliere. Una, se vogliano, era banale: prevedeva di fare l’expo alla Fiera del Mare, che c’era già e sarebbe stata ammodernata. Un’altra era relativa al’ex conceria Bocciardo. La terza ci sembrò molto più suggestiva, riguardava il porto antico, che veniva ancora utilizzato – ai Magazzini del Cotone, per esempio, il cotone c’era ancora, non molto ma c’era – però aveva perso gran parte dei traffici. Il porto commerciale ormai era a Sampierdarena e si lavorava già al terminal di Pra’. La discussione si concluse con un voto unanime della giunta in favore del porto antico. Piano andò avanti con il lavoro e individuò il perimetro da destinare all’expo, ridotto rispetto a quello che poi è stato stabilito, non comprendeva Ponte Spinola, dove poi sarebbe sorto l’Acquario. Su Ponte Spinola Gadolla intendeva costruire un albergo. Il progetto fu quindi inviato al Bureau International des Expositions».
«La cosa – prosegue Burlando – si era messa in moto ma intanto alcuni di noi, dei giovani del Pci, tra cui Silvio Ferrari, Carlo Repetti, Vittorio Grattarola – pensava che per garantire il riuso del porto antico e trovargli una nuova funzione occorresse qualcosa di specifico. C’era l’esempio di Baltimora da studiare ma allora non era facile andare in trasferta, i viaggi aerei costavano caro e noi avevamo pochi soldi. Finché, nel 1987, conferiscono a Taviani l’ennesima laurea honoris causa, a Columbus, nell’Ohio. Era prevista una delegazione genovese, con un esponente della giunta e uno del consiglio. Per la giunta fu incaricato Fabio Morchio, vicesindaco. Il sindaco Cesare Campart, con cui avevo un ottimo rapporto, mi disse: « vorrei che ci andassi anche tu, in rappresentanza del consiglio, sei giovane – avevo 33 anni – parli inglese». Gli risposi: molto volentieri ma vorrei chiederti una cosa. Ho un’idea che però vorrei andare a verificare a Baltimora, aggiungiamo un paio di giorni alla trasferta. Gli spiegai perché e Campart fu d’accordo».
A Baltimora, ricorda ancora Burlando «mi colpisce l’acquario che era stato costruito nel porto antico e penso che un’opera del genere a Genova diventerebbe una grande attrazione turistica. Chiedo di conoscere Peter Chermayeff, l’architetto che aveva progettato quell’acquario e avrebbe poi progettato gli interni del nostro, nella comunità italiana c’è uno che si chiama Elia Manetta che poi avrebbe lavorato all’expo genovese e che mi mette in contatto con Chermayeff. Poco tempo dopo noi del gruppo consiliare del Pci insieme all’Istituto Gramsci organizziamo una presentazione del progetto in Comune. Io lo illustro. In consiglio comunale presento un ordine del giorno che individua il posto in cui costruire l’acquario, Ponte Spinola, mi obiettano che Ponte Spinola non è nel perimetro espositivo. Rispondo: mettiamocelo. Il consiglio comunale approva all’unanimità la proposta, di cui sono primo firmatario, andiamo a Parigi e chiediamo al Bie di poter modificare il perimetro. Gadolla se la prende molto a male ma il Bie approva la modifica. Siamo nell’88, i lavori al Porto Antico sarebbero iniziati nella primavera dell’89 ma al progetto abbiamo lavorato per anni, dal 1983. Non con un post».